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Milano

Cara Festa dell’Unità, chi ti ha autorizzato a rubarci Enzo Jannacci?

di Michele Fusco
26 Agosto 2016

Immagino che il Pd abbia chiesto a Paolo e che Paolo, da persona timida e perbene, abbia sentito tutto l’orgoglio di figlio in quella dedica: chiamare «Enzo Jannacci» uno dei due palchi della Festa dell’Unità milanese. L’altro, più stringente, è intitolato ad Altiero Spinelli. Il sì di Paolo dovrebbe ricomprendere quindi tutti noi che abbiamo amato Enzo e pianto nel momento in cui “sto Rivera non mi segna più”? Qui la questione si fa più sottile e allarga il suo raggio d’azione all’uso dei simboli. L’uso dei simboli applicato a un partito politico solleva più di un interrogativo e decidere di sovrapporre uno all’altro è spesso faccenda unilaterale. Nel senso: quale consultazione cittadina – intendendo per “cittadina” bar pasticcerie (Gattullo e altri), tram, autobus/filobus, scuole, postriboli, stadio, bische, panifici, mercerie, locali notturni, insomma tutti i posti che il nostro Enzo avrebbe potuto allegramente frequentare – è stata imbastita dal pregiatissimo segretario Bussolati per poi concludere che quel nome così importante, lo zione di tutti gli emarginati, potesse autorevolmente concorrere alla riuscita della “loro” Festa dell’Unità milanese? Interrogati sulla questione specifica, molti cittadini milanesi avrebbero risposto che no, giù la mani dal nostro Enzino, giù le mani voi e giù le mani chiunque, di qualunque partito, abbia voglia di metterci il cappello sopra. Sono fatti così quegli emarginati lì che siamo noi, non ci sentiamo omologati, non vogliamo essere omologati (Enzo, interrogato sull’argomento, cosa avrebbe risposto?).

Ecco perchè quel 5 aprile del 2014 ci siamo commossi davvero, quando la casa di via Ortles è diventata «Casa Jannacci». Una bellissima roba, la chiamiamo roba perchè è bella, materialmente bella e già chiamarla iniziativa o idea perderebbe di valore. Quella roba lì l’ha fatta Pierfrancesco Majorino e la sintesi del sociale spesso sta paradossalmente sospesa tra gli ultimi e quelli famosi e la capacità di rendere vivi i due estremi, di unirli virtuosamente in favore della città, fa di un politico anche un buon politico. Ora, se dovessimo venire a sapere che Majorino ha messo la zampa in questa ideona del palco della Festa, un po’ ci dispiacerebbe per il tradimento di un’idea. Perché è abbastanza chiaro, vero, che Casa Jannacci è di tutti e il Partito Democratico probabilmente no o non ancora almeno?

E poi ci sono ancora e sempre le questioni di stile, che consiglierebbero di non rubare niente a nessuno. Non rubare identità, appartenenze, modi di vivere, tormenti, gioie, squadre di calcio. Non ci vorrebbe troppo per capirlo. Anzi per sentirlo. Perché ci vuole orecchio.

Pd
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