Lo Stadio urbano in 100 anni di storia a Genova
La relazione di progetto di Vittorio Gregotti nel 1987 lo descriveva così “Il carattere che rende assai particolare lo stadio di Marassi è prima di tutto la sua localizzazione urbana, nel tessuto di un quartiere della città assai denso, a diretto contatto con grandi manufatti come l’edificio del carcere di Marassi, allineato sulla lunga palazzata che si affaccia sul torrente Bisagno. Inserito nel tessuto compatto della città, lo stadio, che appariva come il risultato di modificazioni subite nel tempo, accumulando un notevole grado di disorganizzazione funzionale e morfologica, viene ridefinito nella sua forma in rapporto alla maglia urbana del quartiere in cui si colloca, cercando di confrontarsi con la loro immagine fortemente consolidata”. Come si è arrivati a questa situazione “assai particolare” parte da molto lontano, circa un secolo prima in un luogo piuttosto lontano dall’attuale collocazione e molti altri eventi si dovranno considerare prima di arrivare alla soluzione finale.
Il Genoa Cricket and Athletic Club fu fondato il 7 Settembre 1893 da un gruppo di inglesi che, svolgendo abitualmente varie attività sportive di gruppo, decisero di costituire formalmente una società. Queste attività si svolsero probabilmente in un terreno messo a disposizione da altri britannici per poter giocare a cricket prima e a football poi. Il presidente della società fu Charles Alfred Payton che in quell’anno aveva assunto l’incarico di Console Generale Britannico a Genova. Il primo campo per le attività sportive, inteso come terreno di gioco, fu messo a disposizione da due industriali scozzesi proprietari dell’omonima fonderia Wilson e McLaren che cedettero un terreno di loro proprietà nella ex Piazza d’Armi del Campasso a Sampierdarena, che all’epoca era una cittadina industriale alle porte di Genova. In Inghilterra dal 1873 al 1883 si fissarono le norme fondamentali che che regolarono il gioco del football dalle dimensioni del rettangolo di gioco alla presenza dell’arbitro e del suo ruolo, finalmente nel 1886 le quattro federazioni britanniche costituirono l’International Board cui furono affidate le norme ufficiali.
Nel 1896 il Dott. James Richardson Spensley entrò a far parte della società genovese, di cui fu giocatore e capitano grazie alla sua esperienza come portiere in Inghilterra, egli fu l’artefice della trasformazione del Club in calcistico cambiandone anche il nome in Genoa Cricket and Football Club. Il Dott. Spensley fu il promotore del nuovo gioco e delle sue regole in Italia. Nel 1897 fu consentito l’ingresso in società anche agli italiani. Egli comprese, grazie alla sua esperienza in patria, la potenzialità di un gioco di squadra che, mettendo di fronte società provenienti da città diverse, potesse attirare un pubblico disposto a pagare un biglietto per assistervi, diventando quindi una fonte di redditto per le società stesse. Pertanto si tracciarono le linee di gioco su un rettangolo di circa 60×100 m due porte al centro dei lati corti ancora senza la traversa e soprattutto si allestirono pseudo tribune in legno intorno al rettangolo, questo fu il primo passo verso la nascita della tipologia, questa fu la nascita dello stadio di calcio in Italia. Vittorio Pozzo nel 1932, ricordando la figura di Spensley, raccontò che “All’uscita dal Campo di Ponte Carrega sulla strada del ritorno due ragazzi, uno genoano e uno doriano, stavano risolvendo