Enti locali
Liceali a Palazzo Marino: l’attivismo che assolve la coscienza ma evita la responsabilità
Nel cuore della seconda città d’Italia, il Consiglio comunale si dedica con passione a temi planetari,
dimenticando però che amministrare richiede studio, competenze e – purtroppo per loro – anche qualche responsabilità.
In questi ultimi anni, Milano ha attraversato fasi cruciali della sua vita amministrativa — dal governo del territorio alla transizione ecologica, dalla mobilità alla casa — senza mai potersi permettere il lusso di un Consiglio comunale all’altezza della complessità in gioco. Anzi. Più spesso, si è assistito a un’aula spaesata, incapace di cogliere il senso delle decisioni in discussione, senza strumenti tecnici né cultura amministrativa per affrontare le sfide quotidiane dell’azione pubblica.
A fronte di questa impreparazione strutturale, si è sviluppata una vera e propria economia parallela della rappresentanza: una produzione instancabile di mozioni su temi di carattere generale, etico, umanitario, geopolitico e, a volte, persino cosmico. Mozioni che non comportano alcun effetto amministrativo, non modificano lo stato delle cose, non impongono impegni concreti.
Eppure vengono portate in aula con solennità, votate come attestati morali, celebrate sui social come certificazioni di esistenza politica. Sono, in sostanza, la prova che un consigliere — o un gruppo — c’è, anche se non ha capito bene dove.
Anche se questo è un fenomeno generalizzato e non solo tipicamente milanese, l’impressione è che molti dei rappresentanti eletti si muovano tra gli scranni di Palazzo Marino come se fossero ancora al liceo: stesse dinamiche assembleari, stessa retorica da occupazione, stessi temi universali trattati con lo slancio dell’indignazione e la leggerezza dell’irresponsabilità. Con la differenza, non trascurabile, che in questo caso ci sono indennità, ruoli istituzionali e un mandato pubblico in gioco.
L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è l’iniziativa per proiettare sulla facciata di Palazzo Marino la scritta “All Eyes on Gaza”. Lodevole nella sua intenzione umanitaria, ma discutibile nei termini della funzione istituzionale. Un’iniziativa emotivamente carica, senza dubbio, ma istituzionalmente fuori fuoco.
Perché una cosa è dichiarare solidarietà, un’altra è alimentare una forma di attivismo simbolico che non produce né effetti concreti né consapevolezza amministrativa. Si tratta, piuttosto, di un’ennesima scorciatoia comunicativa: un’azione che assolve la coscienza pubblica e personale, senza richiedere alcuna assunzione di responsabilità.
E invece sarebbe proprio questo il salto di qualità: sostituire il gesto simbolico con un gesto tangibile. Se i consiglieri volessero davvero dimostrare attenzione verso crisi umanitarie o tragedie globali, potrebbero — ad esempio — devolvere parte della propria indennità a organizzazioni umanitarie, sostenere progetti di cooperazione, promuovere reti operative tra città, magari persino lavorare per costruire strumenti normativi utili.
Un modo per unire l’espressione di valori con un impegno misurabile, concreto, verificabile.
Non è questione di negare lo spazio ai temi etici ma ricordare qual è l’etica della politica. Sottolineare che l’azione pubblica, anche quando tocca questioni universali (e il tema di Gaza lo è!), richiede forma, contenuto e responsabilità. Illuminare una facciata non è amministrare. Governare una città, invece, sì. E per farlo non basta sapere cos’è giusto. Serve sapere anche cosa è di competenza del Comune, cosa è normato da altri livelli istituzionali e, soprattutto, cosa significa davvero “rappresentare” una comunità.
In un periodo storico in cui il ceto politico è fortemente screditato, e la distanza tra cittadini e istituzioni si allarga ogni giorno, sarebbe doveroso tentare di ricucire questa frattura con atti tangibili, dimostrando che la delega ricevuta è ben spesa, esercitata con senso del limite e del dovere. Perseverare nell’irresponsabilità, nel simbolismo sterile, nell’attivismo a costo zero significa invece alimentare la percezione che le istituzioni rappresentative siano diventate il campo giochi di una classe politica chiusa nella propria bolla autoreferenziale.
Finché questo passaggio non verrà compiuto, continueremo ad assistere a un Consiglio comunale in cui si dibatte del destino del mondo senza aver ancora capito perché si fa o come si approva una variante al PGT o perché sotto il naso dei consiglieri sono passate iniziative come Scali ferroviari, Villaggio Olimpico, SCIA come se piovesse oppure perché a Milano non esistono praticamente più piscine pubbliche.
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