La Corte di Trump

1 Febbraio 2017

Donald Trump ha scelto: Neil Gorsuch sarà il nuovo giudice della Corte Suprema, chiamato a sostituire il defunto Antonin Scalia. Quarantanovenne, si tratta di un profilo profondamente conservatore: nominato giudice federale nel 2006 da George Walker Bush, appare particolarmente duro sui temi eticamente sensibili (è un oppositore dell’aborto e dell’eutanasia). Un nome destrorso quindi, vicino alla prospettiva dottrinaria dello stesso Scalia. Non dobbiamo dimenticare infatti che da anni la Corte Suprema risulti spaccata in due scuole filosofiche contrapposte: gli originalisti (secondo cui la Costituzione poggerebbe su principi immutabili da salvaguardare) e gli storicisti (per cui la Costituzione andrebbe interpretata in base allo spirito del tempo). Se i primi sono tendenzialmente conservatori, i secondi risultano invece orientati al progressismo. Ed è chiaro capire come il profilo di Gorsuch sposi in pieno i crismi dell’originalismo, spostando così di nuovo gli equilibri della Corte nettamente a destra.

Non dimentichiamo infatti che attualmente i membri del massimo organo giudiziario statunitense siano nove. La morte di Scalia, avvenuta lo scorso febbraio, aveva determinato una sostanziale parità tra conservatori e liberali (quattro a quattro). In tutto questo, Barack Obama aveva scelto Merrick Garland come sostituto del defunto giudice: una figura centrista che aveva tuttavia finito con lo scontentare tutti: i liberal, che lo consideravano troppo moderato; e i repubblicani, che – di contro – non lo ritenevano degno di sostituire un conservatore duro e puro come Scalia. Proprio per questo, il Senato (a maggioranza repubblicana) si era fermamente opposto alla nomina, arrivando a uno scontro istituzionale con la Casa Bianca. Se i democratici affermavano che la nomina di Garland fosse una prerogativa presidenziale, il leader della Maggioranza al Senato, Mitch McConnell, rispondeva citando la cosiddetta “Regola di Biden”: riferendosi cioè a quando nel 1992 Joe Biden affermò che l’allora presidente George H. Bush non avesse diritto a nominare un nuovo giudice alla Corte Suprema in quanto giunto all’ultimo anno di mandato.

D’altronde, la questione finì ben presto con l’entrare nella campagna elettorale per le presidenziali. Gli avversari di Trump, a partire dal senatore texano Ted Cruz, usarono il problema della nomina per dipingere il miliardario come un repubblicano fasullo: un liberal camuffato che avrebbe sostituito Scalia con un progressista. Anche per questo, in estate Trump avanzò una rosa di nomi papabili di stampo nettamente conservatore. E anche così, si comprende la nomina di Gorsuch.

Parliamoci chiaro. Trump non è un repubblicano. Per formazione e per pensiero, il miliardario è molto più attiguo al progressismo liberal newyorchese. Del resto, quando nel 2000 si candidò alle primarie del Reform Party, lo fece partendo da una piattaforma programmatica molto spostata a sinistra. Per lungo tempo, ad esempio, il magnate è stato un abortista, salvo poi cambiare improvvisamente idea dopo essersi candidato con il Partito Repubblicano. In quest’ottica, la nomina di Gorsuch va evidentemente in questa direzione: accattivarsi le simpatie di quella destra repubblicana che – almeno in diverse sue aree – non ha mai amato eccessivamente il magnate e che ancora non si fida completamente di lui. Un modo quindi per cercare di compattare un partito ancora sostanzialmente spaccato. L’obiettivo è allora evidentemente quello di proporre una figura che – se possibile – ricordi quella di Antonin Scalia: un autentico mito agli occhi di grandissima parte della destra americana. Una decisione, quella di Trump, molto pragmatica e poco ideologica. Un tentativo di pacificazione in seno a un partito che minaccia costantemente fronde e divisioni.

Le incognite tuttavia restano. Innanzitutto, bisognerà vedere se il Senato alla fine confermerà la nomina di Gorsuch. Per quanto i repubblicani detengano al momento la maggioranza, i democratici promettono ostruzionismo, mentre non è del tutto escludibile qualche defezione dalle parti dell’elefantino: d’altronde non è un mistero che alcuni senatori repubblicani non aspettino altro che fare un velenoso scherzetto a Trump. L’ultima volta che un presidente si vide bocciare un giudice dal Senato in mano al suo stesso partito fu nel 1968: il liberal Abe Fortas, nominato da Lyndon Johnson, fu difatti bloccato da un’alleanza tra repubblicani e democratici segregazionisti. E le premesse affinché lo scenario si ripeta, quest’anno ci sono tutte.

Infine, attenzione: nonostante la nomina di Gorsuch sposti gli equilibri della Corte nuovamente a destra, questo non significa automaticamente che il massimo organo giudiziario risulterà asservito al neopresidente. E ciò non soltanto perché – come accennato – le idee di Trump non siano del tutto assimilabili al conservatorismo tradizionale americano. Ma anche perché i membri della Corte sono svincolati dalla volontà presidenziale e possono benissimo votare in opposizione a quello che teoricamente dovrebbe essere il loro schieramento politico di riferimento. Si pensi soltanto che l’attuale presidente della Corte, John Roberts (nominato da Bush nel 2005), due anni fa con il suo voto salvò di fatto l’Obamacare dallo smantellamento. In tal senso, è allora chiaro che il comportamento della Corte non sia assolutamente prevedibile e che eventuali contrasti con Trump non si possano affatto escludere.

 

 

TAG: Antonin Scalia, Donald Trump, Neil Gorsuch
CAT: America

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