Geopolitica

Parigi, 11 settembre europeo: ma è il 2001, o il 2015?

10 Gennaio 2015

Io ho più ricordi del 1997 che del 2014 ad esempio, e son sicuro che capita spesso anche ad ognuno di voi: è questione di consapevolezza del presente. La stampa italiana lo scorso 11 settembre ci ricordava di ricordare un altro 11 settembre, quello con Bush al posto di Obama, Giovanni Paolo II al posto di Francesco, Dick Cheney al posto di Joe Biden, Bin Laden e Al-Quaeda al posto di Al-Baghdadi e dell’Isis, Blair al posto di Cameron, Berlusconi -ce lo metto perché porta lettori- al posto di Renzi, Aznar al posto di Rajoy, Marcello Pera al posto di Grasso. Bene, io me lo ricordavo. Il fatto strano è che mi ricordavo più nitidamente l’11 settembre 2001 che il 10 settembre 2014, anzi dirò di più: avevo in mente l’11 settembre 2001 in maniera nitida, ancor più nitida di quanto l’avessi  durante lo stesso 11 settembre del 2001, durante il 12, durante il 13, e durante il 14.

Il processo mentale qui sopra espresso non è poi così tanto contorto se si considera che riguarda tutti, e nasce tutto da un sentiero quasi infinito di digestione cerebrale ed emotiva,  ed è proprio il concetto di assimilazione a lunghissimo termine a dare il gusto delle pietanze divorate tempo fa, cogliendo umori e profumi del passato dimenticato.

L’altro giorno accade che alcuni demoni col cappuccio attaccano Parigi “il cuore dell’Europa”, la culla di Charlie Hebdo e di tutta quella maestranza di progresso e riforme che fece del continente un vero e proprio continente, poco prima di iniziare ad essere incontinente. Gli acciacchi dell’età si sentono, le mille battaglie vinte e perse segnano la salute di questa Europa punching-ball che pare non averne più. Il 7 gennaio i pugni dell’austerity si sono svegliati proiettili di mitra, pensate che bel risveglio, che bel percorso dalla padella alla brace. Noi italiani così solidali e così cugini coi parigini, tant’è che gli regaliamo messe in francese («Parigi val bene una messa»), omaggi vaticanisti a Enrico IV sovrano di Francia come souvenir d’Italie per il suo compleanno. Ma come? Ci affamano, ci dicono “resistete” per difendere il progresso, e poi sono i primi a non difenderlo? Questo si chiede l’europeo nel bel mezzo della selva oscura, tra la seconda e la terza decade di questo millennio, mentre Ernesto Galli della Loggia ci parla sul Corsera di “11 settembre europeo”, dove l’anno non conta più e l’incedere del tempo nemmeno.

Eccome se conta, mi vien da dire. Nel 2001 avevo 21 anni, non avevo intenzione né di lavorare e né di sposarmi a breve, per vedere un filmato dovevo accendere la tivvù, per andare su internet sperare che qualche mio amico avesse un computer abbastanza poderoso da reggere un 56 k e aprire la pagina di Google in meno di dieci minuti, dimenticavo nel giro di pochi mesi connotati di persone con cui passavo vacanze o serate piacevoli, pagavo in lire, potevo tirare il Nokia 5110 contro qualsiasi corpo terrestre ed essere sicuro di avere un’arma contundente, ignoravo totalmente – o al massimo paventavo- venturi aggeggi in perenne connessione con la terra e col cielo, 24 ore su 24. Nel 2001 molti di noi erano già grandi, il 2001 si poteva già chiamare futuro e Kubrick con questa cosa ha fregato tutti, creando l’immaginario di essere già arrivati, di prendere le valigie e di scendere dal treno, pronti per l’Odissea.

