Porta Nuova e la risignificazione della realtà

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26 Aprile 2015

“Guarda che ti mando a zappare la terra” affermava mio padre quando dimostravo uno scarso interesse scolastico che si traduceva in voti abbondantemente insufficienti. E suonava come una minaccia. Perché l’immagine che si stagliava era quella di Don Lorenzo, combattivo agricoltore di meloni della Valle del Belice. Un uomo dalla pelle color cuoio conciata dal sole impietoso, costantemente dotato di calli sulle mani. E di una nazionale senza filtro tra le labbra i cui pacchetti erano magistralmente nascosti – dopo che gli diagnosticarono un tumore ai polmoni – nell’alloggiamento della ruota di scorta della sua 127 blu. Lui rappresentava la fatica che non avrei sopportato, il sacrificio che non ero disposto a compiere, l’ostinazione e la resistenza che sentivo di non avere. Insomma era una vera e propria minaccia.

“Vedi? Il bosco sta velocemente invadendo le valli e non è una bella cosa” mi ha detto tempo fa il mio fraterno amico carnico. Vedendomi stupefatto da tale affermazione – sono pur sempre una persona nata e cresciuta a una quota risibile sul livello del mare – mi ha spiegato che l’arrivo del bosco in prossimità dei centri abitati alpini è un segno di degrado del sistema agricolo e della dismissione degli allevamenti. E’ il sintomo che non ci sono più colture e che i pascoli sono stati gradualmente abbandonati dalle bestie che dovrebbero goderne. Il risultato è l’avanzare del bosco e il conseguente ritorno di specie “predatorie” che mettono in difficoltà gli allevamenti rimasti (basti pensare alle volpi o ai cinghiali) e che spesso entrano in conflitto con gli abitanti. Insomma la presenza del bosco non ha un valore particolarmente positivo.

“Si, abito qui. Non ti faccio entrare perché un po’ mi vergogno” mi sussurra con ritrosia un ragazzo catanese davanti alla sua casa. Che in realtà è un garage. Lui è timoroso a mostrarla perché vivere dove prima c’era un’auto non è quello che uno sogna da bambino. Perché gli ricorda quotidianamente la povertà che vorrebbe abbandonare. Perché vorrebbe portarci una ragazza senza doversi vergognare. “Dai che non è così male” lo conforto. E i suoi occhi mi guardando per dire “facile per te che vivi al terzo piano in un appartamento che profuma di parquet e non di cemento e olio”.

Faccio questa premessa per dire che ho visitato il nuovo quartiere di Porta Nuova a Milano.

Tra i vari grattacieli, nella loro retorica grattacielesca uguale in tutto il mondo, c’è un grande prato verde, dove non so se nascano speranze ma dove sicuramente vi sono trattori e persone sorridenti e apparentemente poco sofferenti. E mi è venuta in mente la minaccia di mio padre. Soprattutto quando ho visto il banner “COLTIVIAMO INSIEME!”, coloratissimo, con tanti ortaggi che sembravano usciti da un quadro di Warhol. E ho capito che solo a Milano, zappare può diventare cool e ogni invettiva paterna può essere esorcizzata diventando perfino un’occasione di svago. Ti vengono i calli perché hai vangato tutto il pomeriggio? Fai una bella foto e caricala su instagram, twitter o facebook e il successo sarà assicurato.

Dopo aver superato il grande pratone basta alzare lo sguardo e compaiono i due grattacieli neri dove gli alberi e non le normali piantine adornano i balconi. E ti viene in mente la Carnia, i cui abitanti legano la presenza del bosco al degrado delle valli. Ostinati friulani dovrebbero farsi un giro qui, suonare al citofono di una delle due torri e capire come ciò che loro considerano negativo sia diventato un valore – o per meglio dire un plus valore – da pubblicizzare, fotografare e curare amorevolmente. Il bosco verticale è innaffiato, fitocurato e, soprattutto, rappresenta un totem attorno a cui girovagano tribù di turisti e di studenti di architettura.

All’ombra della torre più grande c’è un edificio di mattoni con delle immagini a mosaico in cui sono rappresentate scene e facce più o meno riconoscibili. Il progettista dice che è stato realizzato perseguendo “un’ambiziosa povertà”, perché fuori sembra un granaio e dentro un garage. Vedi caro amico catanese? La povertà può diventare una scelta stilistica, tradotta in cemento a vista e gomme a bolli, nulla di cui essere ritroso. La memoria di cose brutte trova casa in un edificio pauperista. Tu che sei obbligato al pauperismo, per cause di forza maggiore mica per posa, sei già a metà strada e non lo sai.

Insomma la realtà, qui a Porta Nuova, sembra acquisire un nuovo significato. #Tuttobello, #tuttobuono, #tuttonuovo.

E penso: peccato che Don Lorenzo non possa vederla.

In ogni caso credo che la sua 127 non fosse Euro 5.

TAG: #architettura, #milano
CAT: Architettura e urbanistica, Milano

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