Quelli che in smartworking scelgono di vivere al Sud

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27 Luglio 2020

Durante il lockdown non abbiamo lavorato in smartworking. Abbiamo fatto tele-lavoro, e in un regime di reclusione coatta. E tuttavia abbiamo compreso quale beneficio si possa trarre – lavoratori e aziende – da una organizzazione del lavoro non più basata sulla presenza in ufficio, dal momento che da decenni l’ufficio per molti è un Pc.

La produttività stimata dal cartellino appariva obsoleta già prima che l’emergenza Coronavirus ne certificasse la definitiva inadeguatezza. L’emergenza ha contribuito in modo inappellabile a farla risultare in tutta la sua onerosa insostenibilità.

Il pendolarismo costa non solo al lavoratore su cui grava la spesa per i trasferimenti. Costa alla collettività per l’impatto ambientale e sanitario. Costa alla produttività che in smartworking aumenta. Costa al benessere complessivo della persona lavoratrice, a cui la tecnologia già fornisce gli strumenti per ottimizzare i tempi e le soggettive peculiarità.

Si registrano già le prime multinazionali che decidono di convertirsi, in via permanente, ad un’organizzazione che lascia liberi i lavoratori di scegliere dove e come lavorare. Una tendenza che ha già determinato un impatto sul mercato immobiliare delle prestigiose sedi aziendali – che a molti, a cominciare dai big player, appaiono sempre più un costo non necessario e a tutti gli effetti improduttivo.

La fine della quarantena e il permanere del regime di smartworking ha convinto molti lavoratori a lasciare la città, per tornare nei paesi di origine o spostarsi in luoghi di elezione, alla ricerca di una dimensione di vita più umana dove lavorare e trascorrere il tempo libero. Si affittano le case, si va a cena fuori e si fa shopping anche nei piccoli centri e nelle cittadine di provincia. Si continua quindi a generare Pil, ma lo si fa altrove dal luogo fisico in cui ha sede l’azienda per cui si lavora.

Un vero e proprio fenomeno – l’emigrazione al contrario o “southliving” – già registrato dai media, coltivato dalle aziende, analizzato dagli esperti. Il fermento creativo che si rileva in queste settimane è oggettivo. Si moltiplicano le iniziative – trasversali per obiettivi, metodi ed età dei promotori. L’elemento comune a queste iniziative è stimolare l’innovazione nell’organizzazione sociale, non solo infrastrutturale, traducendo un bisogno individuale e collettivo – divenuto cogente – in opportunità.

Lo smartworking è un’opportunità per i piccoli centri del nord e del sud, per le città di provincia, per le aree rurali che, spopolate, possono rigenerarsi di nuova vita e beneficiare dell’indotto economico, di idee e di inedita progettualità che dal ripopolamento produttivo si può attivare. Ma lo smartworking è un’opportunità anche per una città come Milano, cui non manca la vocazione a reinventarsi ed offrirsi pronta al mondo che cambia.

Su ScelgoilSud.it raccogliamo le storie, le idee e i progetti di quelli che sullo smartworking stanno costruendo una possibilità di vita migliore, per sé, il tessuto extra-urbano e per il sistema produttivo nel suo complesso. L’obiettivo del sito non è cambiare il mondo ma mostrare come il mondo, nel suo piccolo, cambia, a dispetto di chi quel cambiamento, per timore, lo osteggia.

Apprezziamo testimonianze e segnalazioni. Grazie in anticipo.

@kuliscioff

TAG: coronavirus, ScelgoilSud, smartworking, southliving
CAT: Innovazione, lavoro dipendente

2 Commenti

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  1. paolo-fusi 4 anni fa

    Grazie, un articolo importante che condivido. Questo è il futuro, per fortuna. Non bisogna per forza avere paura del progresso, il lavoro esisterà anche dopo la fine delle catene di montaggio – nell’artigianato e nel lavoro da casa. Grazie davvero. Io stesso lavoro in “smart-working” (da casa) oramai da 17 anni, e questo mi ha certamente allungato la vita e drasticamente diminuiti i costi e la fatica.

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  2. kuliscioff 4 anni fa

    Grazie a te Paolo.

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