La Resistenza, la campagna e la fabbrica: Il 900 di Valenti per capire chi siamo

24 Aprile 2016

Con il suo ultimo libro, Rosso nella notte bianca, Stefano Valenti apre una finestra sul mondo contadino e i suoi mutamenti a cavallo della seconda guerra mondiale. Ulisse è il protagonista che infine ritorna, per consumare la propria vendetta, dopo molti anni trascorsi cercando di elaborare quel che non poteva essere elaborato. Ritorna in un clima soffocante e opprimente, riprodotto in una prosa a tratti estrema, ruvida ed essenziale, in cui si intrecciano le diverse voci che restituiscono la verità del mondo di Ulisse, di sua madre Giuditta, della sorella Nerina, persone schiacchiate e disorientate dalle convulsioni del trentennio centrale del secolo scorso.

Gli intrecci narrativi di Valenti sono posati su registri che attingono da diverse dimensioni dell’esistenza: la ricostruzione storica si sviluppa a partire da sguardi individuali; si affianca a elaborazioni e rivelazioni perverse di un soggetto a tratti psichiatrico, Ulisse; sfuma in immagini oniriche ad alto contenuto religioso. Come religiosi sono i personaggi e il mondo da cui provengono, condannato a una cupa visione della realtà, dove aleggiano il male e il peccato, anche quando il male è senza colpa e il senso di colpa è senza peccato. Una religiosità che appare sin dal principio del romanzo, quando Ulisse consuma la sua vendetta: “lì l’Arcangelo Michele con un quarto di vacca sul dorso. Ha indosso un camice bianco e il camice è disseminato di macchie rosse. Reduce dalla battaglia col drago, Michele cammina inarcato dalla carne inanimata destinata al fuoco dell’inferno. La mano libera sul fianco a farsi forza. L’Arcangelo Michele e la carne, la carne e la neve, l’odore cattivo della morte che prende tutto”.

Molti sono gli antenati di questo libro, individuati, tra gli altri, da Angelo Ferracuti. Per primo c’è il Beppe Fenoglio di Una questione privata, collocato da Valenti in epigrafe. Ma senza dubbio possiamo indicare Nuto Revelli, con le sue opere sulla civiltà contandina: tra le altre, risuonano in Valenti l’intelligenza e la sensibilità de L’anello forte, con cui Revelli presentava il mondo contadino attraverso gli occhi e le storie delle donne. In Guiditta, si possono ritrovare i volti delle migliaia di contadine-operaie italiane che sopportarono innumerevoli disagi e sofferenze, lavorarono più dei loro uomini, ressero sulle proprie spalle pesi intollerabili, creando con la loro forza e la loro capacità di resistere le condizioni per la continuazione della vita, anche quando era riconosciuto loro un valore inferiore di quello assegnato alle bestie: “d’inverno gli uomini volevano far quello e basta, diceva Giuditta. Bere, ubriacarsi, e fare quello. E in primavara toccava di ricominciare gravide nei campi dal mattino a sera, e di notte in piedi coi bambini che frignavano in culla e al mattino in piedi alle quattro a mungere le vacche. La donna di montagna pativa tutto. E allattava, e mungeva le vacche, e dava da mangiare alle bestie, e allattava di nuovo, e portava le vacche al pascolo, e le riportava in stalla, e andava a prender l’acqua alla fonte, e andava a dar fieno”.

Nel romanzo di Valenti trova posto il mondo della fabbrica, insieme maledetto e benedetto. Benedetto perché liberava dagli antichi mondi contadini, fatti di miseria e di figli morti a grappoli, illuminando la dimensione progressiva dello sviluppo industriale; maledetto perché condannava a turni di fabbrica massacranti tra fumi tossici e rumori che tagliavano i timpani, come quelli dei telai, resi tollerabili solo dall’abitudine. Dalla stessa fabbrica, però, originava la voglia di azione, di liberazione, di presa di potere sul proprio destino che mosse tanti, come nel romanzo Ulisse e Giuditta, all’organizzazione e alla lotta, nelle fabbriche e nelle piazze. Quello di Valenti è anche un grande romanzo sulla Resistenza – per alcuni tradita e per altri mai conclusa –, sulla lunga guerra civile italiana, con la sua estesa zona grigia, i suoi fantasmi sospesi e repressi nei corpi di persone ferite. Fantasmi che, tragicamente, sanno talvolta cercare una via per tornare, “a mettere ordine nelle cose”.

TAG: Angelo Ferracuti, Nuto Revelli, Stefano Valenti
CAT: costumi sociali, Letteratura

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