
Cronaca
Martina, Giulia e tutti noi
Siamo una società scissa. C’è un piano che elabora visioni, idee, paradigmi di superamento del modello maschilista, del patriarcato, delle diseguaglianze strutturali di genere sino ad una maniacale attenzione ai pronomi e ai suffissi, all’accessibilità “neutra” ai servizi, ma è un piano che convive con l’abisso dietro casa, con un grumo di arretratezze, regressioni socioculturali che si identificano con retrivi modelli maschili tossici e violenti e che sembrano prevalere oggi in ampie fasce di mondi giovanili, nonostante anni di narrazioni educative e pedagogiche contro la violenza.
I numeri dei femminicidi che non diminuiscono sembrano segnare ad oggi il fallimento sia di una legislazione, tutto sommato avanzata, che delle azioni di sensibilizzazioni sul tema. L’età di chi commette gli omicidi non evidenzia alcuna differenza nelle generazioni di adulti, generazioni quasi tutte comunque cresciute in un contesto se non altro più attento e consapevole rispetto al passato.
Ma vi è un salto enorme tra provare rabbia, dolore o persino odio e arrivare materialmente a uccidere. Molti provano emozioni intense dopo una rottura relazionale, di qualsiasi tipo essa sia.
Il punto è: come si arriva ad essere violenti e uccidere? Che si tratti di rapporti giovanili, adulti, superficiali, profondi, recenti o di lunga durata, la dinamica di scatenamento della violenza pare simile. La fine della relazione un “furto” o un “tradimento”, l’abbandono una ferita narcisistica intollerabile. L’incapacità di sopportare il dolore della perdita e di gestire i propri impulsi che porta ad una furia che annienta la persona.
Manca una capacità di riparare e di ripararsi. Se la persona non è in grado di elaborare il dolore della perdita, una pulsione distruttiva può prendere il sopravvento, portando a un’azione finale di annientamento, perché quella anima, quella psiche non sembra esprimere altri meccanismi per gestire e affrontare quella situazione.
Cosa si agita e si esprime come un rimosso che riemerge ogni volta nei comportamenti individuali e collettivi della società e prima di tutto degli uomini? Quando un delitto su due avviene dentro la famiglia, oppure attorno ai vincoli affettivi, quando 8 femminicidi su 10 sono commessi da mariti fidanzati o ex, girare attorno a questo tema senza affrontarlo, significa rimuovere i problemi e rifiutarsi di scavare sulle origini della violenza.
Occorre forse meno sociologia generica e più riflessioni psicoanalitiche e di psicologia clinica. Occorre indagare sulle pulsioni che determinano i nostri comportamenti, sulla psicologia dell’età evolutiva, sull’analisi del profondo, sul perturbante, le proiezioni fantasmatiche, sulle energie di nevrosi non liberate; indagare sul nostro “sottosuolo ” di uomini, agito da una dimensione inconscia che presumiamo di tenere sempre sotto controllo.
Dobbiamo tematizzare questi elementi, guardarli in faccia, per provare a comprendere il meccanismo patologico che porta agli omicidi e il contesto sociale e culturale che abilita o minimizza questi comportamenti. Una dimensione arcaica della sessualità maschile che ha sempre avuto comportamenti di aggressione, possesso, dominio e sottomissione che convive oggi con quella di attrazione, affettività e cura reciproca che sembra maggioritaria, frutto però di una evoluzione recente in un storia secolare di soprusi sulle donne.
Anche in altri paesi d’ Europa – dove pure il gender gap non è nemmeno paragonabile al nostro – ci sono alti tassi di femminicidio e la causa scatenante prevalente è sempre la stessa, il rifiuto della fine vissuto come abbandono, un crollo ingovernabile e inaccettabile e la reazione diventa un cumulo di emozioni negative percepite e vissute in un modo totalmente sproporzionato rispetto alla realtà e che rendono la reazione esplosiva.
La violenza non sempre è pianificata o motivata e preordinata, spesso nasce al momento ma ha sempre a monte un pensiero e una volontà di possesso, un rapporto proprietario che dissolve il legame affettivo, che reifica la persona che la riduce ad oggetto, un oggetto che poi si può decidere di scartare, di eliminare. La vita umana lacerata e offesa, una morte iniqua.
Quante Martina, quante Giulia uccise dagli uomini, dovremo vedere ancora nei prossimi anni? La genesi della violenza è un interrogativo, un tema continuo, dove ognuno si confronta con le esperienze vissute, con l’altro, con la società in cui cresce. Non c’e una risposta, ci sono tentativi sempre pronti a essere smentiti, ma dobbiamo abitare questi tentativi, cercare queste risposte. Abbiamo il dovere di cercarle. Vinceremo o perderemo insieme.
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