USA 2016, il repubblicano Scott Walker scende in campo

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13 Luglio 2015

“I’m in. I’m running for president because Americans deserve a leader who will fight and win for them” . Con queste parole, il governatore del Wisconsin, Scott Walker, ha annunciato su Twitter la propria discesa in campo per le primarie repubblicane del 2016. Un tweet a cui è seguito un video: un video in cui Walker ha asserito di essere un “combattente”, un uomo di leadership, dimostrata sul campo negli anni. E adesso si aspetta un discorso.

Un nuovo candidato si aggiunge dunque alla già folta pletora dei competitor repubblicani. Un candidato certamente non improvvisato che da mesi ha una strategia ben precisa: essenzialmente basata su due fattori principali.

In primo luogo, troviamo la sua azione amministrava come governatore del Wisconsin: un’azione che gli ha permesso, nel corso degli anni, di cucirsi addosso l’immagine di uomo forte, in grado di debellare energicamente avversari politici, nonchè interessi corporativi e sindacali. In quattro anni ha vinto difatti le elezioni governative in Wisconsin per ben tre volte consecutive, battendo anche il democratico Tom Barrett nella recall election del 2012: evento quest’ultimo che gli conferì non poca notorietà a livello nazionale. Ma il suo vero fiore all’occhiello è stato lo scontro con i sindacati nel 2011, allorché – dopo un lunghissimo braccio di ferro – riuscì a piegarli, permettendo l’approvazione del budget statale (che prevedeva non a caso una serie di profondi tagli alla spesa pubblica).

Un atteggiamento da uomo forte che il governatore ha rispolverato proprio in queste ultime settimane, antecedenti alla sua discesa in campo. In occasione dell’approvazione del budget statale del 2015, Walker ha difatti ingaggiato un duro scontro con l’Università del Wisconsin, attraverso un programma deciso, articolato in tre punti principali: taglio ai finanziamenti pubblici, maggiore potere al Board of Regents ( organo esecutivo di cui la maggior parte dei componenti è di nomina governativa) e  – conseguentemente – maggior controllo sull’attività dei professori. In tal senso, i docenti hanno protestato energicamente, tacciando il governatore di aver compiuto una scelta demagogica dai biechi fini propagandistici.

Walker – che evidentemente sperava in un’opposizione del genere, per rinverdire i fasti delle sue passate battaglie anti-corporative – ha tirato dritto come un carro armato, arrivando all’approvazione del provvedimento e non curandosi delle critiche – vagamente radical chic – di chi lo dileggiava per non essersi laureato.

In secondo luogo, l’altro elemento della strategia di Scott risiede nella sua vigorosa svolta ideologica a destra. Un tempo su posizioni piuttosto moderate, da alcuni anni ha difatti improvvisamente virato verso visioni particolarmente vicine all’ultraconservatorismo radicale e – nella fattispecie – alla religious right: note sono per esempio le sue dure battaglie contro l’aborto e il same sex marriage.

Una carica anti-sindacale, venata di conservatorismo religioso, evidentemente mirata dunque ad avvicinare la propria figura a quella di Ronald Reagan: figura ancora molto cara all’elettorato repubblicano e – non a caso – sovente citata da Walker nei suoi discorsi.

Il punto è che – come  nota Reid Epstein sul Wall Street Journal – la strategia del governatore del Wisconsin è quella di rivolgersi alla base conservatrice del GOP, con una particolare attenzione per il caucus dell’Iowa (dove, secondo diversi attivisti, sarebbe in testa ai sondaggi). Un interesse per la base conservatrice che lo distanzia notevolmente da rivali come Jeb Bush e Marco Rubio, maggiormente orientati verso un’ottica inclusiva e aperta a frange elettorali non tradizionalmente vicine al voto repubblicano.

Un interesse per la base conservatrice che tuttavia non gli impedisce di guardare al centro. Ha difatti recentemente dichiarato che conquistare elettoralmente il centro non significhi per questo essere destinati a diventare centristi. E difatti è bene constatare che – a fronte del suo radicalismo religioso – su vari punti abbia comunque ultimamente smorzato un poco i toni (probabilmente per smarcarsi dai candidati più conservatori e impresentabili).

Anche sul fronte dei finanziamenti non è messo malissimo. Per quanto ovviamente lontano dalle faraoniche somme raccolte da Jeb Bush e Ted Cruz, con i suoi trenta milioni di dollari se la passa meno peggio di rivali attualmente alla canna del gas, come Chris Christie. Senza poi dimenticare che comunque – in occasione delle disfide elettorali sostenute negli anni in Wisconsin – Walker si è sempre dimostrato  piuttosto abile nella raccolta di fondi.

Con la sua discesa in campo, Scott Walker lancia una sfida all’establishment repubblicano: forte dei suoi successi e della sua notorietà, è pronto a dare la scalata al partito, cercando di sottrarlo tanto dal moderatismo di Bush quanto dal radicalismo di Cruz. La ricetta che oggi propone è difatti quella di un reaganismo redivivo che possa riportare il GOP al suo momento di massima gloria e splendore. Un reaganismo che ha l’ovvio intento di opporsi al programma economico, presentato proprio oggi da Hillary Clinton: un programma fortemente orientato a sinistra (basato sull’aumento degli investimenti e l’elevazione del reddito minimo).  Un reaganismo che anche ideologicamente possa fungere da collante per un GOP oggi più dilaniato che mai.

Il punto è che però – banalmente – i tempi sono cambiati. E questo suscita un dubbio: siamo sicuri che nel 2016 i repubblicani abbiano bisogno di Ronald Reagan per tornare a vincere?

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CAT: America

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