Il caso di Milano per una rilettura democratica della concentrazione urbana
Nel pieno della pandemia Covid_19 che ha travolto il mondo, ci troviamo di fronte a un bivio per il ripensamento delle politiche urbane: mantenere il modello della concentrazione urbana sostanzialmente non governata o ripensare quest’ultima in una chiave più democratica che tuttavia tenga in considerazione la complessità del momento storico che stiamo vivendo. La spinta verso la globalizzazione che traina gran parte delle città del mondo, la cavalcata verso l’innovazione tecnologica che ha apportato cambiamenti epocali nella dimensione dell’individuo[1], lo scontro tra le élite internazionali e populismo[2] in un annullamento totale delle ideologie, l’intreccio tra globale e locale[3], sono tutti fenomeni che restituiscono la misura di una complessità tale della questione urbana da poter essere affrontata solo attraverso la costruzione di un nuovo paradigma. In questo senso, se il mondo si dirige verso la concentrazione delle metropoli, dalle province espulse della globalizzazione giunge la voglia di riscatto dell’identità nazionale e comunitaria, proprio nella cosiddetta “Era del post-ideologico”. Questa tensione mostra tutta la propria forza in occasione delle grandi competizioni elettorali, come è stato nelle Presidenziali americane del 2016 o nel Referendum sulla Brexit.
La retorica globalista dell’interdipendenza finanziaria innegabilmente ci ha spinto a vedere con sospetto categorie ideologiche del pensiero, tuttavia l’epidemia che stiamo vivendo richiede risposte sistemiche per ricollocare nel tempo e nello spazio dei valori sui quali ridisegnare il mondo, per vedere le città come sintesi dei sistemi nazionali e riconfigurare le polarità urbane delle province in relazione alle città principali in una forma ordinata e reticolare[4] al contrario della forma nebulosa che oggi intere regioni urbane assumono, con i centri direzionali di innumerevoli grandi città che sono tra loro più interconnessi rispetto alle rispettive aree rurali.
Se è vero che il modello economico fondato sulla concentrazione dei capitali, che ha favorito l’espansione incontrollata delle metropoli, è fragile perché alimenta le diseguaglianze facilitando l’azione di corporations del turismo, dell’informatica e della logistica, allora una nuova visione del governo urbano potrebbe riorganizzare la gerarchia spaziale in un’ottica sinergica di città maggiori e minori, a patto che questo processo imponga un respiro democratico delle decisioni, che riarmi la rappresentanza e dia un senso alle sue istituzioni, dal Parlamento ai consigli comunali: una riorganizzazione istituzionale necessaria che rappresenterebbe anche uno stadio di maturità del capitalismo.
Per delineare un nuovo pensiero di urbanesimo a scala metropolitana e regionale è tuttavia necessario dare una lettura contemporanea alla “figura della concentrazione”, storicamente concepita come l’idea di città esito di una straordinaria concentrazione di potere non legittimo, singolarmente efficace per il perseguimento di un’attività economica razionale[5]. Eppure, parallelamente ai fenomeni di sprawl urbano e allo sviluppo delle concentrazioni capillari nei territori più interni, lo spazio urbanizzato si è configurato come un insieme caotico di frammenti[6], sottrazioni e aggiunte cumulative espresse in una logica incrementalista di occupazione del territorio. La concentrazione urbana di per sé è un valore ma deve essere messa a sistema in un policentrismo sano di concentrazioni gerarchizzate.
In questo senso Milano e il proprio sistema funzionale urbano[7] potrebbero rappresentare il luogo ideale per sperimentare una nuova prospettiva geostrategica legata alla riorganizzazione della concentrazione che, riformulando la categoria del “Modello Milano” mantenendone le potenzialità, come il riconoscimento di una chiara specificità all’interno del Sistema-Paese, restituisca risorse alla filiera produttiva della quale si alimenta in un processo collaborativo con l’hinterland capace, da un lato, di legittimarne la dimensione internazionale e, dall’altro, di favorirne un benessere generalizzato dei territori circostanti.
Assumendo il concetto che l’epidemia non indebolirà il ruolo delle grandi metropoli mondiali, il futuro della città e del territorio passa quindi dalla riconfigurazione del policentrismo, dalla rimodulazione dell’urbanizzato metropolitano, industriale e agricolo, ordinando e gerarchizzando in senso reticolare una complessità che sembra necessitare sia di un maggiore livello di astrazione, sia di maggiore precisione. Se, da un lato, l’eterogeneità dei frammenti non impedisce infatti la costruzione di un comprensibile orizzonte di senso e di una forma organizzata della regione urbana, dall’altro il mosaico dei frammenti per essere riassettato necessita di un fondamento teorico che la figura della concentrazione in senso reticolare può dare. Ciascuna tessera rappresenta forma e contenuto dell’esperienza urbana e partendo dalla compatibilità o dall’incompatibilità dei frammenti vicini si potrebbe riordinare la regione urbana in un sistema policentrico che nel caso milanese, veda il Capoluogo al centro di una costellazione in grado di accogliere anche Monza, Lodi, Piacenza, Pavia, Tortona, Novara, Varese, Como, Lecco e Bergamo.
Sicuramente alcune idee per la riattivazione dei territori fragili come il rilancio dei borghi possono aiutare a costruire l’alternativa all’espansione incontrollata della città ma per dare un senso alla concentrazione senza destabilizzarla serve un’azione amministrativa forte che, da un lato, veda una riforma dell’assetto costituzionale di regioni non realmente rappresentative delle identità provinciali, e dall’altro favorisca la collaborazione tra enti su più livelli, assegnando competenze concrete alle Città Metropolitane che sono oggi svuotate di strumenti efficaci per disegnare una prospettiva di governo del territorio.
D’altro canto c’è anche da chiedersi se la categoria del “Modello Milano” intesa come “città del fare” possa rappresentare da sola il rilancio del Capoluogo. È chiaro che una retorica ottimista da sola, anche se avvalorata da buone pratiche, non è in grado di mettere a sistema tutti gli interessi politico-economici e le realtà urbane di una regione urbana così complessa come quella milanese espansa, bensì una prospettiva di riunificazione legata al paradigma della concentrazione in senso democratico potrebbe farlo. La legittima ambizione di Milano ad avere una collocazione spazio-temporale ben precisa all’interno dello scenario geopolitico europeo, in uno spirito di riscatto assolutamente ambrosiano, potrebbe avvenire se ci fosse la volontà di instaurare un dibattito inclusivo sulla questione. Come è sempre stato nel corso della storia, solo ristabilendo un pensiero ampio della lettura dei fenomeni socio-spaziali potremo comprenderne la complessità e raccogliere la sfida per ripensare il disegno urbano di Milano e delle città nel mondo.
[1] Cfr. M. Castells, La città delle reti, Marsilio, Venezia 2004.
[2] Si veda T. Boeri, Populismo e Stato Sociale, Roma-Bari: Laterza, 2017
[3] Cfr. N. Brenner, Stato spazio urbanizzazione, Guerini Scientifica, Milano 2016.
[4] M. Castells, Op. Cit., 2004.
[5] M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, 1922; trad. it. 1974, 2° vol., p. 19.
[6] B. Secchi, Prima Lezione di Urbanistica, Laterza, Bari 2000, p. 20.
[7] Si veda L. Bellicini, Milano 2025: ripresa economica e ruolo in Europa, Cresme Ricerche, Roma 2016: stima di city users pari a 4,2 milioni di persone.
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