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Letteratura

La solitudine del Grillo (Pamphlet sul vuoto funzionale del M5S) -parte quarta-

di Oscar Nicodemo
12 Aprile 2021

Il movente, dunque, di questo mio esperimento letterario è logicamente un altro. Lo svelo subito, arrivandoci senza troppi fronzoli.
Signore e signori, creduloni e non, questa dilettevole fatica ha il paradossale e quasi inammissibile fine di dimostrare che il signor G potrebbe essere la persona, che, più di tutte, nutra una profonda disistima nei confronti della truppa parlamentare del M5S. Egli ne ha una concezione infinitamente più bassa di quella che potrebbe averne il più impenitente dei radical chic.
Il signor G sa perfettamente che nessuno dei suoi “onorevoli” sia in grado di apportare alle cause del partito un contributo di idee, o migliorarne l’immagine a livello culturale e dialettico, trattandosi di persone scelte e premiate oltre ogni irragionevole merito e capacità. Identificati dall’opinione pubblica come dei “miracolati”, in effetti lo sono per davvero, tanti di loro svolgono per la prima volta un’attività, ed è quanto meno strano che esercitino, al debutto della loro vita professionale e lavorativa, le mansioni di classe dirigente del paese. Ad ogni modo, più il loro ruolo è importante, maggiore è il discredito che il signor G mantiene nei confronti di questi deputati e senatori per grazia ricevuta. Ovviamente, in una siffatta distribuzione di biasimo, Luigino Di Maio è, senza alcun dubbio, la persona che ne incassa di più, dimostrandosi un campione rispetto al resto del gruppo. D’altra parte, che l’interprete tormentato del congiuntivo sia un fuoriclasse dell’inabilità, lo dimostra ogni qualvolta si avventura in una frase complessa, che superi la semplicità dello schema soggetto-predicato-complemento oggetto.

Ecco, quando l’attivismo politico del signor G cominciava ad avere una considerevole forza d’impatto presso una grande parte dell’elettorato, si è reso necessario scegliere i paladini che avrebbero dovuto rappresentare il movimento alle elezioni. E, a questo punto, è stata fatta una “deselezione” all’interno del M5S, seguendo canoni di valore a dir poco perversi: non credo, infatti, che un attivista fornito di autonomia intellettuale e, dunque, di capacità critiche indipendenti e non indotte, fosse da preferire rispetto a un altro che non andava oltre la ripetizione pappagallesca della formula dialettica del “Maestro”. E, l’incolto, impreparato e incompetente Di Maio, sin da subito, secondo la congettura appena esposta, ha dato ampia dimostrazione di saper cinguettare secondo istruzioni e volare basso, essendo del tutto incapace di intraprendere un percorso alternativamente più alto dell’ideale linea di crociera del partito, che aveva un’esigenza strategica di conservarsi come una forza non intellettualizzata e intellettualizzabile, preferendo un atteggiamento demagogico pregno di contenuti di facile assorbimento e volto ad assecondare la rabbia popolare. Sarebbe, questa, la definizione spregiativa, comunemente intesa, del termine “populismo”, ideologicamente distante da quello sviluppatosi in Russia tra l’ultimo quarto del sec. XIX° e gli inizî del sec. XX°; che aveva ragioni intrinseche e finalità ben più nobili. Non mi piace, infatti, definire populisti i pentastellati, poiché lo sono nell’accezione che il linguaggio politico moderno conferisce alla parola, non nel suo significato di origine.

Ritornando al tracciato iniziale, ci si potrebbe, ora, chiedere: perché, al di là di una convenienza scontata e un normalissimo spirito di scuderia, il signor G dovrebbe nutrire della stima per Di Maio e affini? Questi è, forse, particolarmente intelligente, avveduto, estroso, da colpire una sensibilità creativa e molto ricettiva come quella forgiata da un comico di successo? Per impressionare il signor G ci vuole ben altro che gente come i senatori e deputati che egli stesso ha ficcato in parlamento!
Da artista, il signor G ha mostrato coraggio e bravura nel disporsi contro il potere. Ricordo bene che, negli anni ’80, in piena egemonia socialista, riservò, al partito guidato da Craxi, delle punzecchiature che gli costarono l’immediato allontanamento dai programmi della Rai. Il signor G conosce bene i meccanismi perfidi che reggono il potere. E, ha una compiuta visione delle personalità che sanno renderlo influente. Egli sa, altrettanto a meraviglia, che nessuna antica ed elevata virtù dell’animo umano si rende utile al potere. Insomma, il signor G, anche in veste di politico, è una persona navigata, avendo sviluppato una coscienza talmente attrezzata da saper valutare, in ogni istante, il valore effettivo di chiunque si muova in questo campo, avversari compresi.
Consapevole che i suoi siano bipedi da tenere al guinzaglio, poiché naturalmente disposti a ricevere ordini, sempre e comunque, egli ne ha fatto dei parlamentari la cui impersonalità esprime uno dei princìpi cardini del grillismo: la rappresentatività parlamentare concepita come conseguenza di un input proveniente da un capo e non come somma di un confronto interno in ambito istituzionale e parlamentare. Cosicché, decisioni importanti, come per esempio la fiducia al governo, vengono demandate, anche dal punto di vista formale, alla farsesca piattaforma Rousseau (la volontà del capo), svilendo, di fatto, la funzione parlamentare dei “miracolati” in nome e per conto di una truccatissima democrazia interna, che millanta scelte collettive, operate dal basso.
(continua)

beppe grillo Luigi Di Maio m5s politica italiana
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