una differenza d’opinioni, cazzottandosi senza esclusione di colpi. Mentre noi passavamo loro di fronte, uno dei due incespicò e cadde, l’altro ci fu subito sopra, Spensley che seguiva con la coda dell’occhio la tenzone, scattò come scandalizzato, intervenne vigorosamente, rialzò il caduto, fece una gran paternale, ripose di fronte i due contendenti e ritornò a noi serio serio, “Never hit a man when he is down” disse. Non compresi subito il significato della frase del caro vecchio Spensley. Lo compresi più tardi, nella gran battaglia della vita e mi tornò, più tardi, presente ad ogni nuovo incontro calcistico a cui assistevo”. Spensley quindi, con una certa intraprendenza, cercò e trovò un terreno più adatto in Val Bisagno ancora piuttosto fuori dal centro cittadino ma certamente più vicino rispetto alla precedente collocazione. Nei pressi di Ponte Carrega dove si trovava la pista velocipedistica dalla Società Ginnastica Ligure Cristoforo Colombo affittò il terreno al suo interno per attrezzarlo ad ospitare le partite. Venne realizzato un vero e proprio campo da gioco con recinzione e tribune che avessero lo scopo di accogliere spettatori paganti, qui si disputò il 6 Gennaio 1898 la prima partita ufficiale in Italia tra Genoa CFC e una selezione di giocatori piemontesi in maggioranza soci del F.C. Torinese. Ancora una volta Vittorio Pozzo, presente all’evento nel quarantennale della fondazione del Genoa CFC il 25 Dicembre 1932 su La Stampa lo descrisse così “Giuocava il Genoa su un campo che già di per sè, per la sua ubicazione esigeva una gran passione ed una bella volontà per esser raggiunto. Quel campo si chiamava Ponte Carrega. Occorreva risalire il tortuoso corso del Bisagno per qualche chilometro, lontano, ben lontano dalla città. Vi funzionava un servizio di tram a cavalli che garantiva ai passeggeri la digestione od il contrario di essa: una tramballata in cui si imparavano a conoscere le delizie del rullio o del beccheggio. Ad un dato punto, alt. Sulla sinistra un ponte lungo e sottile attraversava il Bisagno. Su quel ponte qualcuno conobbe i piaceri della sassaiola; vi furono lanciate le prime pietre contro coloro che per primi peccarono del peccato del football. A destra, una casetta vecchia e malandata, un muro di cinta basso, e nel muro un’apertura. Cinquanta metri di sentiero, e sulla destra ancora, un gran prato demarcato da una corda tesa su piuoli. Quel prato era un campo: il campo del Genova Cricket and Football Club. Da una parte, una rustica costruzione metà in muratura e metà in legname si atteggiava a spogliatoio per le due squadre. Dall’altra, laggiù in fondo, una tettoia retta da quattro monumentali pilastri e sormontata da una piccola costruzione chiudeva e delimitava il regno degli sportivi; l’origine di quella specie di quadrato arco di trionfo non la si potè mai capir bene, noi non liguri. Serviva ottimamente da rifugio quando pioveva, questo sì. Ed in quei tempi, bastava che si parlasse di calcio, perché piovesse a dirotto; certo per provare la tempra dei pionieri. Di tribuna non se ne parlava. Vennero poi, ma a quel momento i posti della gente distinta non si differenziavano dagli altri che per una fila o due di sedie disposte lungo la linea del fallo. Su quel campo si giucò il 6 Gennaio 1898 un grande incontro Genoa-Torino, squadra mista quest’ultima. Si fece un incasso di Lire 284,50 con la vendita di 154 biglietti d’ingresso e con un utile netto di Lire 64,45”.
