
L'arco di Ulisse
La pietà tardiva dell’informazione convenzionale
di Oscar Nicodemo
5 Giugno 2025
Viviamo in un mondo che non sopporta più il legame profondo di somiglianza tra le parole e le cose, tra la scrittura e la realtà. La parola che diventa azione al servizio di un pensiero sembra non appartenere più all’umano. La maggioranza degli stessi operatori culturali e dei critici, in genere, ragiona per citazioni, saltellando di palo in frasca sulle specifiche conoscenze e senza arrivare a una posizione ideologica che prenda visione dell’incresciosa attualità, come se le citazioni e i riferimenti culturali di cui si abusa servissero unicamente ad addobbare il dire ciarliero e non a dare maggiore senso alle esitanti riflessioni sulla crisi etica dell’Occidente. Quando la realtà si impone in maniera tanto tragica e determinante, provocando effetti di tensione e sentimenti di indignazione nella popolazione globale, ogni attività intellettuale (escludendo la politica, ormai materia non più soggetta a ragionamento) dovrebbe tenerne conto. E, invece, solo dopo le mobilitazioni di protesta nelle piazze del mondo in difesa di una Gaza quasi interamente rasa al suolo, dove si contano 55mila morti, 120mila feriti, 18mila dispersi e circa due milioni di sfollati, il mainstream della comunicazione, con i suoi giornali invenduti e finanche qualche fine pensatore di regime hanno iniziato a manifestare pietà per una devastazione tanto orribile e il genocidio in corso. Vi è che la Nakba, la tragedia del popolo palestinese, va somigliando sempre più alla Shoah, la catastrofe ebraica. Entrambe assumono, nel dolore, nella mestizia e nella disperazione, dimensioni bibliche ed entità storica. Ma i teologi non ne parlano, i giornalisti non osano pensarci, gli ortodossi sionisti griderebbero al sacrilegio per un simile accostamento.
Potremmo uscire dall’ipocrisia se solo fossimo più coraggiosi, dessimo importanza alla verità, leggessimo almeno una volta qualche passo della Bibbia o del Corano, contemplandone l’esegesi. Fare esperienza dell’esistenza vuol dire anche conoscere e informarsi, ma soprattutto prendere parte in una causa umanitaria di fondamentale importanza, a cui gli efficientisti e i furbi di ogni tempo restano indifferenti per non compromettere i loro miserabili interessi. Non c’è cultura conveniente che nella sua autenticità non inviti a schierarsi sempre a favore degli oppressi, degli indifesi, dei dimenticati dal mondo. E non ci sono grandi scrittori o scrittrici e filosofi o filosofe del passato, di cui i riferimenti e i rimandi abbondano qua e là, che avrebbero ostentato un indecente mutismo di fronte agli orrori dell’enclave palestinese. In quanto occidentali e consapevoli della nostra storia e cultura dovremmo, almeno in teoria, saper distinguere l’ambiguità di un establishment politico di potere che adopera una doppia morale per giustificare l’osceno di cui si rende interprete. Abbiamo, nel mondo, una questione sionista, ma si ha quasi timore a dirlo apertamente: dei criminali al comando di una nazione sono in missione per perpetrare un genocidio, imbruttendo l’esistenza, attentando alla pace di tutti e danneggiando l’ebraismo e la popolazione ebraica.
Gaza, oggi, oltre a essere l’immagine della propria distruzione, è il manifesto luttuoso dell’intera parte del mondo che si intende sacrificare ai nuovi princìpi totalitaristi. Dopo i palestinesi, toccherà ad altri popoli essere trucidati per “liberare” il luogo che abitano.
Cosa ci trattiene dal dire tutta la verità sul conflitto mediorientale, delegando il compito ai posteri? Hannah Arendt – e questa non è una citazione di sfoggio, fine a se stessa, ma il ricorso alla saggezza e all’intelligenza eccelsa di una grande filosofa – ha affrontato il tema della pace attraverso una riflessione sulla politica, la violenza e il ruolo della libertà nell’azione umana. La sua analisi critica dei regimi totalitari e la sua attenzione alla “banalità del male” evidenziano come la pace non sia semplicemente l’assenza di guerra, ma un processo complesso che richiede un impegno attivo e critico. Così, per dire dell’infingardaggine e la viltà degli intellettuali di quest’epoca così minima, triste, fatta di tanti zeri. Si aggiunga che neanche alla presenza di un osceno Decreto Sicurezza, che esprime quanto di più aberrante e anticostituzionale si possa legiferare per impedire ogni forma di protesta, i nostri fini pensatori hanno qualcosa di rilevante da osservare, lasciando alla gente comune, del web e delle piazze, manifestare un dissenso che affonda le radici in un significativo senso della misura e della decenza a difesa della libertà e inerente al minimo indispensabile su cui si basa un sistema autenticamente democratico.
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