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Aldo Morrone: a Gaza una carestia indotta
Quello che accade a Gaza, in Sudan e in Tigray è una carestia “artificiale”, “indotta”, voluta dai “signori della guerra” che utilizzano la fame come arma di annientamento e rappresenta uno degli esempi più crudeli e drammatici.
“…Signore, non è facile dar da mangiare al mondo.
Preferisco fare la mia preghiera, regolare, pulita,
preferisco fare astinenza il venerdì,
preferisco visitare il mio povero,
preferisco dare ai banchi di beneficenza e agli istituti;
ma dunque non basta,
dunque non è nulla, se un giorno Tu mi potrai dire: “Ebbi fame!..”
Michel Quoist (1921- 1997
Il Prof. Aldo Morrone è considerato uno dei maggiori esperti mondiali di medicina delle migrazioni, della povertà e di dermatologia tropicale; a partire dal 1985 si occupa della tutela della salute delle persone a maggior rischio di esclusione sociale presenti in Italia.
Classe 1954, è stato il direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano di Roma (IRCCS) -fondato a Roma, nel 1725 da Papa Benedetto XIII – un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico specializzato nel campo della dermatologia e venerologia. Infettivologo di fama mondiale, è stato fondatore e primo Direttore Generale dell’Istituto Nazionale Migrazioni e Povertà (INMP).
Morrone ha sempre messo a disposizione la sua grande esperienza, maturata in ogni angolo del mondo, anche rompendo gli schemi tradizionali dell’assistenza pubblica. E’ un uomo che non ha mai atteso il malato solo sulla porta del suo studio ma è sempre scenso in strada giocando in prima persona a tutto tondo il suo ruolo di sanitario.
Ha coordinato numerose missioni clinico-scientifiche e umanitarie in Africa, Medio Oriente, India, America Latina e Sud Est Asiatico. Da oltre 40 anni è presente con la sua Equipe in Tigray, dove ha aperto numerose Scuole di Medicina e Ospedali.
La sua storia parte da lontano e ci racconta di un’incessante opera prestata per quasi quarant’anni in aiuto di poveri, migranti, persone in difficoltà. Potrei definirlo un “missionario laico”.
Vi propongo una sua riflessione.
La fame che attraversa due corpi.
Morire di fame prima ancora di nascere: il grembo materno, che dovrebbe proteggere e nutrire, diventa luogo di privazione e sofferenza. La denutrizione materna in gravidanza rappresenta una delle forme più drammatiche di ingiustizia biologica e sociale. È una ferita ignobile, silenziosa e letale.
Quando una donna non dispone del necessario apporto calorico e proteico, il feto cresce in condizioni di deprivazione estrema, andando incontro a ritardo di crescita intrauterina, basso peso alla nascita, danni fisici e cognitivi permanenti, in altre parole viene ucciso il suo futuro.
In termini clinici parliamo di malnutrizione materna e fetale; in termini umani, non possiamo non riconoscere che alcuni bambini “muoiono di fame prima ancora di nascere”. Ma non dobbiamo confondere la fame con la malnutrizione. Si può essere malnutriti senza avere fame. La fame non distrugge solo la vita delle persone, ma anche la loro dignità.
Questa realtà, che ho toccato troppo spesso con mano in diversi Paesi, è un dato clinico e un grido di giustizia assordante: nessuna madre e nessun figlio dovrebbero essere condannati alla fame come destino biologico.
Conosco bene cosa accade nel corpo di una donna in gravidanza che non ha cibo a sufficienza. I primi segni sono quasi inapparenti: stanchezza, cefalea, la pelle è disidratata, il volto invecchia precocemente, mentre il feto cerca di consumare tutta la placenta che trova. Nel sangue i globuli rossi e l’emoglobina si abbassano violentemente. A volte neanche una trasfusione riesce a impedire la morte materna e perinatale.
Se poi le si impedisce l’accesso alle cure, uccidendo medici, infermieri e bombardando ospedali, vuol dire che quella donna e quel bambino in grembo non sono morti per una malattia, ma sono stati assassinati.
Usare la fame come arma significa trasformare pane e acqua in proiettili invisibili.
Quello che accade a Gaza, in Sudan e in Tigray è una carestia “artificiale”, “indotta”, voluta dai “signori della guerra” che utilizzano la fame come arma di annientamento e rappresenta uno degli esempi più crudeli e drammatici.
A Gaza quasi il 25% della popolazione affronta condizioni di fame estrema; nei primi 7 mesi del 2025 ci sono stati almeno 89 decessi attribuiti a malnutrizione o fame; solo ad agosto 2025 altri 138 decessi per fame, tra cui 25 bambini. Abbiamo rilevato un rischio stimato di almeno 132.000 bambini sotto i 5 anni che potrebbero morire di malnutrizione acuta entro giugno 2026. Inoltre più di 60.000 donne in gravidanza e in allattamento soffrono già di disidratazione e malnutrizione.
In Sudan la guerra civile dal 2023 ha innescato una carestia antropogenica: oltre 25 milioni di persone vivono in insicurezza alimentare grave e si stima che oltre 700.000 bambini soffrano di malnutrizione acuta, con 522.000 già uccisi dalla mancanza di cibo.
Garantire cibo e salute alle donne e ai bambini non è un atto di carità, ma di giustizia, è la base stessa del diritto alla vita e della dignità umana.
Thomas Sankara affermò all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dell’ONU il 4 ottobre 1984, “…Prima di me, altri hanno spiegato quanto è cresciuto l’abisso fra i popoli ricchi e quelli la cui prima aspirazione è saziare la propria fame e calmare la propria sete, e sopravvivere seguendo e conservando la propria dignità.
Ma è al di là di ogni immaginazione la quantità di “derrate dei poveri che sono andate a nutrire il bestiame dei nostri ricchi!”
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