Il pubblico da questo momento ebbe un ruolo decisivo nello sviluppo del gioco e delle strutture collegate, cominciarono a giocarsi partite con in palio trofei e premi come per le società di ginnastica, l’organizzazione fu molto attiva e già nel maggio del 1898 si giocò il primo campionato italiano con quattro squadre iscritte dove trionfò il Genoa CFC. La Val Bisagno dalla metà dell’ottocento fu la direttrice preferita di espansione della città, qui furono realizzati due complessi molto importanti: il Cimitero Monumentale di Staglieno su progetto dell’architetto Carlo Barabino, inaugurato nel 1851 anche se largamente incompleto, fu terminato nel 1880 e più a valle vicino al giardino di Villa Musso-Piantelli il Comune inizio la costruzione della Casa Circondariale di Marassi, con il tipico impianto a quattro bracci circondati dal muro di recinzione, venne terminata alla fine dell’Ottocento. In realtà la fine dell’Ottocento vide la nascita di importanti Società di Ginnastica che furono anche le prime ad organizzare gare di football in Italia, a Genova la Società Ginnastica Comunale Sampierdarenese e la Società Ginnastica Ligure Cristoforo Colombo, dalla quale nacque la Società Ginnastica Andrea Doria, si cimentarono in questo nuovo gioco organizzando anche dei concorsi interprovinciali che proseguirono parallelamente a quelli del football, la FGNI (Federazione Ginnastica Nazionale Italiana) organizzava già dal 1896 questi tornei dove oltre al football le società si sfidavano in molte altre discipline. Alcune Società come l’Andrea Doria parteciparono sia a questi tornei, sia a quelli organizzati dalla FIF (Federazione Italiana Football) che furono poi riconosciuti come campionati della FIGC.In questo senso è comprensibile come queste società si volessero dotare di campi adatti ad accogliere spettatori paganti e quindi l’Andrea Doria, società piuttosto attiva, realizzò il proprio campo di gioco sempre in Val Bisagno perpendicolarmente al torrente incastrato tra il muro della casa Circondariale e il giardino di Villa Musso Piantelli. Questo impianto, circondato da muri, era piuttosto particolare in quanto lo spazio per il pubblico era ridotto consentendo il contatto diretto con i giocatori. La particolare collocazione gli valse il nome di Cajenna, inteso come ambiente infernale, certificando così il ruolo del pubblico nello svolgimento di questo gioco che sarebbe stato fondamentale per il suo sviluppo.
Si dovette aspettare fino al 1911 prima che anche il Genoa si trasferisse più a sud vicino al centro cittadino all’interno del giardino di Villa Musso-Piantelli. Il Marchese, in qualità di socio, cedette i terreni all’interno del suo galoppatoio. Il campo in una prima fase venne realizzato anch’esso perpendicolarmente al torrente e quindi parallelo sul lato lungo alla Cajenna, due impianti affiancati divisi da un semplice steccato appartenenti a due diverse società. Nello stesso anno però il Genoa decise di ruotare il campo parallelamente al torrente con il lato corto confinante con lato lungo della Cajenna. Venne realizzata la tribuna sul lato del torrente con una struttura piuttosto semplice in legno coperta con un tetto a capanna con il colmo sul lato lungo, mentre al centro il tetto a capanna era ruotato con il colmo sul lato corto allo scopo di segnare il centro della tribuna come punto più importante della struttura, quella che oggi potremmo chiamare tribuna d’onore dedicata ai dirigenti delle società e alle personalità presenti per assistere alla partita. I restanti tre lati erano delle semplici rampe erbose poi trasformate in piani inclinati in legno in modo da poter accogliere molte persone garantendo una buona visibilità del terreno di gioco. Il pubblico e il conseguente pagamento del biglietto erano ormai un elemento consolidato per il sostentamento delle società unito al contributo di sempre più facoltosi soci, la capienza di questo impianto in legno arrivò ad accogliere circa 25.000 spettatori. Dalle foto dell’epoca è possibile vedere la tribuna del Genoa su lato lungo del campo e la tribuna dell’Andrea Doria anch’essa sul suo lato lungo ma perpendicolari tra di loro, l’insieme di due campi e le relative tribune davano un’apparenza di impianto completo.
