Speaker della Camera USA: fumate nere per McCarthy

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4 Gennaio 2023

Nella notte si è fatta la storia negli USA. Come non avveniva da un secolo, il candidato in pectore per svolgere l’importante ruolo di speaker della Camera è stato silurato.

Il partito repubblicano, cui spetta eleggere qualcuno nel ruolo dopo il termine del mandato della democratica Nancy Pelosi, ha bocciato il deputato californiano Kevin McCarthy, il quale aveva lottato in maniera vigorosa per mitigare gli umori all’interno del suo partito, sempre più spaccato in due.

Lo speaker della Camera dei rappresentanti

Allo speaker della Camera dei rappresentanti è assegnato il ruolo di condurre tutti i lavori dell’organo di potere. La Camera è uno dei due rami del Congresso statunitense e lo speaker ne è il coordinatore.  Chi svolge tale compito si trova al secondo posto in linea di successione presidenziale, subito dopo il vicepresidente (o la vice, dal momento che attualmente si tratta di una donna). Qualora il presidente dovesse morire durante la sua carica o essere deposto perché ritenuto incapace di governare, ad esempio tramite procedura di impeachment, non si tornerebbe alle elezioni, bensì si sostituirebbe il POTUS e se ne esaurirebbe comunque il mandato.

La nomina dello speaker è generalmente una formalità, un accordo interno al partito sul nome e la persona da sistemare nel ruolo e nulla più. In seguito però alle elezioni midterm di novembre, che ci hanno restituito un Congresso debole, polarizzato e molto equilibrato – probabilmente fin troppo, tanto che la stessa governabilità degli Stati Uniti appare fragile, dal momento che il partito di maggioranza non ha i numeri necessari a navigare in acque tranquille  – si è aperto un fronte caldissimo tra i conservatori, i quali hanno disperso il voto penalizzando McCarthy.

Lo speaker viene eletto durante una sessione della Camera tra i suoi componenti – per consuetudine, non si tratta di una legge – tramite votazione nominale, per appello. Pelosi, nota per le sue continue schermaglie con l’ex presidente Donald Trump, ha ricoperto il ruolo fino al 3 gennaio, quando è scaduto il suo mandato.

Il tonfo di McCarthy

Kevin McCarthy ha trascorso buona parte della giornata del 3 gennaio, la prima nella quale si votava per il rinnovo dello speaker, a cercare di convincere i deputati ribelli interni al suo partito. A quanto riportato dal Corriere della Sera, il californiano avrebbe insistito sul fatto di essersi meritato il ruolo con la sua azione alla Camera negli ultimi anni. Le sue parole, però, non sono bastate, anzi, hanno probabilmente peggiorato la situazione, esacerbando le spaccature già visibili all’interno del partito repubblicano, quelle che ora sono diventate vere e proprie crepe strutturali.

McCarthy è inviso a tutti i trumpiani in quanto accusò senza mezzi termini l’allora presidente dopo l’Epifania del 2021, quando i sostenitori del miliardario invasero il Campidoglio, in nome di una tornata elettorale a loro avviso truccata. McCarthy, in realtà, ricucì i rapporti con The Donald 15 giorni dopo, quando Joe Biden si era già insediato, visitando la tenuta di Mar-a-Lago e intrattenendosi a lungo con l’ex presidente, prima di rilasciare una conferenza stampa congiunta nella quale i due si scambiavano stima e complimenti. Probabilmente, il deputato stava già mettendo in atto la sua strategia per diventare speaker. Non poteva certo sapere, due anni fa, che la votazione si sarebbe conclusa in questa maniera. A quanto pare, il candidato ha ancora numerosi nemici all’interno del Great Old Party.

A McCarthy servivano 218 voti per diventare speaker ed era chiaro che raggiungerli non sarebbe stato facile. Nonostante la Camera sia a maggioranza repubblicana, infatti, i numeri sono davvero risicati: 222 contro 212 e un seggio vacante perché ancora da assegnare dopo le elezioni di medio termine. L’elezione dipendeva da un pugno di repubblicani. La matematica ci dice che, considerato il voto contrario di ogni singolo rappresentante dem, un numero di repubblicani avverso fino a 4 avrebbe ancora consentito la nomina del californiano. Dal quinto in poi, però, McCarthy avrebbe inevitabilmente perso.

È andata molto peggio del previsto. I voti per il deputato sono stati 203, con dieci compagni di partito che hanno fatto il nome di Andy Biggs e gli altri nove che hanno votato altri politici. Hakeem Jeffries, per il quale i democratici hanno votato all’unanimità, ha dunque totalizzato più preferenze ma, rappresentando il partito di minoranza, non può essere eletto. Ora si dovrà procedere a votazioni successive finché non si convergerà su una chiara rappresentanza espressa dai repubblicani. Potrebbe volerci ancora qualche giorno viste le divisioni intrapartitiche: non a caso, sia in seconda sia in terza votazione, McCarthy ha perso ancora.

Storicamente, è accaduto altre 14 volte che non si trovasse immediatamente una quadra sul nome dello speaker. Nel 1923, occorsero nove votazioni prima di nominare Frederick Gillett. Le altre 13 volte in cui si arrivò allo stesso punto, risalgono a prima della Guerra Civile.

 

TAG: congresso, Donald Trump, elezioni di midterm, Joe Biden, usa, Washington
CAT: America, Geopolitica

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