Anche per questo è subentrato il germe per cui il 2002 era il 2001, il 2003 anche, il 2007 pure, e anche il 2009 con Obama, il 2012 con i Fratelli Musulmani o il 2014 con l’Isis. Sempre il 2001, siamo sempre nel 2001: in Italia Berlusconi ha ovviamente messo in freezer le sue e le nostre rughe e fuori dai confini l’apparato è comunque restato nostalgico, a parte gli stravolgimenti dell’euro. Nonostante questo, per molti è il 2001.

Insomma, tutto cambia e tutto resta uguale, per tanti anni. Esplode una bomba a Madrid nel 2004 e pensi al 2001, esplodono bombe a Londra nel 2005 e ti parlano di 2001, muore Bin Laden e non smettono di parlare di 2001, cadono i talebani e si parla di 2001, Obama annuncia il ritiro delle truppe e tutti parlano di 2001, “perché è un punto di svolta” ti dicono, e tu pensi alla svolta e ti immagini il movimento, la corsa, il cambiamento, per poi ritrovarti paralizzato, nel 2015, a parlare di 2001. Giunto il momento fecondo d’improvviso realizzi –sì, può capitare- che il compasso si è dilatato in maniera enorme, e che ora 14 anni non possono essere facilmente considerati soltanto un periodo di transizione, o una zona franca, e che no, non è più il 2001.

Seguendo il sentiero luminoso dell’intuito la sensazione è che i segnali dati dagli eccidi di Parigi, nonostante gli appelli di parallelismo tra torri e matite in senso antireligioso, in alcuni –molti, troppo pochi- stiano producendo l’effetto contrario. Forse perché il tempo non è più quello di una volta,  forse perché nemmeno lo spazio lo è, forse perché oggi, nel 2015, spazio e tempo semplicemente non sono. E ti permettono di cercare e guardare volti di conoscenze vacanziere che nel 2001 avresti facilmente rimosso, ad esempio.

 Per carità, non che il risveglio sia totalizzante, la strada è ancora lunga e la maggioranza sta ancora impalata, senza accennare un passo. No, non per lottare: basterebbe camminare, a testa alta, senza guardarsi indietro, e invece no. E invece anche nel 2015, anche dopo Parigi, leggo spesso riesumazioni di Fallaci, di Terzani e affermazioni da 2001, da 2003 e da 2007, come “l’integralismo islamico non è l’Islam, ma è una parte malsana, una scheggia impazzita nell’universo musulmano”, che suona come il più classico dei “quelli non si possono definire tifosi” del più ordinario tra i telecronisti RAI di fronte a uno scontro tra le solite teppaglie ammanicate – mettiamo Cerqueti ad esempio, che fatico a sopportare-, frase regolarmente pronunciata dagli anni ’80 in poi . A questi buonisti surgelati seguono altri, di solito con bandiere palestinesi o con dichiarazioni di fede ad Assad, magari con qualche tatuaggio di Maradona, un libro di Ezra Pound o un saggio sulla controcultura vegana che dopo attente analisi avvalorate da dati su bambini morti -ma già denutriti- rispondono che “l’Occidente è il Male, e questa è soltanto una reazione sacrosanta”.

Questa quale? Questa del 2001? Questa del 2015? Allora, per prima cosa possiamo cominciare a rivalutare il concetto di “sacrosanto”, scompattandolo anche in “o sacro, o santo” per dire, dopodiché riprendendo il discorso sulla scheggia impazzita possiamo afferrare una lancia per spezzarla a favore di questo antichissimo e superbamente diabolico Occidente, iniziando magari a pensare che niente è tutto, che l’Occidente non è il Male, che magari il Male può essere in Occidente e che quindi il Male è “nostro” ed è pure il “loro”, che può essere estirpato senza bruciare tutto, senza per forza demolire templi, e che le schegge quando impazziscono lo fanno soprattutto per far impazzire te.

C’è un precetto cinese che gira spesso, e dice che il denaro può comprare una casa ma non una famiglia, può comprare un orologio ma non il tempo, può comprare un libro ma non la conoscenza, può comprare un letto ma non il sonno.

Cari amici miei, non per dar ragione ai cinesi, ma non diteci che è il 2001, per cortesia.

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