La solitudine della scuola

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13 Febbraio 2021

Sono grato a Paolo Fasce per la sua replica al mio articolo sul tempo della scuola. Gli sono grato anche – soprattutto – perché mi offre l’opportunità di tornare sul punto fondamentale di quell’articolo, che nella ricezione sembra essere invece rimasto sullo sfondo. Non replicherò a quello che scrive punto per punto, per pietà verso il lettore (già così questo articolo sarà, temo, troppo lungo). Continuerò un attimo la mia “difesa d’ufficio” dei docenti, per andare poi al punto.
Scrive Fasce che la DaD è “troppo spesso l’apoteosi” della scuola che chiama Spiego, Studi, Interrogo, Dimentichi (SSID). Come ho scritto, non sono un sostenitore entusiasta della DaD, e qui stesso sono intervenuto per denunciare la follia di certe derive. Ma non credo che essa abbia fatto diventare alcuni, per magia, dei pessimi insegnanti. Chi faceva la scuola SSID in classe ha continuato a farla, pessimamente, in DaD. Per gli altri, la DaD è stata occasione per sperimentare e riflettere ancora una volta su cosa vuol dire fare questo mestiere. Per me scuola è comunità, ed è la comunità che ho cercato di portare in DaD. Con l’aiuto di uno strumento come Moodle, pensato per la didattica, che però non mi è stato più possibile usare dopo che il Miur ha vergognosamente sostenuto le piattaforme proprietarie di Google e Microsoft. Mi piacerebbe poter dire che ci siamo inventati una nuova didattica con l’aiuto del Ministero; nel mio caso almeno, è più aderente alla realtà l’affermazione che lo abbiamo fatto nonostante il Ministero.
Paolo Fasce mi accusa di ingenuità, perché do valore ai voti dei docenti, affermando che non si può prescindere dai risultati degli scrutini del primo quadrimestre per ragionare di tempo perso o meno. (E tra parentesi: non ho affermato che nessuno può giudicare il lavoro dei docenti; ho sostenuto e sostengo che solo i docenti del Consiglio di classe e nessun altro al posto loro – certo non i politici – possono attribuire voti agli studenti.) I suoi argomenti sono due: 1) i voti sono riferiti ad una classe, e dunque ad un contesto particolare, e dunque non hanno un valore assoluto; 2) i docenti attribuiscono sufficienze o insufficienze secondo la personale convenienza.
Il secondo (presunto) argomento è semplicemente una calunnia, e come tale non merita di essere preso in considerazione, perché discuterlo significa dargli la dignità di un argomento, che evidentemente non ha. Mi limito ad osservare che ingenuo appare lo stesso Fasce: come può pensare che i docenti che alla fine del primo quadrimestre falsano i voti per non dover lavorare a giugno, a giugno poi possano trasformarsi in professionisti sinceramente preoccupati dei loro studenti e attivamente impegnati in attività didattiche in loro favore?
Il primo argomento merita un ragionamento. Insegno da ventitré anni; ho insegnato alle medie, in diversi istituti professionali in un istituto tecnico, al liceo, al sud ed al centro. Ho una percezione abbastanza ampia della realtà scolastica. E sì, posso confermare che un 8 in un certo contesto non ha lo stesso valore di un 8 in un contesto diverso. A dire il vero, uno stesso voto può avere un contenuto diverso anche in due indirizzi dello stesso liceo. Mi sfugge però cosa questo c’entri con il prolungamento dell’anno scolastico. La disomogeneità è un problema strutturale del nostro sistema scolastico e richiede un intervento ugualmente strutturale, non certo l’eccezionale apertura delle scuole a giugno.
Il contesto era il vero tema del mio articolo. Permettetemi di tornarvi su. Nel modo più concreto possibile: raccontando, cioè, una storia. B. era un ragazzone alto più di un metro ed ottanta. All’improvviso cominciò a deperire sotto i nostri occhi. Tememmo qualche malattia, poi scoprimmo che semplicemente non mangiava. E toccava a noi portargli qualcosa da casa, perché mangiasse almeno a scuola. Che era successo? Qualche mese prima ero stato a casa sua per consegnarli un computer che eravamo riusciti a recuperare in qualche modo (dismesso da un docente; l’appello agli enti ed imprese locali affinché ci aiutassero a procurare computer usati ai nostri studenti più poveri cadde nel vuoto). Viveva in una baracca, con la sorellina, la madre e il padre. Il padre era disoccupato. Mi era sembrato un uomo in gamba, pieno di iniziative, che soffriva molto per la sua condizione di impotenza economica. Bene: il padre di B. ora era in galera. Tentato omicidio. Un lavoro su commissione della mafia per racimolare qualche soldo. Lo Stato aveva messo in prigione il padre di B. senza chiedersi come avrebbero fatto la moglie (una donna con disturbi mentali) ed i figli a mangiare. Abbandonandoli a loro stessi. Lo Stato avrebbe potuto investire qualche migliaio di euro per dare un lavoro a quell’uomo; ha preferito sprecare più di centomila euro all’anno, per non so quanti anni, per tenerlo in galera. Uno spreco assurdo, per me incomprensibile. Siamo un Paese impoverito dalla spaventosa evasione fiscale, e continuamo quotidianamente a gettar via soldi per tenere la gente in galera, mentre tutto ciò che potrebbe prevenire la galera è trascurato.
In questa situazione, in questi contesti, si chiede alla scuola di intervenire. Di fare il miracolo.  Ma i miracoli non esistono. Buona parte del discorso pubblico sull’educazione è basato su affermazioni e frasi fatte dal sapore romantico. “Nessun bambino è perso se ha un insegnante che crede in lui”. Cose così. E sarebbe bello se le cose fossero così semplici. Ma la realtà è molto più complessa. Potrei riformulare: qualsiasi insegnante è perso se non ha una comunità che crede in lui. E: che lavora con lui. Non posso lavorare con B. se lo Stato lo affama. Se i servizi sociali lo abbandonano. Se non esistono politiche per combattere la disuguaglianza. Se nessun governo costringe i ricchi a pagare le tasse. Se diamo per scontati la povertà, il degrado, l’abbandono di intere comunità.
C’è qualcosa di molto più serio della differenza tra un 8 dato ai Parioli e un 8 dato a Scampia. C’è la vergognosa differenza di possibilità tra chi ha la fortuna di nascere in un contesto ricco e chi invece si trova fin dalla nascita a combattere con infiniti ostacoli, con forze che deformano e disumanizzano. Quello che intendevo dire con il mio articolo è che un discorso sugli studenti che “restano indietro” è ipocrita (“No Child Left Behind”  era lo slogan della politica scolastica del repubblicano Bush, lo stesso le cui politiche hanno accresciuto il divario sociale ed economico negli Stati Uniti) senza una considerazione più ampia sui rapporti tra scuola e società. La scuola, lo ripeto, non fa miracoli, se è isolata. Se davvero interessa affrontare il problema di chi resta indietro – e sarei felicissimo se il governo se lo ponesse – allora occorre lavorare seriamente (e cioè: investendo soldi, molti soldi) per creare un solido sostegno sociale al lavoro degli insegnanti. Non c’è buona pedagogia senza buona economia. E non c’è buona economia senza lotta seria, non retorica, alla disuguaglianza. Tenere le scuole aperte a giugno, in mancanza di questo impegno più ampio, e strutturale, è nulla più che un’uscita populista.

