Cronaca
Il tentato omicidio “a caso” di Piazza Gae Aulenti, e la politica che ne parla credendo di esistere
In nessun paese democratico, in nessuna città governata da ordinamenti democratici e retti dallo stato di diritto e non da stati di polizia, episodi assurdi e dolorosi come quello dell’accoltellamento di una donna in Piazza Gae Aulenti a Milano, sono evitabili, nè del tutto prevenibili. Nemmeno negli stati totalitari, del resto, dove polizie ed eserciti presidiano le strade e le libertà dei cittadini sono arbitrariamente limitate, si può davvero qualcuno esca di casa con un lungo coltello da cucina e lo pianti nella schiena di qualcuno, per strada, a caso. Anche gli spazi di libertà più contratti e ristretti, insomma, prevedono la permanenza della libertà di far del male a qualcun altro. È un utilizzo della libertà ovviamente “inaccettabile”, come ha detto lapalissianamente il sindaco di Milano Beppe Sala: e tuttavia può capitare che succeda.
Come può capitare che chi va in giro con un coltello per far del male a una povera persona a caso sia già noto per averlo fatto circa dieci anni prima, ed è proprio questo il caso di Vincenzo Lanni. Ai tempi del primo misfatto, non era in cura psichiatrica, non aveva dato segni di pericolosità mentre, probabilmente, aveva iniziato a discendere lungo la china della paranoia, della depressione, dell’ossessione solitaria e rancorosa nei confronti del mondo. Cercava, allora, anziani e donne sole da aggredire e accoltellare, perchè li riteneva obiettivi più facili. Dopo anni di carcere e di comunità e cure psichiatriche cercava ancora, evidentemente, gli stessi obiettivi, ieri mattina a Milano, in una delle piazze più frequentate e vissute della città, che di notte è indubbiamente “periferia” della movida di Corso Como e del viaavai anonimo di Porta Garibaldi, ma di giorno è semplicemente lo snodo del traffico umano di chi va a lavorare. Ovviamente la storia, a guardarla con un po’ di lucidità, ci ricorda anche un’altra cosa: le democrazie liberali danno pene proporzionate ai crimini commessi. Chiunque delinqua, dopo aver scontato la propria pena, può tornare a farlo, e non c’è alcun modo per prevenire questo rischio in maniera assoluta, come non è possibile – lo dicevamo poco sopra – prevenire che dei crimini avvengano, di qualunque tipo, in generale, in città, in campagna o al mare.
Dovrebbero essere, queste, considerazioni di buon senso, seppure non gradite al senso comune, che ormai tende a invocare vendetta e pena di morte per ogni reato. E invece nessuno che abbia una voce pubblica, da nessuna parte, si prende più la responsabilità di dire che un certo tasso di rischio è ineliminabile nelle società libere e soprattutto nelle grandi città, da un lato, e che nemmeno il sistema giudiziario e carcerario più efficiente del mondo può evitare che chi abbia commesso crimini li commetta nuovamente. Eppure, queste ovvietà, non le dice nessuno. Si legge invece un assessore regionale che porta lo stesso cognome del presidente del Senato incolpare a caso “uno dei tanti clochard che vive nella zona”. O ex ministre nate berlusconiane, transitate nel centro calendiane e tornate nel centrodestra, parlare di una “Milano fuoricontrollo”, e questi sarebbero i risultati. Scendendo ulteriormente di livello, seppure possa non sembrare facile, si trovano affermazioni perfino più strampalate, da parte di personaggi politici che sono all’opposizione a Milano ma compagni di partiti di chi governa a Roma, e che oltre a dire cose false, credono – ed è perfino più grave – che incolpare un sindaco di un evento come questo possa essere utile alla loro piccola causa politica. In questo quadro, merita un plauso la moderazione di Attilio Fontana. Il presidente della Regione Lombardia ha esplicitamente evitato ogni strumentalizzazione si è limitato a esprimere vicinanza alla vittima dell’accoltellamento, che è una dipendente di Finlombarda, società che appunto fa parte del sistema regionale. Non meno sconcerto, desta vedere che nessuno, dalle parti del centrosinistra, definisce questi pietosi esercizi di propaganda col loro nome. E lo stesso, anche di più, vale per gli intellettuali di ogni colore. È come se l’impossibilità di dirsi la verità, e di dire ciò che si pensa, si fosse impossessata del dibattito pubblico. A ben pensarci, è qualcosa di più grande e più grave del brutto fatto di cronaca e sangue avvenuto ieri, in Porta Nuova, a Milano.
            
            
            
            
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