suicidi in carcere

Diritti

Un giovane detenuto si è tolto la vita a San Vittore. L’emergenza suicidi in carcere non si ferma

Il giovane, di ventidue anni, si è tolto la vita lunedì mattina in una cella dell’istituto in centro a Milano. Si tratta del trentaseiesimo suicidio di un detenuto dall’inizio dell’anno

26 Giugno 2025

L’emergenza suicidi in carcere non si ferma. Lunedì mattina un ragazzo di ventidue anni si è impiccato all’interno del carcere milanese di San Vittore. Il giovane, straniero, si è tolto la vita in una cella dell’istituto in centro a Milano, dove era entrato qualche mese fa dopo un arresto per reati contro il patrimonio. È stato soccorso subito dal personale e poi trasportato in condizioni disperate all’Humanitas di Rozzano ma dopo quarantotto ore è morto.

“Si tratta del trentaseiesimo suicidio di un detenuto dall’inizio dell’anno, cui bisogna aggiungere due operatori, vittima di una pena di morte di fatto e che colpisce random, indipendentemente dal reato commesso o, addirittura, dalla circostanza che si sia al servizio dello Stato. Reclusi e operatori accomunati dal perdurante calpestio dello stato di diritto che infligge ai primi modalità di detenzione diffusamente illegali e spesso inumane e ai secondi condizioni di lavoro indegne di una repubblica che fonda proprio sul lavoro la sua democrazia”, spiega Gennarino De Fazio, segretario generale della UILPA polizia penitenziaria. Spesso i detenuti vivono in istituti penitenziari, sotto organico e sovraffollati, con celle che non riescono a garantire nemmeno 3 metri quadri calpestabili a persona.

San Vittore ospita 1100 detenuti ma la capienza massima è di 700

La sottocommissione carceri del comune di Milano, presieduto da Daniele Nahum, ha effettuato proprio in questi giorni un sopralluogo a San Vittore, un’iniziativa, programmata da tempo, caduta purtroppo in un momento in cui si torna a parlare di suicidi in carcere. Su una capienza regolamentare di circa 700 detenuti, ne sono attualmente presenti 1100. A questa situazione si aggiunge una carenza cronica di personale: servirebbero almeno 150 agenti in più di polizia penitenziaria per rispettare il numero di agenti previsti dell’organico. Il governo ha tagliato di oltre il 30 per cento i fondi destinati alla manutenzione del carcere di San Vittore. Una scelta vergognosa per un paese civile” – scrive il presidente in un post pubblicato dopo la visita e firmato anche a nome di Alessandro Giungi, vicepresidente della commissione. “Servono con urgenza decreti di amnistia e indulto. Milano deve dare un segnale forte”.

Il problema del sovraffollamento nelle carceri non riguarda solo San Vittore

“Sedicimila detenuti oltre la capienza massima delle carceri e diciottomila unità mancanti alla polizia penitenziaria, sempre più depauperata nelle carceri anche per le massicce quanto inopinate assegnazioni di agenti a uffici ministeriali ed extrapenitenziari richiedono interventi tangibili e immediati. La situazione – ha concluso De Fazio – è esplosiva e va sempre più deteriorandosi”.

Al 30 aprile 2025 erano 62.445 le persone detenute nelle carceri italiane, 164 in più del mese precedente. Se si pensa che le nostre carceri hanno una capienza media di circa 300 posti, significa che la popolazione detenuta sta crescendo dell’equivalente di un nuovo carcere ogni due mesi, un dato esorbitante per poter pensare di rispondere con una qualunque strategia di edilizia penitenziaria. La capienza regolamentare è di 51.280 posti, un dato addirittura in lieve calo rispetto alla fine del 2024, e dunque il tasso di affollamento ufficiale sarebbe del 121,8 per cento, ma i posti non disponibili per inagibilità o ristrutturazioni sono almeno 4.500, e dunque il tasso medio effettivo di affollamento è almeno del 133 per cento. Delle quasi 190 carceri italiane – si legge nell’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone – quelle non sovraffollate sono ormai solo 36, mentre quelle con un tasso di affollamento uguale o superiore al 150 per cento sono ormai 58. Ad oggi gli istituti più affollati sono Milano San Vittore (220 per cento), Foggia (212 per cento), Lucca (205 per cento), Brescia Canton Monbello (201 per cento), Varese (196 per cento), Potenza, Lodi, Taranto, Milano San Vittore femminile, ComoBusto Arsizio, Roma Regina Coeli e Treviso.