I campionati, con sempre un maggior numero di società iscritte, furono organizzati per gironi, uno a nord e uno al centro-sud per limitare i problemi logistici e organizzativi fino al 1929, quando fu organizzato il primo campionato italiano a girone unico. Le partite ebbero sempre maggior seguito rendendo necessaria la realizzazione di strutture per contenere il pubblico. Già dal 1926 il regime fascista portò avanti una politica volta a ridurre il numero delle squadre nelle grandi città dove erano cresciute esponenzialmente, a Genova il governo dichiarò inagibile la Cajenna e il terreno fu ceduto al Genoa CFC per 20.000 Lire, comprensiva dell’acquisto del portiere Manlio Bacigalupo. La palizzata che separava i due terreni di gioco, fonte di aspre dispute, fu demolita a seguito di un accordo segreto conclusosi nel 1927 appena prima della fusione imposta dal regime tra l’Andrea Doria e la Sampierdarenese. Il segretario doriano Enrico Silvestri e il presidente rossoblù Guido Sanguineti e le gerarchie fasciste trovarono un accordo e nel 1929 lo stadio di Marassi venne allargato sull’antico campo dell’Andrea Doria. L’Andrea Doria dopo il 1927 fu costretta alla fusione con la Sampierdarenese dando vita all’Associazione Calcio La Dominante, che ebbe il suo primo campo nel giardino di Villa Scassi a Sampierdarena dove oggi passa Via Cantore, in seguito ad un’altra fusione con la Corniglianese nel 1930 si trasformò in Associazione Calcio Liguria che potè giocare nel nuovo Stadio Littorio, realizzato dal regime fascista a Cornigliano su modello inglese, con una capienza di circa 15.000 spettatori, durante la guerra questo fu bombardato e poi recuperato come campo di allenamento per la neonata Sampdoria fino alla sua definitiva demolizione nel 1958.
Il 7 Giugno 1927 viene presentato il progetto per il nuovo stadio di Marassi. Il nuovo impianto fu realizzato in cemento armato, la costruzione iniziata qualche tempo dopo si protrasse fino al 1934 sostituendo così le antiche strutture in legno. Ad opera conclusa, era prevista una capienza di 30.000 spettatori fra la tribuna coperta e le due gradinate sui lati corti. La tribuna sul lato del torrente Bisagno con le caratteristiche arcate e le due gradinate nord e sud per le quote popolari degli spettatori erano completate sul lato di fronte alla tribuna con una piccola struttura non coperta che lasciava alle sue spalle la monumentale presenza di Villa Musso-Piantelli parte integrante del complesso che dominava dall’alto. Il 1 gennaio 1933, durante la festa per il quarantennale del Genoa CFC, lo stadio venne intitolato a Luigi Ferraris, centrocampista della squadra genovese caduto durante la Prima Guerra Mondiale e insignito della medaglia d’argento al valor militare, durante la cerimonia la medaglia fu seppellita vicino al palo della porta davanti alla gradinata nord, la medaglia non fu mai più ritrovata. Definito come lo stadio più moderno dell’epoca ospitò il 27 maggio del 1934 la partita dei mondiali tra Spagna e Brasile terminata 3 a 1. Durante il periodo fascista, il calcio fu tenuto in grande considerazione rappresentando un potenziale veicolo di consenso, l’Italia si aggiudicò appunto l’organizzazione della seconda edizione dei Campionati Mondiali di Calcio del 1934. Il Regime Fascista finanziò e promosse la costruzione di nuovi impianti moderni in tutta Italia. Siamo alla prima vera realizzazione di strutture per il pubblico che circondavano completamente il campo da gioco senza un progetto unitario ma avanzando per addizioni parziali e sostituzioni fino al dopoguerra quando furono realizzati i distinti.
Il settore frontale alla tribuna, infatti, fu realizzato su due livelli che portò l’impianto alla capienza record di 60.000 spettatori, Villa Musso-Piantelli fu schiacciata da questa nuova struttura e perse la sua presenza privilegiata sul terreno di gioco. Nel 1951 venne inaugurata la versione definitiva, fino al 1987, dello stadio di Marassi. Erano stati necessari circa due anni e mezzo di lavori ma ora il nuovo impianto, su progetto dell’ingegner Contri Capo Servizio Edilizia Municipale, progettista della piscina del nuoto ad Albaro, poteva vantare la prima struttura sopraelevata in cemento armato in Italia ed una capienza dichiarata massima di circa 55.000 spettatori. Nel derby del Novembre 1982 si registrarono quasi 58.000 paganti. Furono infine aggiunte ai lati della tribuna coperta due piccole curve anch’esse coperte con delle elicoidali per favorire il deflusso del pubblico. Questa ulteriore aggiunta rendeva la struttura molto eterogenea e discontinua a causa dei diversi interventi, le gradinate nord e sud come la tribuna avevano ancora l’aspetto dei primi del novecento mentre i distinti realizzati in cemento armato e le due piccole curve sul lato del torrente davano allo spazio la parvenza di un catino completo quando il pubblico era presente. Nel dopoguerra il gioco divenne molto seguito, la crescita demografica e la vocazione industriale della città rese possibile a grandi parti della popolazione l’accesso agli eventi sportivi. Questo tipo di situazione fu stabile fino alla fine degli anni ottanta, quando l’Italia si aggiudicò l’organizzazione dei Campionati Mondiali di Calcio nel 1990, a Genova il Sindaco era Cesare Campart, repubblicano, soprannominato il Sindaco Farmacista.
