È una guerra, ma il nostro “stile di vita” non c’entra nulla

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14 Novembre 2015

In queste ore difficili, in cui il “mondo ricco” guarda con apprensione le immagini dell’ennesimo atto di terrore rivendicato dall’Isis, ciò che emerge è la debolezza del pensiero diffuso, una debolezza figlia di un provincialismo che in qualche modo i terroristi hanno messo a nudo, se ancora ve ne fosse bisogno. Sugli schermi luminosi degli smartphone e dei tablet scorrono le immagini di Parigi, miliardi di occhi seguono gli aggiornamenti, ascoltano i boati delle esplosioni, guardano i fatti da ogni angolazione possibile.

Ben altro seguito hanno avuto i (pochi) contenuti che meno di due giorni fa raccontavano degli attentati di Beirut, dove due kamikaze della stessa organizzazione si sono fatti esplodere in mezzo a un’affollata via commerciale, uccidendo più di 40 persone e ferendone 200. Tutto normale. Parigi, Londra, Madrid, sono i luoghi della nostra quotidianità, angoli riconoscibili immortalati in foto e selfie. Beirut è lontana e comunque “laggiù certe cose accadono ogni giorno”, perché lì ci sono i terribili musulmani, barbari e assassini. A troppi fa comodo pensare così, ma la realtà è un’altra.

L’Isis uccide gli “islamici” e uccide gli “occidentali” allo stesso modo, se proprio bisogna etichettare gli esseri umani a tutti i costi. Ne consegue che tutte queste pedanterie sul “nostro stile di vita” e le citazioni a vanvera della buonanima di Oriana Fallaci – grande giornalista, ma donna accecata dall’odio – sono assai ridicole e fuori luogo, a meno che un morto ammazzato in un negozio di Beirut sia meno importante di un morto ammazzato in un locale di Parigi. La verità è che siamo in guerra e lo siamo soprattutto a causa delle arcinote ingerenze “occidentali”, che nel corso dei decenni hanno creato delle polveriere in molti paesi islamici. Polveriere a cui attingono organizzazioni militari più o meno longeve che quindi dispongono di ingenti risorse economiche e belliche, spesso ottenute da stati esteri – Usa e Russia in primis, ma anche da stati europei – per sovvertire regimi costituiti che a loro volta erano stati già finanziati e armati in precedenza. Isis è oggi la più estesa e pericolosa di queste organizzazioni.

È una guerra senza campi di battaglia, dove persino le famose “bombe intelligenti” servirebbero a poco. Una guerra che andrebbe combattuta col pensiero, allargando le maglie dell’integrazione e del dialogo, perché quelle polveriere sono arrivate nelle periferie più disagiate della nostra “amata” civiltà, di cui rivendichiamo istericamente il primato mentre ce ne perdiamo i pezzi. Ma siamo in grado di combattere questa guerra? A giudicare dalle prime reazioni dei nostri governanti – Hollande in testa – non c’è da essere ottimisti.

TAG: Cultura, europa, immigrazione, isis, islam, teatro, terrorismo
CAT: Geopolitica, Terrorismo

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