Dalle stelle alle stalle. La storia di Samuele, da chef ad allevatore

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14 Novembre 2023

Quanti di noi hanno avuto la fortuna di scegliere un lavoro, per il quale si sentivano votati, magari un sogno coltivato sin da bambini, all’inizio sperato, irrealizzabile, ma mai accantonato, anche quando le condizioni di vita imponevano scelte diverse. Per necessità ci si butta in un’altra avventura, non quella desiderata, si spera in un gradimento che non arriva, il desiderio iniziale spinge forte, non molla, è sempre presente, offusca il lavoro scelto come alternativa, momenti di apparente soddisfazione alternati a momenti di noia e sconforto, nonostante gli ottimi risultati raggiunti, contornati da concrete possibilità di carriera. Non basta, il primo desiderio riaffiora e allora bisogna avere il coraggio di fare un salto nel buio, mollare tutto e ripartire da zero, con poche basi e il rischio di non farcela, lasciare il certo per l’incerto, servono un grande entusiasmo e un po’ di spregiudicatezza per rendere possibile un cambiamento radicale, non solo professionale, ma di vita.  È quello che è successo a Samuele, quella che leggerete è la sua storia. Ci troviamo sopra Varese, sulle colline che portano al monte Martica, qui è nata dodici anni fa l’azienda agricola “Elleboro”.

La nostra conversazione inizia durante una giornata piovosa, sotto un pergolato davanti a 12 ettari di terreno, la terra di Samuele, a tratti scoscesa, una buona parte a bosco dove pascolano asini e mucche, mentre il silenzio è interrotto dal grugnire dei maiali e dal belato di 35 capre nella vicina stalla, che probabilmente reclamano il pranzo. Ci fanno compagnia tre cani pastori bergamaschi che mi guardano incuriositi e si strusciano tra le mie gambe, forse per capire chi sono, mi trovo nel loro territorio, abbaiano, mi scrutano, io sono l’intruso, due richiami di Samuele e si accucciano vicini, da intruso divento ospite, tutto si quieta, fa freschino, due bicchieri di vino rosso aiutano a scaldarci, possiamo cominciare.

Com’è iniziato tutto?

Ho sempre avuto una passione per il lavoro manuale, a scuola me la sono cavata, ma non ero molto bravo, da piccolo il mio posto preferito era il bosco, le piante, i funghi, le castagne, il lago dove  andavo a pescare.  Bisognava però continuare a studiare, scelsi la scuola alberghiera, dopo tre anni per far piacere alla mia famiglia decisi di andare a Milano per fare il quarto e il quinto anno, cosa che a Varese non era possibile. È stato per me un trauma: il treno Varese-Milano, la metropolitana a Cadorna,, sempre di corsa e in affanno per arrivare in orario a scuola, un sacco di gente, dopo tre mesi ho mollato, mi mancava l’aria. Il desiderio di una maggiore manualità non veniva soddisfatto nell’ultima parte degli studi, che privilegiavano molta teoria e poca pratica. Tornato a casa da mio padre confessai la mia volontà di lasciare, la sua risposta fu: vai a lavorare. Ho iniziato come apprendista cuoco in qualche ristorante a Varese, dopo l’interruzione per la leva, allora ancora obbligatoria, mi sono trasferito in Francia per un corso di cucina e ci sono rimasto per oltre un anno, una bella esperienza che mi è stata utile, da lì è iniziata la mia carriera di cuoco, che è durata vent’anni. Ho iniziato da subito a lavorare nei ristoranti stellati, per me giovane era un traguardo, la crescita è stata continua, dalla Francia all’Italia e viceversa, poi mi sono fermato in Romagna, dove sono rimasto per dieci anni a lavorare negli alberghi a 4 e 5 stelle. Lì ho completato la mia formazione in seguito mi affidano l’apertura di un ristorante in un albergo a 5 stelle, un ruolo prestigioso che occupo con successo, ma dopo un certo tempo quel ruolo inizia a starmi stretto.

In che senso..

È arrivata la famiglia, non era simpatico stare fuori per 6-8 mesi l’anno. Sono tornato a Varese, ma non era facile trovare una situazione nella ristorazione che mi appagasse, lentamente è maturata l’idea di fare qualcosa a contatto con la natura, la mia grande passione. Ho cominciato qui, in questo posto che era di famiglia, inizialmente lavoravo durante la settimana, perché nel week end ero ancora impegnato nei ristoranti. Si tratta di una proprietà in mezzo ad un bosco, dove viveva una persona che svolgeva il ruolo di custode. C’erano solamente due mucche e due asini, ho acquistato le prime 10 capre e costruito la stalla. L’inizio è stato difficile, le figlie erano piccole abitavamo a 20 km di distanza, partivo prestissimo la mattina, arrivavo, mungevo, mettevo il latte nel frigorifero, scendevo al ristorante e finito il mio turno del pranzo salivo per mungere ancora e tornavo al ristorante per organizzare la cena. Al lunedì mattina, dopo due giorni di lavoro, mi restava il latte da lavorare per cominciare a fare qualche esperimento, nascevano così i primi formaggi. Dopo tre anni ho fatto il salto e ho deciso di aprire l’azienda agricola. Ora sono passati dodici anni, ma all’inizio non è stato facile farsi una clientela completamente nuova partendo da zero.

Nonostante la sua riservatezza, riesco a farmi dire alcuni fra i grandi nomi per i quali ha lavorato quando faceva lo chef: un’importante squadra di calcio di Milano, Ferrari e Maserati quando inaugurarono lo show room a Shangai, una bella esperienza sulle navi da crociera nel nord Europa.

