il carcere di Alcatraz

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Riapre il carcere di Alcatraz, l’ultima americanata di Trump

5 Maggio 2025

Il carcere di Alcatraz, chiuso dagli anni ’60, riaprirà, afferma il presidente degli Stati Uniti sulla piattaforma Truth, specificando che la prigione sarà ricostruita e allargata in modo sostanziale. Situato su un’isola, nella Baia di San Francisco, è stato il penitenziario più temuto dai criminali americani del passato, che ospitò tra gli altri anche Al Capone e ispirò qualche glorioso film, come, appunto, la celebre “fuga” (1979), con Clint Eastwood, ma anche “The Rock”, (1996), con Sean Connery e Nicolas Cage.

Il carcere di Alcatraz ospiterà i criminali più spietati e violenti d’America, afferma il presidente degli Stati Uniti sulla piattaforma Truth, specificando che la prigione sarà ricostruita e allargata in modo sostanziale, per farne un simbolo di diritto, ordine e giustizia. La storia di questo luogo di reclusione dice ce fu attivo per soli 29 anni, mentre è chiuso da più di sessanta, soprattutto a causa dei suoi costi insostenibili. Si pensi che per mantenere Alcatraz occorreva un esborso di denaro tre volte superiore a quello di qualsiasi altra prigione federale. Ma chi sono i nuovi e spietati criminali d’America a cui è destinata la prigione delle prigioni, nel suo nuovo look? Al di là della sua abituale retorica intorno all’ordine costituito, Trump non ha precisato quali categorie delinquenziali dovrebbero essere ospitate nella ristrutturata Alcatraz. Di certo vi è che il suo governo continua a effettuare numerose deportazioni di persone immigrate, su cui spesso gravano accuse senza fondamento. Vuoi vedere che il nuovo carcere di Alcatraz sarà usato per imprigionarne una parte, magari insieme a chi ne difende i diritti, considerato che sin dall’inizio del suo mandato le deportazioni hanno iniziato ad assumere tratti illegali?

Da tempo, ormai, la democrazia americana da esportazione presenta problematici difetti di fabbrica, come qualsiasi avariato prodotto di consumo. E al pari di una scadente merce commerciale, presenta anomalie che ne compromettono il mercato. Va da sé che Trump rappresenti, per i suoi modi di fare e di dire, quel “guasto” che rovina negli ingranaggi di un modello democratico che non ha mai ignorato del tutto la qualità della retorica, l’estetica del comportamento, la brillantezza del pensiero, ergendosi a faro spandi luce per il mondo intero. Trump, personaggio inimitabile, in quanto fa della gag il suo stato naturale, usa disinvoltamente tutto il proprio arsenale dinamitardo, fatto di parole fumanti e giudizi crepitanti, per sfidare non solo i suoi competitor, ma anche il comune senso americano della decenza, che, a quanto pare, viene continuamente ridimensionato dalla ostentata finesse d’esprit di un presidente sregolato, al di sopra del quale sembra non vi siano organismi istituzionali atti a sovrintendere, men che meno la Corte Suprema, che pure avrebbe il potere di annullare qualsiasi ordine esecutivo presidenziale. Per ora, tutto sembra squalificarlo, ma non vi è niente che valga a delegittimarlo. E anche quando in tanti hanno pensato che l’avesse combinata davvero grossa, irridendo un giornalista disabile, Trump ha resistito ai sondaggi di gradimento. Mentre gli americani più esigenti e avveduti sanno che il suo sistema di comando prima o poi imploderà.

Nel frattempo, l’espressione pirotecnica del suo conservatorismo smisuratamente eccessivo attenta al mito stesso del sogno americano, rovesciandolo: Trump è la dimostrazione che chiunque, se abbondantemente ricco, può concorrere ai più alti livelli della politica, permettendosi il lusso di assumere atteggiamenti mentali di evidente sconvenienza. Eppure, l’America, agli occhi del mondo, è sempre stato il posto dove chiunque, dotato di talento e volontà, può aspirare, nel rispetto del prossimo, a sognare in grande, fino a diventare presidente degli Stati Uniti. Immagino una commissione di saggi chiamati a dare un giudizio sull’operato di Trump, formata da gente, che, dal 1789 ad oggi, ha guidato quella nazione e mi chiedo: chi, per esempio, da George Washington a Thomas Jefferson, per passare da Abraham Lincoln a Benjamin Harrison, finendo con Theodore Roosevelt e John Fitzgerald Kennedy non avrebbe provato un sintomatico imbarazzo di fronte alla presidenza di Donald Trump?

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