Abbiamo così ripercorso l’evoluzione dello stadio per la definizione della sua tipologia, e quando Gregotti scrisse la sua relazione aveva ben compreso che si trattasse dell’occasione di fissare le regole di questa nuova struttura inserita nel contesto cittadino. Siamo intorno al 1986 quando il Comune decise di costruire il nuovo stadio nello stesso luogo, probabilmente per la penuria di terreni liberi, e lo fece con una procedura piuttosto discutibile attraverso una convenzione con alcune grandi imprese di costruzione. Il Comune in seguito comprò il progetto a causa di aspre polemiche per l’assenza di un progettista e affidò l’incarico a Vittorio Gregotti, una vicenda che per alcuni aspetti ricorda la ricostruzione del Teatro Carlo Felice che avvenne negli stessi anni. Nel Gennaio 1987 viene presentato ufficialmente il progetto del nuovo stadio di Gregotti per richiedere i finanziamenti, il progetto viene definito razionale e completo dal direttore del Comitato Organizzatore Luca Montezemolo, unica nota il problema della copertura del Bisagno necessaria per installare capannoni, uffici e attrezzature di supporto. Il finanziamento è di 35 miliardi di Lire che avrebbero coperto per intero la realizzazione del nuovo impianto, mentre il Comune dovette accollarsi le spese per le infrastrutture e quindi la copertura del Bisagno quantificata in altri 10 miliardi. Venne anche stabilito che la società incaricata per la realizzazione e gestione dell’impianto fosse composta almeno al 51% dal Comune stesso. La costruzione dell’impianto prevedeva che l’attività di gioco non fosse sospesa e quindi il cantiere avrebbe dovuto svolgersi in due fasi, si decise di demolire prima la parte orientale e ricostruirla e poi la parte occidentale, riducendo quindi a meno della metà la capienza dell’impianto per più di due anni. Il 2 Luglio 1987 cominciarono i lavori, seppur Cassa Depositi e Prestiti non avesse ancora dato il via libera ufficiale. Il progetto prevedeva di conservare la facciata storica sul Bisagno con quattro piazze aperte agli angoli collegate con dei porticati dove avrebbero dovuto trovare posto alcuni esercizi commerciali ed altre attività di servizio, nelle intenzioni del progettista le attrezzature sportive del nuovo Ferraris avrebbero potuto essere utilizzate per tutta la settimana. La capienza prevista fu di 50.500 posti di cui 37.800 a sedere, tutti coperti. Il costo della costruzione previsto era intorno ai 45 miliardi di Lire, alla fine si stimò circa il doppio pagati dal Comune attraverso il finanziamento ottenuto dallo stato. A metà costruzione finita, nel dicembre 1988, ci fu un’approfondita inchiesta della Magistratura di Genova seguita direttamente dal Pretore Adriano Sansa, futuro sindaco di Genova nel 1993, che sollevò parecchi dubbi, la struttura sembrava difettare per visibilità, confort dei posti a sedere e penuria di servizi. Si rilevò che sulle primi dieci-quindici file pioveva perché la copertura non era sufficiente, la visibilità pessima da molti lati, il fondo del prato troppo basso. La capienza prevista venne ridotta a meno di 45.000 spettatori. L’architetto Gregotti durante un’audizione in Comune dichiarò che alcuni difetti potessero essere migliorati ma per quanto riguardava la copertura disse: ” è troppo alta quindi quando piove con vento forte l’inconveniente è inevitabile”. Le misure concordate furono lo spostamento del campo di circa un metro e mezzo verso i distinti, che ancora non erano stati realizzati, e appunto il rialzo di circa un metro del terreno di gioco per migliorare la visibilità. Nel settembre 1989 lo stadio fu in gran parte completato, la sua agibilità definitiva dovette invece attendere la conclusione delle dispute legali che accompagnarono la sua costruzione, e il primo di Ottobre si disputò il derby davanti a 34.000 spettatori.