Diciamo che quel tipo di lavoro mi ha permesso di fare molta esperienza, non solo lavorativa ma anche umana, ma l’elastico tirava di più verso la natura… Poi era diventato troppo industriale, bisognava aprire un ristorante in fretta, occuparsi del personale, sistemare tutto a puntino sapendo dell’arrivo delle guide per la valutazione, insomma l’artigianalità veniva meno. 

Non basta solo la passione per la natura e per gli animali, bisogna anche far quadrare i conti, sua moglie Stefania educatrice professionale, laureata in scienze dell’educazione, lavorava in una comunità psichiatrica e si occupava di persone con problemi mentali, ad un certo momento decide di abbandonare il suo lavoro e di seguire Samuele in questa avventura.

Sono fortunato perché la struttura è di proprietà e quindi non gravato da costi di affitto, ma l’inizio è stato difficile, devi investire negli animali, iniziare a produrre qualcosa, cercare i primi clienti e superare la loro diffidenza. Ci ho messo 5 anni per trovare una certa stabilità, che vuol dire riuscire a vendere tutto quello che produci senza particolari tribolazioni. Oggi ho il problema opposto, dovrei produrre di più, perché la domanda è superiore alla mia capacità produttiva, ma non ho nessuna intenzione di aumentarla. Nel periodo clou lavoriamo circa un quintale di latte di capra al giorno, cerchiamo di trasformarlo nel miglior modo possibile, privilegiando la qualità e tanti prodotti freschi, consegniamo oggi, se parliamo di fresco, il formaggio prodotto ieri. Le capre sono 35. La produzione di latte, adesso che siamo a fine stagione, scende a 40 litri e continua a calare fino a fermarsi, poi riprende e raggiunge l’apice in primavera. 

Non solo capre però…

Visto che le capre sono stagionali, nel senso che a novembre-dicembre si smette di mungere, ci sono i maiali allevati anche con il siero di lavorazione, ovvero la parte che sgronda dopo aver fatto il formaggio. Con 10 litri di latte riesci a produrre circa due kg di formaggio, i restanti otto litri sono il siero che, insieme alla farina, diventa alimento per maiali, un processo di economia circolare, che mi permette d non avere sprechi. I maiali sono cinque e d’inverno li trasformo, li porto al macello per farli macellare, poi faccio salami, cotechini, pancette ecc. Ci sono le manze, gli asini e tutto il territorio (12 ettari 120.000mq) parte a bosco e parte a pascolo. Anche il terreno ha bisogno di cure, le piante hanno il loro ciclo di vita, si ammalano, muoiono, bisogna fare la legna, noi ci scaldiamo con quella, il gas lo usiamo solo per cucinare. Vista la densità del territorio gli asini sono di grande aiuto per tenerlo pulito, sono liberi pascolano, mangiano l’erba, così come le manze. Poi ci sono le galline per le uova e i conigli che servono più che altro per auto consumo. Macelliamo due e tre manze,  poi componiamo le cassette con diversi tagli di carne e le vendiamo ai nostri clienti oramai abituali, in questo caso per la maggior parte privati che sanno come vengono cresciuti gli animali, come sono stati alimentati, fieno, erba, farina, niente schifezze. I formaggi invece sono destinati anche a 4/5 negozi. Sia io sia Stefania abbiamo i nostri giri, io ogni giovedì parto con la macchina carica di prodotti e mi reco dai clienti oramai diventati amici, che mi accolgono nelle loro case, è una cosa bella, se vuoi un po’ antica, si suona il campanello “è arrivato Sam dei formaggi”, si sta in compagnia si fanno quattro chiacchiere, magari bevendo un bicchiere di vino. 

Raccontami la tua giornata tipo

Sveglia alle 5, colazione con un tè intanto che guardo alla tv le principali notizie, poi in stalla a mungere e a trasformare il latte fino alle 11.30, nel frattempo Stefania, dopo aver accompagnato le nostre figlie a scuola, si occupa delle consegne. Al pomeriggio si impacchettano i prodotti, si puliscono le stalle, si taglia e l’erba, c’è il periodo dell’orto, dicembre- gennaio-febbraio sono mesi più tranquilli, perché la natura si ferma. Verso le 19 mi ritiro, in inverno anche un’ora prima, salvo che non sia in giro per consegne.

Come hanno vissuto le tue figlie, oggi adolescenti, questo tipo di vita definiamola diversa da quella delle loro amiche che vivevano in città.

Non è stato facile, le bambine erano piccole, io ero consapevole che la mia scelta avrebbe potuto creare qualche piccola difficoltà, ma l’ho fatto pensando di fargli vedere un mondo diverso. All’inizio erano molto appassionate alla natura, agli animali, la più piccola che aveva 5 anni era sempre in mezzo alle capre. Quando siamo arrivati non vivevamo nella casa che vedi, che è stata poi sistemata successivamente, ma in quella di fronte, dove ci scaldavamo solamente con il camino, che come immagini emetteva fumo, la bambine soprattutto la grande veniva derisa perché si portava dietro l’odore del fumo e questo per lei è stato un problema, era difficile accettare l’odore sui vestiti, sui capelli, non ha vissuto benissimo questa esperienza. Oggi le cose sono cambiate, certo soffrono ancora la difficoltà di raggiungere velocemente Varese per trovarsi con le amiche, ma presto arriverà anche per loro l’autonomia necessaria. Non mi pento della mia scelta perché ho dato loro la possibilità di conoscere due mondi, se vuoi vicini ma diversi.

TAG: agricoltura, allevamento, autoproduzione
CAT: Agricoltura, lavoro dipendente

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