Cattivo, duro, velenoso. Il secondo confronto televisivo, tenutosi a St. Louis (in Missouri), tra Donald Trump e Hillary Clinton ha mostrato un duello serrato. Dai toni aspri, accesi, irruenti. Toccando spesso il fondo sui contenuti e rivelandosi forse uno dei dibattiti presidenziali più trash che la Storia americana ricordi. Organizzato, come da tradizione, nella forma del town hall (con i candidati, cioè, che rispondono alle domande di un pubblico costituito da elettori indecisi), il faccia a faccia si è dipanato per novanta minuti con i due contender che hanno combattuto, alternando il confronto sulle questioni concrete con attacchi personali velenosi e maligni.
Trump è partito in sordina. Pallido e con le occhiaie, ha iniziato mostrando non poche difficoltà nel giustificare le parole sessiste pronunciate in un video diffuso venerdì dal Washington Post, che lo ha gettato nella bufera in queste ultime ore. Il miliardario ha detto di non essere orgoglioso di quanto proferito, sostenendo si trattasse di “discorsi da spogliatoio”. Ma i tentennamenti sono durati poco. Improvvisamente Trump ha sottolineato di aver pronunciato soltanto parole, mentre il marito della sua rivale, Bill Clinton, si sarebbe al contrario macchiato di abusi concreti su diverse donne. E a tal proposito il magnate ha chiamato direttamente in causa le stesse accusatrici dell’ex presidente. Hillary ha replicato, tacciando il rivale di sessismo e sostanziale razzismo ai danni dei musulmani e dei messicani. Ha quindi citato la first lady, Michelle Obama, per le sue critiche dirette al magnate. Trump ha risposto, notando che la stessa Michelle in passato non ha avuto parole particolarmente tenere per Hillary (la quale nel 2008 fu protagonista di uno scontro durissimo con l’attuale presidente per la conquista della nomination democratica).
Altro duello è avvenuto poi sulla questione delle email. Trump ha accusato l’avversaria di aver cancellato ben trentatremila email, insinuando avesse qualcosa da nascondere e auspicando addirittura un suo arresto. Hillary qui si è posta sulla difensiva: ha ammesso l’errore e ha chiesto scusa ma Trump non ha mollato la presa, mettendola seriamente in difficoltà e lasciandola particolarmente agitata.
Nuovo round sulla politica estera. Hillary ha accusato la Russia di hackerare i sistemi informatici statunitensi e ha tacciato Trump di essere pericolosamente vicino a Vladimir Putin. Il candidato repubblicano ha sostenuto la necessità di mantenere buoni rapporti con il Cremlino, soprattutto per il suo sostegno ad Assad in chiave anti-Isis. L’ex first lady si è detta contraria ad una simile prospettiva, proponendo il pugno duro con la Russia, nonché di intervenire attraverso forze speciali e addestratori sul campo in Siria. Inoltre, secondo Hillary sarebbe necessario armare i ribelli siriani: proposta rispedita al mittente da Trump, secondo cui una simile eventualità finirebbe soltanto con l’ingrossare le file del terrorismo. Nonostante ciò, il miliardario si è mostrato aleatorio sulla strategia complessiva da adottare in Siria.
Altro battibecco sulle tasse. La candidata democratica ha accusato il miliardario di non pagare da anni le tasse federali, notizia riportata recentemente da uno scoop del New York Times. Trump ha replicato di averlo fatto perché la legge glielo consentiva (approfittando di numerose deduzioni fiscali) e che diversi tra i finanziatori dell’avversaria (come George Soros) si sarebbero comportati esattamente allo stesso modo. Quando tuttavia gli è stato chiesto da quanto tempo non paghi le tasse, il magnate ha preferito glissare.
Alla fine, un siparietto poco credibile in cui i due riconoscevano un pregio dell’altro. Hillary ha avuto belle parole per i figli di Trump, lui invece le ha riconosciuto forza di volontà. “E’ una che non molla”, ha chiosato. Bellissime parole per due che hanno trascorso novanta minuti a dirsele di tutti i colori. Per Trump, Hillary è il male incarnato. Per Hillary, lui è inadatto a fare il presidente.
Il secondo confronto presidenziale si chiude con qualche punto interrogativo. Due i fatti da sottolineare principalmente. Innanzitutto, i costanti riferimenti a Bernie Sanders da parte di Trump per attaccare l’avversaria: un chiaro segno di come il miliardario stia cercando di accattivarsi le simpatie dell’elettorato del candidato socialista, un elettorato da sempre marcatamente anti-clintoniano. Un altro elemento da rilevare è poi il sostanziale disaccordo espresso dal miliardario con il suo vice, Mike Pence, sui rapporti con la Russia: falco Pence, colomba Trump. Una differenza di prospettiva notevole, che potrebbe aggiungere tensioni all’interno del ticket repubblicano.
Chi ha vinto il dibattito? Difficile dirlo. Hillary ha impostato tutto sulla figura del candidato presidenziale. Trump, come di consueto, su quella dell’outsider critico del professionismo politico. Il veleno è stato veramente tanto e non si sa quanto possa beneficiare ciascuno dei due candidati da questa performance. Hillary ha fatto il suo: ha difeso la propria posizione, talvolta con efficacia, talvolta mostrando qualche segno di nervosismo. Trump ha reagito: è riuscito a barcamenarsi in una situazione tumultuosa, assestando qualche colpo ma mostrando anche non poca reticenza. Al netto di tutto, il KO da parte di Hillary non c’è stato e il confronto di St Louis pare riaprire dei giochi che fino a poche ore fa sembravano irrimediabilmente chiusi. L’unico dato certo al momento è l’altissimo tasso d’odio mostrato dal dibattito. Un odio che non accenna a placarsi e che promette nuove scintille nei prossimi trenta giorni.
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Siccome nel mondo non c’è abbastanza odio, si sentiva davvero la necessità di due candidati che ne spruzzassero del loro. A questi due non interessa un accidente del bene del loro paese, interessano solo vanità e arrivismo (loro).