Symbolum

:
4 Aprile 2021

lo diede ai suoi discepoli   (Matteo 26,26)

 

Nella notte, le strade dell’addio:

strade che portano a tacere

nel buio; al nascosto mistero.

Al dio vero e abbandonato,

a un amore lasciato cadere. All’altare

nei campi, appena schiarito

da fari di auto veloci

come lampi di luce,

o raggi pietosi penetranti.

Ma l’ostia spezzata chiude il gesto

per sempre, e tutto è compiuto

nella notte senza voci,

senza aiuto.

 

Fu tradito: una porta sbarrata,

il passaggio taciuto, o chissà

che miscuglio nel vino.

E c’era chi brindava, c’era chi bestemmiava

lì intorno.

Più lontano qualcuno godeva

tra lenzuola macchiate,

rito antico a chiusura

di una indegna vittoria.

Oltraggio verso una storia arresa;

il tradito implora pietà

da chi lo consegna al nemico

perduto, anche lui,

di paura.

 

Prese il pane materia, il pane grano

nostro quotidiano sostentamento.

Pane del padre e simbolo di fame

per sempre domata, sudore di terra

o immeritata manna dal cielo.

Mano di madre che si infarina,

forno di legna, cenere e fuoco.

Crosta dorata, profumo

che lento si sparge in cucina.

Prese il pane e lo spezzò,

nutrimento della carne;

guardò fuori

aspettando il rumore del giorno.

 

Grazie per l’aria e per la luce,

grazie per la croce futura.

“Nolite quaerere a Deo”, sola preghiera

riconoscente, misura di un sorriso,

del ginocchio piegato.

In questa sera oscura, o truce notte

ardente; fatti benedizione,

voce dall’alto, “nisi Deum”,

ha supplicato:

ucciso.

 

Lo diede offerta, gratuito dono,

– amici non più servi – disse;

mangiate tutti, mangiamo insieme

in questa cena ultima, mia mensa

e mia comunità. Certa alleanza

perché non vi abbandono,

unica vera vena del cuore

e ricompensa, umanità di Dio

raccolta in una stanza.

 

Corpo sacrificato, sacrificante

corpo: muto, in ascolto, angosciato,

tremante nell’ orto. Corpo

rivestito di spini e sudari,

vivente carne sofferente;

corpo svuotato, fino alla morte

obbediente: spogliato e sputato.

Come agnello portato al macello;

sgozzato, mangiato.

E fu sepolto.

Risorto poi, corpo glorioso elevato,

liberato dal male, rinato.

Corpo sdoppiato

eterno e bambino, immobile

e in cammino: anima crocefissa

alla materia, anima bella, luce

da luce generata.

Questo è il mio corpo,

umano e divino.

 

Sangue vendemmia raccolto

in un calice, deterso dal volto,

mani inchiodate e cuore trafitto;

sangue stillante dai rami,

dai mali di ogni palestina;

rappreso incrostato indelebile,

castigo e delitto,

flebile pianto di neonato,

canto roco di uno

disperso nel deserto, mestruo

colante di babilonia.

Sangue che intride la terra

e stride vendetta, si infetta

per una ferita veniale;

sangue di carneficina

o di cerimonia nuziale,

di agguato e di guerra.

Sangue di vite e di una vita,

linfa di tralci aggrappati

alla vigna, sangue

che danza inebriato,

esplode di stupore,

si immola per amore.

 

Per voi, per tutti: l’offerta, il dono.

Che è perdita

di corpo e di pensiero, parola e gesto;

rinuncia alla memoria,

aperta resa

al non più io, al noi,

al resto.

O dio – mio dio. Se pesa

questo lasciare

la propria storia,

sola certezza, vero che sazia…

Cosa chiedere poi?

Grazia e perdono.

 

Remissione, assoluzione,

ritorno al prima e nuovo inizio;

magica forza dal niente

al tutto, da notte a giorno.

Servizio

di clemenza e pietà,

abiura del peccato,

impostura del male:

nihil videbat, il dannato,

nel tombale silenzio.

Improvvisa la luce

cum ipso et in ipso.

Carità.

 

In memoria. Non cancellate,

mantenete il ricordo:

ogni parola serbate, il bene

il tempo la preghiera.

Quello che è destinato a sparire

– il non ritorno, gloria del nulla.

Ora della passione,

crocifissione cosmica,

il vuoto sordo e cieco.

Morire del giorno, e sera

inesorabile.

Ma poi di nuovo aurora,

il chiaro, l’eco di una risposta

che aspettavate;

e c’è.

Questo fate,

in memoria di me.

 

 

Garda, febbraio 2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TAG: Pasqua, poesia
CAT: Letteratura

3 Commenti

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  1. andrea-lenzi 3 anni fa

    il mondo intero ha bisogno di LAICITà, ovunque, a cominciare dalle scuole di ogni grado, al fine di sottrarre credibilità alla superstizione religiosa, eterna fonte di divisione, di maschilismo, omofobia, intolleranza verso chi non crede e verso chi vuole rispetto per i propri diritti quando questi siano in contrasto con la superstizione di turno.

    La mediazione, il dialogo interreligioso et cetera sono utili quanto asciugare l’acqua a terra invece di riparare il tubo che perde:

    utili nel breve periodo, ma non risolvono il problema, poiché una gran parte della popolazione mondiale non ha gli strumenti intellettuali per opporsi alla propaganda religiosa, ed una fetta di questa parte diviene inevitabilmente intollerante ed i credenti moderati raramente si battono contro tale intolleranza, o perché rischiano la vita, o perché i problemi delle categorie discriminate dalla religione non li riguardano personalmente (divieto di matrimonio gay, divieto di eutanasia et cetera)

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  2. andrea-lenzi 3 anni fa

    per fare del bene non occorre alcuna superstizione religiosa, mentre questa è terreno perfetto per l’intolleranza, verso le donne, i gay, chi crede ad altre superstizioni, chi non crede, chi vuol fare valere i propri diritti in contrasto con la religione imperante nel pasese dove vive

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  3. alidaairaghi 3 anni fa

    Grazie dei suoi commenti. Non sono credente, ma rivendico il diritto intellettuale ed emotivo alla condivisione del mistero millenario della sofferenza innocente, che spera in un riscatto sempre procrastinato. Il dolore di chi viene tradito, perseguitato, portato al macello come l’agnello di Isaia, nel silenzio complice dei più, rimane irredimibile.

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