 

TAG: mario draghi, Paolo Fasce, scuola
CAT: scuola

3 Commenti

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  1. salvatore-salzano 3 anni fa

    Caro Antonio, leggo sempre con molto interesse i tuoi articoli, e spesso mi trovo in totale accordo con quanto scrivi. Questa volta però vorrei farti notare un aspetto che non condivido.
    Hai, giustamente, detto che utilizzavi uno strumento come Moodle che ti aiutava nella creazione della comunità didattica, e che non puoi più utilizzarlo perché il ministero ha imposto gli strumenti di Microsoft e Google.
    Sicuramente al ministero agiscono delle lobbies, e facciamocene una ragione (ci ricordiamo tutti delle LIM!), ma nessuno può importi l’uso di uno strumento piuttosto che un altro. Nell’istituto dove insegno il dirigente ha chiaramente affermato che la scuola avrebbe fornito una soluzione di minimo per tutti quelli che non sapevano come fare, basata su Meet e Classroom, e poi ha ribadito che tutti quelli che hanno altre preferenze per altri strumenti sono liberi di farlo, in quanto questo rientra nella libertà di insegnamento che è costituzionalmente garantita, ed anzi ha invitato a farlo e diffondere fra i colleghi anche soluzioni alternative, per arricchire il patrimonio di competenze presenti nell’istituto.

