Geopolitica
L’argomento guerra, non proprio un’esercitazione dialettica del pensiero unico
Le analisi sulle guerre in corso non dovrebbero prescindere dalle riflessioni diverse, serie e responsabili di Simone Weil e Marguerite Duras
Pare abbastanza certo che i sistemi con cui vengono governate le nazioni e le istituzioni internazionali non siano adeguati alle esigenze di una democrazia evoluta e moderna. Per cambiarli occorrerebbe che al comando ci fossero delle persone molto più intelligenti (l’intelligenza è una categoria morale!) di quelle che il mondo si ritrova. Gli israeliani hanno eletto un uomo banale, che, lungi dall’essere un politico avveduto ed equilibrato, meno che mai uno statista, persevera nell’unica cosa che gli riesce bene: rendersi indegno e passare alla storia come esemplare criminale; gli americani, non so quanto perfidamente, hanno scelto come guida l’uccisore del “sogno americano” e, dunque, l’alienatore per eccellenza della visone ottimistica del futuro, del progresso e della libertà; mentre l’Italia, pur sempre nostra, ha accidentalmente permesso a una servetta settecentesca, con il piglio da capo del personale al servizio di un padrone, di sovrintendere alle sorti di uno dei paesi più significativi della storia dell’umanità. E tutto lascia pensare, guardando anche agli altri capi di governo, che un tale concentrato di inadeguatezza e ottusità sia il tributo altissimo che l’Occidente paga, nel presente sciagurato, per lo splendore di un passato emerso tra complicazioni e difficoltà non di poco conto. Forse, per interpretare l’attualità, incresciosa e allarmante, bisognerebbe raccontarla nella sua verità, per quella che è, evitando di presentarla mediante una trama di fantasia che arriva a giustificare l’orrore e ad assolvere chi lo perpetra in maniera sistematica, in barba al Diritto Internazionale e alle sentenze della Corte Penale che ne salvaguardano l’applicazione.
Ma, si può scrivere e parlare della guerra senza entrare nel merito delle ragioni delle stesse parti contendenti? E ancora, se ne possono raccontare gli effetti separandoli dalle cause, che andrebbero sempre indagate nel rigore scientifico della realtà da cui scaturiscono? Restando nell’ambito del conflitto israelo-palestinese, per esempio, gli osservatori non riescono neanche a mettersi d’accordo sulla reale consistenza della catastrofe di Gaza, trovando pareri discordi circa la sua più autentica definizione. Infatti, quel che sembra a tutti gli effetti un genocidio viene, spesso, derubricato a disastro, o a tragedia. Una gran parte dell’opinione pubblica fa una certa fatica a parlare di una cancellazione programmata, nel tempo, del popolo palestinese, a cui viene negato il diritto di esistere.
Intorno alla guerra si può ragionare accampando ragioni e sentimenti di appartenenza: ideali, religioni e provenienza possono rendere imparziale qualsiasi congettura, anche la riflessione più austera che si prefigge l’assoluta correttezza di analisi. Argomentare nella complessità delle diramazioni a tema, e, dunque, sulla forza, la violenza e la disumanità di uno scontro bellico senza correre il rischio di attingere a luoghi comuni e a convinzioni sbagliate, richiede una compostezza lessicale e una rigidità morale difficilmente accessibili, che solo gli storici rispettosi della logica del metodo possono raggiungere.
Eppure, due donne di straordinario talento, muovendo da prospettive diverse, sono riuscite ad avvicinarsi all’argomento con la grazia e la capacità di scavare a fondo, garantite da un genio cristallino di assoluto valore: Simone Weil e Marguerite Duras (rispettivamente nella foto che accompagna l’articolo). Le considerazioni che Simone Weil fa della guerra sono incentrate sulla ricerca della purezza dell’affettuosità oltre la forza, contrapponendo alla suggestione perversa della guerra la realtà dell’amore. Simone è stata una pacifista non estranea ai campi di battaglia, che allo scoppio della guerra civile spagnola si è arruolata nelle colonne degli antifascisti libertari e ha partecipato alla Resistenza francese, quasi a cercare nell’esperienza bellica una sorta di decontaminazione del male. Un tentativo da cui rimase profondamente delusa che la portò ad assumere, successivamente, un atteggiamento di totale repulsione per ogni guerra. Marguerite Duras, invece, pone la sua attenzione al lato disumanizzante e devastante della guerra, proponendo in special modo nell’opera, La douleur, una visione della violenza che non riserva spazio a nessuna redenzione e purificazione, che coinvolge e macchia tutti, nessuno escluso. Ecco, probabilmente, le analisi diverse delle due umaniste novecentesche rappresentano, oggi, rispetto alle guerre in corso, con riferimento al conflitto mediorientale e a quello russo-ucraino, la prospettiva di maggiore pregnanza da cui partire per giungere ad analisi attendibili.
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