Italia
Il dolore, per essere notizia, deve avere sangue visibile.
Muoiono di fame e sete, e non restano nemmeno le parole.
Trump ha vinto. Leone XIV è stato eletto Papa. Francesco se n’è andato. In poche ore, la cronaca ha trovato il suo corteo di volti, voti, funerali. Ma in questo carosello di commenti e copertine è scomparsa un’altra notizia. Più piccola, più scomoda, più lontana. Due bambini e un uomo sono morti di fame e di sete nel cuore del Mediterraneo. Erano su un gommone partito dalla Libia, alla deriva da giorni. Il 10 maggio, la nave umanitaria Nadir della ONG tedesca ResQship ha soccorso 57 persone. A bordo c’erano anche tre cadaveri: due bambini di circa due anni e un uomo di trent’anni. Secondo i sopravvissuti, erano morti di stenti dopo giorni di navigazione. La notizia è stata riportata l’11 maggio da Domani e L’Unione Sarda. Poi è scomparsa.
Non c’è stata alcuna indignazione. Nessun appello. Nessun monito. Solo tre corpi asciugati dal sole. Dicevano che i bambini avevano due anni. E già non avevano più voce. Né pelle. Né nessuno che li aspettasse. Non sono morti annegati. Sono morti con lentezza. In silenzio. Di fame. Di sete. Di disattenzione. È questo che rende la notizia insostenibile. Nessuno li ha colpiti. Nessuno li ha torturati. Nessuno li ha odiati. Sono semplicemente evaporati. Come il tempo. Come il senso. Come tutto ciò che ci riguarda ma non ci tocca.
Lampedusa li ha accolti con la compostezza di chi conosce la morte. Ha ricevuto le salme. Ha registrato. Ha sepolto. Poi ha taciuto. Ma il mare, lui, non tace mai. Tiene il conto. Sa distinguere chi è morto per errore da chi è morto per abbandono. E questi bambini non sono affogati. Sono stati lasciati lì, come numeri fuori scala, come eccezioni non degne di titolo. Perché non erano abbastanza. Perché non erano spettacolari. Perché il dolore, per essere notizia, deve avere sangue visibile.
C’è qualcosa di feroce in questo silenzio. Qualcosa che ci riguarda più della politica, più della guerra, più dei sondaggi. Riguarda il modo in cui guardiamo il mondo. O smettiamo di guardarlo. In cui decidiamo chi ha diritto a un lutto e chi no. In cui assegniamo valore alla vita in base al rumore che fa. E loro, quei due bambini e quell’uomo, non facevano rumore. Non avevano foto. Non avevano un nome. Avevano solo un corpo, e quel corpo non è bastato.
Non so cosa sia peggio. La loro morte o la nostra indifferenza. Ma so che c’è un punto preciso in cui un Paese smette di essere civile. Ed è quando si abitua. Quando archivia. Quando nemmeno i bambini bastano più a commuoverlo. Ed è esattamente lì che siamo arrivati.
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