Nonostante l’aumento delle presenze, continua a calare la percentuale delle persone detenute in custodia cautelare. I detenuti con sentenza passata in giudicato, che erano il 71,7 per cento alla fine del 2023, sono saliti al 73,5 per cento alla fine del 2024. Restano comunque più di un quarto dei presenti le persone in attesa di giudizio e presunte innocenti.

L’emergenza suicidi in carcere non dà segni di arresto

Nel 2024 sono stati almeno 91 i casi di suicidi in carcere. Tra gennaio e maggio 2025, almeno 33. “Almeno” perché numerosi sono i decessi con cause ancora da accertare, tra i quali potrebbero quindi celarsi altri casi di suicidio. Ad oggi siamo a 36. L’emergenza ha avuto inizio nel 2022. I numeri citati da Anitgone provengono dal conteggio elaborato da Ristretti Orizzonti nel Dossier “morire di carcere”. Per il Garante Nazionale, e quindi l’amministrazione penitenziaria, i suicidi avvenuti nel 2024 sono 83 mentre. Otto in meno rispetto al conteggio di Ristretti Orizzonti, perché non includono ad esempio quelli avvenuti in ospedale dopo che la persona aveva commesso il gesto suicidario in carcere ma anche quelli avvenuti per asfissia.

Nel 2024 con 91 suicidi e una popolazione detenuta media di 61.507 persone, il tasso di suicidi è pari a 14,8 casi ogni 10.000 persone detenute. Il tasso di suicidi del 2024 è il valore più alto mai registrato. L’incidenza dei suicidi è maggiore tra le persone di origine straniera. Con 41 suicidi per una popolazione detenuta media di 19.374 persone, il tasso relativo alle sole persone straniere è pari a 21,2 casi ogni 10.000 persone, quasi il doppio di quello relativo alle sole persone italiane, pari a 11,9 casi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il tasso di suicidi in Italia nel 2021 era pari a 0,59 casi ogni 10.000 abitanti. Lo stesso anno, il tasso di suicidi in carcere era pari a 10,6 ogni 10.000 persone detenute, ossia 18 volte più grande. Confrontando l’ultimo dato disponibile relativo alla popolazione detenuta (tasso di suicidi pari a 14,8 nel 2024) con il più recente relativo alla popolazione libera (tasso di suicidi pari a 0,59 nel 2021) vediamo come oggi in carcere ci si tolga la vita ben 25 volte in più rispetto alla società esterna.

L’età media dei suicidi è di 41 anni. Il 40 per cento dei suicidi è composto da persone che erano in custodia cautelare, in attesa del primo giudizio. Dai dati di Antigone, che comprendono il 2024 e il 2025 fino a maggio, 17 delle 124 persone morte soffrivano di patologie psichiatriche e 6 avevano un passato di tossicodipendenza. Almeno 27 di loro avevano già tentato di togliersi la vita, eppure nessuno è stato aiutato o messo in sicurezza. Dall’analisi del Garante Nazionale, emerge come almeno 26 fossero le persone senza fissa dimora.

Nel 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un report sulla salute mentale nelle carceri europee. Stress, isolamento, depressione, stigma, violenza, precarie condizioni igienico-sanitarie e un difficile accesso alle cure sono stati correlati a un’alta prevalenza di disturbi mentali (32,8 per cento). Il disagio spesso tende a trasformarsi in abuso di psicofarmaci, in particolare antipsicotici, usati anche a scopo sedativo. Dal report emerge che la prima causa di morte resta quella per suicidio.

La maggior parte dei suicidi (105) sono avvenuti per impiccamento. Seguono i casi di asfissia da gas, l’inalazione di gas dalle bombolette da campeggio usate per cucinare che basterebbe sostituire con quelle elettriche. Ci sono poi i casi di soffocamento, precipitazioni e una morte avvenuta come esito di sciopero della fame. In alcune circostanze, come nel caso di asfissia e soffocamento, è difficile accertare l’intento suicidario, a meno che la persona non abbia lasciato messaggi o manifestato in qualche altro modo il suo proposito. Quindi è ancora più difficile poterla aiutare.