    Inoltre tale concetto è esplicitamente ribadito anche dal rapporto finale del comitato tecnico, presieduto da Bianchi (attuale ministro) che a pag. 51 recita:
    “Gestione delle piattaforme didattiche
    Diversa e maggiormente articolata è la gestione delle piattaforme didattiche: le garanzie costituzionali
    (libertà di insegnamento e autonomia delle istituzioni scolastiche), le condizioni di mercato (i sistemi piat-
    taforma sono proposti da operatori commerciali in regime di concorrenza) e le molteplici e ricche espe-
    rienze maturate dalle scuole, impongono di continuare ad assicurare l’eterogeneità di soluzioni e la con-
    vivenza a livello di sistema di piattaforme diverse. L’eterogeneità ben si adatta anche all’uso diversificato
    di strumenti e device da parte di docenti e studenti, che possono in questo modo sperimentare vari ap-
    procci e soluzioni all’interno di ambienti comunque protetti a livello istituzionale. Considerata anche la
    velocità con la quale vengono sviluppati sempre nuovi strumenti digitali, risulta ragionevole assicurare la
    piena libertà di sperimentare nuove formule e di introdurle nella scuola con un processo di continua ri-
    cerca e aggiornamento tipico del digitale.”
    (link: https://www.miur.gov.it/web/guest/-/rapporto-finale-del-comitato-di-esperti-istituito-con-d-m-21-aprile-2020-n-203-scuola-ed-emergenza-covid-19 )
    Quindi, in conclusione, se per caso qualcuno ti ha imposto di rinunciare a Moodle, non solo mostra di essere una persona poco competente e sicuramente male informata nel merito della questione, ma sta violando un tuo sacrosanto diritto, (e anche dovere, perché essere libero da condizionamenti è un dovere per un insegnante). Siccome l’insegnamento vive più esempi che di parole (e tu questo lo sai e lo ribadisci continuamente nei tuoi scritti) ti dico: reagisci, usa gli strumenti che preferisci, e spiegalo ai tuoi studenti.

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  2. andrea-lenzi 3 anni fa

    1. l’evasione fiscale vaticana, inventata da Berlusconi e permessa da ogni partito che non voglia inimicarsi i cattolici, è enorme.

    2.La scuola pubblica del nostro stato laico deve pagare gli “insegnanti” di religione 1 MILIARDO 200 MILIONI all’anno di soli stipendi (seguiranno le pensioni), che sono una vera e propria pubblicità alla superstizione cattolica e servono a generare consenso che poi influenza il parlamento (senza contare la presenza di crocefissi e presepi, spesso imposti a forza).

    3. parte del budget della scuola pubblica lo stato lo devolve alla scuola privata, ancora una volta perché è al 99% cattolica, con la scusa è che la pubblica non basti a soddisfare la domanda (falsità sbugiardata dall’indagine dell’istituto Agnelli, senza contare che se, realmente non ce la facesse, basterebbe fare un piano per renderla operativa in n anni, destinandole risorse con cadenza regolare e secondo un piano, la mancanza del quale parla chiaro: si vuole lasciare immutata la situazione a favore del vaticano)

    Tutto ciò porta all’impoverimento della scuola, dello stato, a favore di un potere cattolico che poi preme per leggi a proprio favore e contro fasce di cittadini (gay, chi chiede eutanasia et cetera)

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  3. naciketas 3 anni fa

    Il dirigenti hanno fatto forti pressioni sui docenti, motivando l’uso di piattaforme Google e Microsoft con due argomenti: la difesa della privacy (argomento surreale) e la necessità di usare un unico strumento, per non disorientare gli studenti. Altri dettagli non posso darli, perché noi docenti non possiamo parlare pubblicamente di quello che accade nella nostra scuola senza incorrere in provvedimenti disciplinari.

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