La linea rossa di Trump

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8 Aprile 2017

“Nessun bambino dovrebbe mai soffrire un simile orrore”. Con queste parole Donald Trump ha annunciato di aver ordinato un attacco missilistico contro la base siriana di Shayrat da cui secondo il Pentagono è decollato l’aereo siriano che martedì ha eseguito l’attacco chimico su Idlib. 59 missili Tomahawck sono stati lanciati da due cacciatorpediniere USA classe Arleigh Burke (USS Ross e USS Porter) schierate nel Mediterraneo.

Washington ha avvertito preventivamente il ministero della Difesa di Mosca per permettere l’evacuazione della base, come riporta una nota stampa diffusa dal portavoce del dipartimento della Difesa Jeff Davis. I primi bilanci dell’attacco parlano di 20 jet distrutti, scalo non più agibile, 6 militari uccisi, tra cui un alto ufficiale, e 7 feriti oltre ai danni materiali.

Le reazioni

Ferma la reazione della Russia. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha affermato che l’attacco americano contro la Siria è “un’aggressione contro una nazione sovrana al di fuori del diritto internazionale” che sta causando “un forte danno alle relazioni tra Stati Uniti e Russia”. Il Primo Ministro Russo Medvedev ha avvertito: siamo all’orlo di uno scontro militare aperto fra Russia e Stati Uniti, inutile negarlo”. Il Cremlino ha inoltre sospeso il memorandum di intesa con la coalizione USA per i voli militari in Siria, anche se al momento la visita di Tillerson a Mosca prevista per l’11 e il 12 aprile resta confermata.

Anche l’Iran ha condannato fermamente l’attacco. Un portavoce del ministro degli Esteri avrebbe dichiarato all’agenzia di stampa Isna che Teheran “condanna l’uso di armi chimiche, ma allo stesso tempo si oppone a questo tipo di attacchi unilaterali che rischiano di rafforzare i terroristi in Siria e complicare la situazione nel Paese e nella regione”. Il Ministro degli Esteri di Tehran Javad Zarif ha invece scritto su Twitter che “Nemmeno venti anni dopo l’11 Settembre, gli Stati Uniti decidono di allearsi e schierarsi con Al Qaeda e l’ISIS invece che con quelle forze che stanno cercando di sconfiggerli”

La reazione della Cina è stata molto prudente. Mentre il presidente cinese Xi Jinping era in visita da Trump in Florida, il portavoce del ministero degli esteri a Pechino ha auspicato “una soluzione politica quanto mai urgente” e invita “le parti a mantenere la calma e evitare escalation”. Prevedibile, invece, la reazione della Turchia. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha affermato che «deve essere stabilito un governo di transizione senza Assad. Deve essere rimosso il più presto possibile».  L’Italia, attraverso il Primo Ministro Paolo Gentiloni e il ministro degli Affari Esteri Angelino Alfano, ha parlato di “attacco motivato da un crimine di guerra” e di “risposta proporzionata”, auspicando che il negoziato riparta.

Francia, Germania e Gran Bretagna hanno dichiarato il loro assenso all’attacco di questa notte. Il presidente Francois Hollande e la cancelliera Angela Merkel in una nota congiunta hanno scritto che «su Assad pesa l’intera responsabilità del raid. La Francia e la Germania proseguiranno gli sforzi con i loro partner nel quadro dell’Onu per sanzionare in modo più appropriato gli atti criminali e l’uso di armi chimiche vietate dai trattati». Il ministro della Difesa britannico, Michael Fallon, ha parlato di «un attacco molto limitato e appropriato» e ha confermato stretti contatti «a tutti i livelli» con Washington.

L’inversione di rotta

L’attacco di questa notte rappresenta un’inversione di rotta clamorosa, se si considera che fino a 48 ore prima gli Stati Uniti sembravano concordare con la Russia sull’opportunità di sostenere il presidente siriano almeno in questa fase. L’inversione di rotta è stata anticipata dalle dichiarazioni con cui Rex Tillerson poche ore prima dell’attacco aveva perorato l’uscita di scena di Bashar al-Assad.

Molti commentatori avevano ipotizzato che Trump sarebbe stato un presidente isolazionista, sulla base del suo richiamo all’America First, delle sue critiche all’intervento in Iraq del 2003 e delle sue aperture verso la Russia. L’attacco di questa notte sembra smentire questa ipotesi. Del resto, se sei il Presidente degli Stati Uniti d’America difficilmente puoi permetterti di tirarti fuori dalle beghe del mondo. Per quanto tu possa volerlo, prima o poi queste beghe verranno a bussare alla tua porta.

Tuttavia, questa inversione di rotta non deve essere sopravvalutata. Il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, HR McMaster, ha infatti chiarito che l’attacco “non cambia la postura degli Stati Uniti in Siria”, sottintendendo che gli Stati Uniti Uniti non intendono aprire un conflitto su vasta scala in Siria e che il loro obiettivo principale resta colpire lo Stato islamico.

I risvolti

L’attacco sembra principalmente un’azione dimostrativa. Trump sembra aver voluto dimostrare ad Assad e ai suoi alleati russi e iraniani che l’utilizzo di armi chimiche è una violazione del diritto internazionale non tollerabile, alla Corea del Nord di essere pronto a condurre azioni rischiose in scenari complessi, all’opinione pubblica americana di essere un presidente decisionista in grado di far tornare grande l’America come promesso in campagna elettorale.

I risvolti di questo attacco non possono essere previsti. Il fatto che l’azione militare degli Stati Uniti sia rimasta circoscritta permette ai vari attori coinvolti nel conflitto siriano di tornare al tavolo negoziale. E’ opportuno però che tutti mantengano la calma, indipendentemente dalle dichiarazioni che in queste ore vengono rilasciate più ad uso domestico che diplomatico.

Non dobbiamo dimenticare che nel nord della Siria vi sono centinaia di soldati americani a supporto delle Syrian Democratic Forces che sono dirette verso Raqqa. Se questi soldati finissero sotto attacco da parte del governo di Damasco o di Mosca, così come se finissero sotto attacco i bombardieri che fanno loro da scorta aerea, rischieremmo di andare incontro ad un escalation militare difficilmente controllabile.

Occorre domandarsi cosa abbia ottenuto Trump con la sua azione militare. Per caso gli Stati Uniti e i suoi alleati sono più sicuri? La soluzione della crisi siriana è più vicina? Assad è più debole? La Russia ha perso posizioni? I civili in Siria sono più al sicuro? L’impressione è che Trump non sappia realmente cosa vi sia oltre la nuova linea rossa che ha appena tracciato e, più in generale, che non abbia alcuna strategia alternativa a quella del suo predecessore. Avere una simile strategia significherebbe infatti sapere cosa fare nel caso in cui il regime siriano ripeta l’operazione di martedì o nel caso in cui si verifichi un incidente con le forze di Assad o con quelle dei suoi alleati russi e iraniani. Soprattutto, significherebbe sapere come risolvere il caos della Siria e di quell’area.

 

TAG: Bashar Al-Assad, diritti umani, Donald Trump, Guerra in Siria, Valdimir Putin
CAT: Africa, Medio Oriente

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