Dove e perché i detenuti si tolgono la vita. Il sovraffollamento non è l’unico problema

In almeno 93 casi – ossia il 75 per cento – le persone che si sono tolte la vita erano detenute in una sezione a custodia chiusa. Appartengono a questa categoria diversi ambienti detentivi, alcuni dove l’orario di apertura delle celle è ridotto rispetto ad altre sezioni, altri dove è quasi del tutto inesistente. Nella prima circostanza rientrano le sezioni ordinarie, diventate a custodia chiusa in applicazione della circolare sulla riorganizzazione della media sicurezza del luglio 2022. Sono almeno 30 i suicidi avvenuti in queste sezioni. A questi si aggiungono 7 suicidi avvenuti in sezioni “protette”, dove  si trovano le persone separate dal resto della popolazione detenuta perché considerate a rischio in relazione al reato commesso o a caratteristiche personali. Nella seconda categoria rientrano invece gli ambienti detentivi dove la persona trascorre quasi la totalità della giornata chiusa in cella. Sono almeno 20 i casi di suicidi avvenuti all’interno di celle d’isolamento. Almeno 17 quelli in sezioni ex art. 32, ossia dove l’amministrazione colloca persone considerate difficili da gestire. Particolarmente drammatico il dato relativo alle sezioni di accoglienza, dove almeno 12 persone si sono tolte la vita, presumibilmente dopo un breve periodo di detenzione. Almeno 5 persone sono decedute in ambienti sanitari a custodia chiusa, come l’infermeria o i luoghi dedicati alla salute mentale. Due persone sono decedute in ambienti dove non di rado si registrano situazioni di isolamento di fatto: una era all’interno di una sezione di transito, l’altra in una camera situata nell’area colloqui, probabilmente utilizzata in maniera impropria come spazio detentivo. Una persona si è tolta la vita all’interno di un ospedale, dove era ricoverata per un precedente tentativo di suicidio. Un’altra persona era in una REMS.

L’isolamento è quindi una circostanza che incide sulla tenuta mentale dei detenuti e può sicuramente incidere sul numero dei suicidi in carcere. I detenuti spesso non vedono e neppure sentono telefonicamente i familiari e scontano la pena in istituti molto lontani dal luogo di provenienza. L’impatto psicologico dell’arresto e dell’incarcerazione, le crisi di astinenza dei tossicodipendenti, la consapevolezza di una condanna lunga, o lo stress quotidiano della vita in carcere possono superare la soglia di resistenza dei detenuti. Il numero e la durata dei colloqui con gli affetti esterni in carcere possono variare in base alla tipologia di reato e alle disposizioni specifiche dell’istituto penitenziario. I detenuti possono effettuare telefonate, con un limite di tempo stabilito per legge, solitamente di dieci minuti a settimana, con i familiari. I contatti tra dentro e fuori il carcere, l’attenzione al rapporto con gli affetti esterni, la famiglia, la facilitazione delle comunicazioni, come l’attenzione alla rieducazione e all’inserimento sociale e lavorativo e un supporto psicologico, sono tutti elementi previsti dal nostro ordinamento che però ad oggi non vengono attuati come dovrebbero. Così, la detenzione, disumana, diventa una vendetta della società, che è proprio il contrario di quel che dovrebbe essere in uno Stato di diritto.

Il Codacons, dopo il suicidio a San Vittore, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Milano per chiedere l’apertura di un’indagine volta ad accertare eventuali responsabilità penali. “Non è più accettabile – si legge in una nota – che episodi come questo continuino a ripetersi. Il sovraffollamento, le condizioni inumane di detenzione e la mancanza di personale qualificato rappresentano una violazione sistematica dei diritti fondamentali della persona”. L’associazione sollecita inoltre un immediato intervento del Ministero della Giustizia per il rafforzamento del personale, il potenziamento del supporto psicologico e sanitario nei penitenziari e il rispetto effettivo delle condizioni minime di legalità nelle strutture detentive.

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