Viva Bersani, abbasso la mucca

9 Novembre 2016

A detta di molti Pierluigi Bersani è un personaggio di quella sinistra che perde perché non sa comunicare. In questo uno come Bersani è diverso da Renzi, che invece, dicono alcuni, pensa solo a Twitter.

Oggi Bersani ha twittato così:

Le reazioni, scontate, sono state quelle di deriderlo: eccola la sinistra che usa metafore incomprensibili per spiegare l’elezione di Trump che è proprio colpa della sinistra incomprensibile, quella dei salotti e lontana dalla gente. Bersani come la Clinton, parte di un establishment sfiduciato e comunicativamente inefficace, freddo e distaccato.

La metafora di Bersani però un senso ce l’ha: l’ascesa dell’alt-right è una questione che ci riguarda in prima persona, non un fenomeno statunitense. L’ascesa di populisti, reazionari, nazionalisti, suprematisti, complottisti e sessisti è un fenomeno diffuso in tutto l’occidente. Le Pen in Francia, Salvini in Italia, Farage nel Regno Unito e così via.

Bersani poi ha spiegato la metafora su Facebook:

Il voto americano parla anche di noi. Nel mondo ripiega la globalizzazione. Si affacciano protezionismi e pensieri aggressivi verso le persone e le merci di fuori. Gli establishment interpretano la fase precedente, in via di superamento. Ovunque, anche in Europa, c’è una nuova destra in formazione. Non è una destra liberista, è una destra della protezione. Se vogliamo impedire che vinca ovunque dobbiamo attrezzare una sinistra larga che abbandoni le retoriche blairiane delle opportunità, delle flessibilità, delle eccellenze e scelga la strada della protezione sulla base dei propri valori di uguaglianza. Mettendo tutti e due i piedi fuori dagli establishment e dentro le periferie sociali, rilanciando i diritti del lavoro e le battaglie di uguaglianza, difendendo i principi di base del welfare universalistico secondo i quali davanti a bisogni fondamentali non ci può essere né povero né ricco. Non c’è da perdere tempo. Per dirla in bersanese: la mucca nel corridoio sta bussando alla porta.

E questo è quello che c’è da dire in termini politici. Come nel caso di Brexit il buonsenso ha perso, la lungimiranza idem e il populismo di destra ha vinto, di nuovo, inaspettatamente.

Poi, però, di cose ce ne sono da dire altre, a partire dal protezionismo economico che sta prevalendo sulla fiducia nel mercato, i cambiamenti enormi che ora vedremo nei rapporti tra Russia e Stati Uniti, tra Unione Europea e Stati Uniti, per non parlare del surreale asse protezionista che si prospetta tra i governi di due superpotenze come il Regno Unito e gli Stati Uniti. Tutte cose che ora possiamo ipotizzare, scrivere e scandagliare grazie a dati e dichiarazioni di esperti ma che rimangono, ovviamente, fallibili e che vedremo nei mesi e negli anni a venire.

Di analisi da fare, in queste ore, ce ne sono tante, quasi troppe: come cambieranno gli equilibri in Siria? Come si argina, se si argina, quello che il New York Times chiama “un impressionante rifiuto per le istituzioni”?

La verità però è che prima di tutti questi dati ce n’è un altro, più banale e meno politico. Un dato squisitamente comunicativo: gli osservatori hanno perso, i giornalisti si sono sbagliati, le previsioni hanno toppato e i Big Data si sono rivelati per quello che sono, cioè fallibili. E tutto questo, va ricordato, va bene così, o meglio, è giusto che sia così. La fallibilità è difficile da digerire, ma, proprio come nella ricerca scientifica, è il prezzo da pagare per l’utilizzo di un metodo che non sia l’infallibile scimmia cinese.

Ieri sera, prima che uscissero i primi dati, mentre ancora si votava, parlavo col direttore de Gli Stati Generali. Lui, a un certo punto mi chiede: “ma secondo te chi vince?”. Ho risposto quello che tutti rispondevano da giorni, “molto probabilmente la Clinton”, aggiungendo un “però, non si sa mai”. Lui mi ha risposto una cosa che nel racconto di questa campagna elettorale è stata sistematicamente sottovalutata: “sondare il voto per Trump è complicatissimo”. E lo è davvero, perché il voto di protesta, quello di pancia, è un voto che si tende a non esternare, a nascondere. Per dirla con Grillo “è un grandissimo vaffanculo”. Peccato che i vaffanculo, in politica e non solo lì, siano delle mucche che ti bussano alla porta e non è detto portino a qualcosa di buono.

TAG: Donald Trump, elezioni 2016, pier luigi bersani
CAT: America

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