Italia
Il Regno del Debito: come siamo diventati schiavi della moneta
Viviamo in un’epoca in cui lo Stato ha perso il diritto di stampare moneta ma mantiene l’obbligo di pagare i debiti. Il paradosso è evidente, eppure è accettato come normale. L’Italia, come la maggior parte degli Stati moderni, è immersa in un regime dove la sovranità monetaria è stata sacrificata, e al suo posto regna una nuova forma di potere: la moneta-debito. Siamo passati da un’economia basata sulla produzione e sull’equilibrio, a un’economia costruita sull’espansione del debito come condizione necessaria alla crescita. Ma crescere per pagare gli interessi non è sviluppo: è una corsa forzata in una ruota da criceto. Questo meccanismo non è un effetto collaterale del sistema. È il sistema.
Nel 1971, Nixon sgancia il dollaro dall’oro e segna la fine del sistema di Bretton Woods. Da quel momento, la moneta cessa di essere ancorata a un valore reale: nasce la moneta fiduciaria, o “fiat money”. Lo Stato non ha più bisogno di possedere oro per emettere moneta, ma ha ancora bisogno di chiedere denaro ai mercati, pagando interessi, per sostenere la spesa pubblica. In Italia, il colpo di grazia arriva negli anni ’80, con la separazione tra Banca d’Italia e Tesoro: lo Stato non può più contare sull’acquisto automatico dei suoi titoli da parte della Banca centrale. Da quel momento deve rivolgersi ai mercati finanziari, diventando debitore cronico di investitori privati. Una sovranità dimezzata.
Il cittadino medio crede che sia lo Stato a “stampare i soldi”. Ma oggi, il 90% della moneta in circolazione è moneta bancaria: non banconote, ma prestiti digitali creati dalle banche private. Questo denaro nasce dal nulla, ma dev’essere restituito con interessi. In altre parole: il denaro nasce come debito. Ogni euro prestato è un euro che qualcuno dovrà ripagare. Ma se tutta la moneta esiste come debito, da dove verranno i soldi per pagare gli interessi? Da altri debiti, in un circolo vizioso. Non è solo insostenibile: è strutturalmente schiavizzante.
In teoria, la democrazia moderna si fonda sulla sovranità popolare. In pratica, sono i mercati finanziari a dettare le condizioni della politica economica. Quando un governo spende troppo, non è più il Parlamento a frenarlo, ma lo “spread”. Quando un Paese esce dalla linea, non interviene il dibattito democratico, ma il rating di Moody’s. L’Italia lo ha visto nel 2011: Berlusconi cade sotto la pressione dello spread e viene sostituito da Mario Monti, non eletto da nessuno ma “gradito ai mercati”. È stato un colpo di Stato soft, tecnocratico, applaudito da Bruxelles. La democrazia è ammessa finché non tocca i soldi.
Con l’ingresso nell’Eurozona, l’Italia ha ceduto la sovranità monetaria alla BCE, che è indipendente e tecnocratica. In cambio ha ricevuto “stabilità”. Ma la stabilità è un mito quando non puoi reagire con strumenti propri. L’articolo 123 del Trattato di Lisbona vieta alla BCE di finanziare direttamente gli Stati. Questo significa che lo Stato, per spendere, deve indebitarsi con soggetti privati. La BCE può comprare titoli sul mercato secondario, ma sempre a condizioni politicamente condizionate. E se sgarri, arriva la Troika.
Chi comanda oggi? Non i partiti, non i parlamenti ma chi decide il prezzo del denaro. Comandano BCE, FMI, Banca Mondiale, ma anche agenzie di rating, hedge fund e banche d’investimento. Sono poteri non eletti, non trasparenti, non soggetti a responsabilità politica. Quando Mario Draghi disse “whatever it takes”, calmò i mercati — ma fu anche un’ammissione: i mercati avevano preso il controllo. E quando la BCE ha alzato i tassi nel 2023, per “raffreddare l’inflazione”, ha strozzato l’economia reale. Una mossa politica, travestita da tecnica.
La prossima tappa si chiama CBDC — Central Bank Digital Currency. Una moneta digitale emessa dalle banche centrali, tracciabile, eventualmente programmabile. Potenzialmente, potrebbero esserci limiti su cosa puoi comprare, dove e quando. Un sistema in cui il denaro non è più tuo, ma in prestito condizionato. Un sistema perfetto per chi vuole il controllo sociale totale. Zero contanti. Zero privacy. Massima sorveglianza. Tutto legale. Tutto digitale.
La servitù monetaria è invisibile perché non ha catene, ma numeri. Bilanci. Spread. Tassi. Non ci fa paura perché non si vede. Eppure ci tocca ogni giorno: nel lavoro precario, nella sanità smantellata, nelle tasse alte, nei salari stagnanti. Riconoscere il meccanismo è il primo passo per rimettere la moneta al servizio della comunità e non viceversa. Serve una riflessione radicale su cosa sia il valore, chi lo crea, e per chi lo si crea. Fino a che la moneta resta uno strumento di dominio, non esisterà libertà politica reale. Perché, oggi più che mai, chi controlla il denaro, controlla la democrazia.
La verità è che il debito non è solo un problema economico. È una questione morale, culturale, quasi esistenziale. Viviamo in una società che ha perso il senso del limite, che confonde l’accesso al credito con libertà e la spesa pubblica con progresso. Ma ogni debito è una promessa da mantenere, e quando la politica si abitua a vivere a credito – come accade da decenni – non è solo l’economia a indebolirsi: è l’intero tessuto democratico a sfilacciarsi.
Il cittadino, sempre più dipendente dallo Stato, viene ridotto a contribuente passivo, mentre le generazioni future – che non hanno votato nulla – ereditano fardelli che non hanno scelto. In questo senso, il debito pubblico è la più antidemocratica delle imposizioni. Eppure se ne parla poco, o lo si giustifica con narrazioni paternaliste: “serve a garantire i diritti”, “non c’è alternativa”, “tanto non si ripagherà mai”. Ma come si può davvero parlare di giustizia sociale quando si sacrifica il futuro sull’altare del consenso immediato?
Credo che serva un risveglio civile, culturale, interiore. Non possiamo combattere il debito solo con riforme tecniche o vincoli di bilancio: dobbiamo tornare a chiederci che tipo di società vogliamo essere. Una che consuma senza misura, o una che costruisce davvero, con responsabilità, sacrificio, coerenza?
Perché il vero debito che abbiamo contratto non è con i mercati: è con la verità, con la dignità, con il tempo che ci è stato dato.
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