Lo stadio è un esempio di struttura urbana integrata nel tessuto esistente, un polo molto importante per il quartiere intorno al quale gravitano attività commerciali e di servizio legate agli eventi che si svolgono settimanalmente. Lo stadio si inserisce nel contesto e con questo si confronta producendo relazioni profonde e durature, la sua forma odierna ci rivela in qualche modo la sua storia contenendo tutte le trasformazioni avvenute in passato. Anche se le attività commerciali che avrebbero dovuto trovare posto al piano terra sotto il portico non furono mai realizzate per motivi sopraggiunti, come la necessità della recinzione per la gestione dell’affluenza o legati alla sicurezza, lo stadio ha avuto il suo ruolo fondamentale all’interno del quartiere di Marassi, si è impadronito del luogo definitivamente. La scelta di lasciare l’impianto a Marassi fu utile alla città stessa, evitando la costruzione in periferia che si rivelò fallimentare come fu per lo Stadio San Nicola di Bari o il Delle Alpi di Torino, questi ultimi erano anche dotati della pista di atletica pregiudicando irreparabilmente la visibilità del gioco e allontanando il pubblico dall’azione. La vicinanza del pubblico, come dimostrano gli impianti più moderni, è un elemento fondamentale dello spettacolo, è la sua parte più importante con il campo da gioco, oggi nessuno lo metterebbe in discussione, eppure nel 1990 molti impianti furono costruiti con la pista di atletica, sono esclusi il Luigi Ferraris e il Giuseppe Meazza. La vera sconfitta, durante il grande sforzo di rinnovamento a fine anni ottanta, è stata per i centri urbani delle principali città italiane, pensando che una copertura e dei seggiolini potessero essere sufficienti a rinnovare impianti che non erano stati progettati esclusivamente per il calcio perdendo forse l’ultima occasione per rinnovare grandi quartieri o pezzi di città. Oggi molte di queste strutture sono totalmente ingestibili per le amministrazioni pubbliche che devono sostenere alti costi di manutenzione e un’attrattività nulla, ad esempio potremmo citare il Sant’Elia di Cagliari che versa in stato di abbandono ormai da anni affiancato da uno stadio temporaneo. Lo stadio per il calcio è urbano e accessibile, genera attività al suo intorno divenendo parte integrante della città stessa come protagonista della sua vita civile, un luogo pubblico attivo e riconoscibile. Si discute da più di trent’anni sul come rendere attrattivo uno stadio dotandolo di funzioni complementari, anche Gregotti lo aveva in mente, senza recinzioni, uno spazio a servizio della società come un parco o una biblioteca. Il suo ruolo è quello di attirare attività diverse al suo intorno che rendono più ricca la città e i suoi abitanti molto più simile ad un anfiteatro romano come elemento cardine delle città di fondazione. Al suo interno il campo da gioco è delimitato direttamente dalle tribune senza filtri e distanze, il pubblico è il dodicesimo uomo, è una componente essenziale, la sua presenza e la vicinanza al terreno rende questo gioco unico, lo spettatore e i giocatori sentono la presenza l’uno degli altri e il derby ne è la sua manifestazione più chiara. Le squadre e il pubblico sono accomunate dallo stesso obbiettivo. La sfida per la supremazia cittadina è il suo senso più profondo, non c’è un trofeo in palio ma solo il vero spirito del calcio dove non conta il come si è giocato ma il risultato finale.
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