“Tanto poi da qui se ne vanno tutti”. Appunti da una Basilicata resiliente

17 Settembre 2018

Ho camminato per 70 km quest’estate, 5 giorni a piedi per i sentieri della mia terra, dormendo in caldi sacchi a pelo con altri 20 “esploratori di uomini” come me.
Ho incontrato tante storie della Basilicata questa estate, che aspettavano solo di raccontarsi.
Ogni anno da 6 anni, grazie ad un progetto dell’Associazione di cui faccio parte, sperimento la conoscenza di quelli che Ernesto De Martino chiamava “altri modi di essere uomini in società”, un’esplorazione a piedi di comunità resilienti che abitano la Basilicata come Dolmen maestosi e che, nonostante la sensazione di essere sempre esclusi da qualcosa, restano lì, come per vedere come andrà a finire.
L’esplorazione di quest’anno ha abbracciato tutta la Val Sarmento, da Noepoli a Terranova, passando per Cersosimo, per i paesi di cultura arbereshe e per i sentieri dei lupi.

Ogni anno chiediamo a realtà locali di guidarci o aiutarci a trovare dove mangiare e dormire, ma il presupposto fondamentale è che ogni pezzo dell’accoglienza parta dalla comunità locale: la messa a disposizione di sedi istituzionali per farci dormire, la preparazione del cibo da parte di gente dei vicinati, la festa di chi apre le sue porte ad un gruppo di 20 “forestieri” .
All’inizio c’è sempre diffidenza da parte di chi incontriamo e la solita domanda sulla bocca e nello sguardo di tutti: Ma che ci siete venuti a fare qui?
Poi, però, bastano pochi minuti e poche parole, e li senti ripetere facilmente che “qui c’è l’aria buona, qui si sta bene, qui sì che si mangia di lusso e giù lodi e rivendicazioni di bellezza, finchè però tutti, o quasi tutti, chiudono i discorsi con un malinconico: “tanto poi da qui se ne vanno tutti”.
Quando il canto si fa malinconico, però, mi viene sempre da pensare una cosa: forse qualcuno ce l’ha insegnata questa canzone della malinconia che andiamo cantando noi lucani spesso e volentieri, forse fa parte della storia che ci accompagna ancora, e forse non ha dentro di sé nessuna strofa sul futuro, però mi piacerebbe che la mia terra, invece, sapesse cantare un canto di bellezza profondo, in cui alla fine gli uomini restano, i giovani tornano e i paesi si ripopolano.

Sono 6 anni che esploriamo questo fantastico drammatico assolato caldo e tenero Sud a piedi, così tra la gente, e altrettanti che ci tuffiamo tra calanchi, campi di grano arato e boschi di questa nostra terra lucana sempre in compagnia di viandanti di altre città, nuovi di queste parti e con gli occhi sempre pieni di amore e stupore per la grandezza di queste zone.
E allora mi chiedo cos’è che non vede la gente di qui, cos’è che si perde il suo sguardo severo, sempre tanto pieno di passato e poco di futuro e penso che manchi lo sguardo dei giovani, che manchino i loro sogni, i loro facili e così utili entusiasmi, penso che la Basilicata abbia tanto bisogno di gioventù. “Lasciamoli andare sti giovani che qui è la morte” mi ha detto un signore, alzando la mano al cielo, come fosse una maledizione, e a me è venuto da pensare che forse, se continueremo a lanciarci da soli questa maledizione, come un destino ineluttabile, finiremo per crederci tutti prima o poi e la Basilicata si estinguerà. Io voglio invece ripartire da quei giovani, che pur partiti per studiare, formarsi ed esplorare, hanno voglia di tornare a sparigliare le carte del futuro della loro regione e da quelli che non hanno mai sentito parlare di Basilicata ma se ne innamorano al primo sguardo e non vogliono partire più. Che poi, a pensarci bene, vorrei che non fossero solo giovani, vorrei che fossero 40enni, 50enni, vorrei che fossero stranieri, vorrei che fossero dei “nuovi”. Forse così sarebbe più facile rompere la maledizione che spesso da soli ci infliggiamo e con ogni probabilità potrebbero portare sguardi da prestare anche alla gente di qui e da cui far ripartire le persone e, quindi, le Istituzioni.
Abbiamo incrociato a piedi musei inaspettati, ristrutturati, inaugurati e chiusi, soldi spesi e fermi al taglio del nastro. Ma abbiamo incontrato anche amministratori che avevano un’enorme voglia di raccontare, di trovare ispirazioni e ripartire, che ci hanno guidato per sentieri impervi con l’orgoglio di chi tira fuori le cose buone del corredo quando riceve una visita.

Ma non basta, spesso ho avuto la sensazione che le Istituzioni fossero ferme un passo indietro rispetto a tanti cittadini, purtroppo un passo indietro e non in avanti.
Perchè se manca a molta gente la capacità di sognare una Basilicata diversa, a molte Istituzioni manca la consapevolezza della grande responsabilità nei confronti della creazione e dello sviluppo di una coscienza collettiva diversa, di una visione comune di cui sentirsi parte per tornare, per non andare o per arrivare.
Tra qualche anno molti dei paesi che abbiamo visitato rischiano di non esserci più, ed è un patrimonio immenso che andrà perduto, la meravigliosa cultura arbereshe che abbiamo incrociato negli occhi di Francesca, Leonardo, Enzo scompariranno e resterà un silenzio spesso di cui le Istituzioni dovranno sentirsi colpevoli.
Forse in questa nostra regione “la droga” dei soldi pubblici, tanti, arrivati a fiumi negli anni precedenti ha rovinato tante cose, ha addormentato il coraggio di farcela, di inventarsi soluzioni, ha fatto evaporare l’orgoglio “brigante”, ci ha fatto credere che avremmo potuto vivere e crescere solo a partire da qualcuno o qualcos’altro e così siamo arrivati a questa attesa eterna che qualcuno si ricordi di noi, a vivere di sudditanza ogni qual volta qualcuno porta qualche spicciolo qui o promette nuove piazze o nuovo lavoro.
Nei paesi che abbiamo attraversato a piedi, spesso, le Istituzioni sono state raccontate come distanti, interessate solo ai comodi propri, impegnate a spartirsi i soldi, nessuna visione, nessuna fiducia, nessuna rappresentatività riconosciuta. Ma se ci penso, il concetto va ben oltre i paesi visitati, è un sentire comune, un sentire tutto italiano in questo momento, e penso che la colpa non sia poi tutta dei cittadini, penso che siano ormai pochissimi i politici capaci di guardare alla loro comunità come ad un’opportunità di sviluppo, non tanto economico quanto sociale e culturale, all’unica possibilità di crescita di un Paese intero.

Tra qualche mese in Basilicata si voterà, non so cosa accadrà ma so cosa mi auguro per questa nostra terra: mi auguro che a candidarsi siano i nuovi, con sguardi nuovi e soprattutto con visioni, non ho voglia di promesse, nessuno ne ha più voglia, non ho voglia di soldi, ho voglia solo di investimenti in persone, idee, futuro, nuove comunità.
Il resto sarà solo fuffa.

 

La camminata a cui ho partecipato si chiama NeturalWalk ed è organizzata dall’Associazione Casa Netural. L’Associazione locale che ci ha aiutati è il collettivo artistico Stato di Noia,di Noepoli.       La foto di copertina è di Enza Di Lecce.

TAG: abbandono, aree interne, Basilicata, coraggio, ruralità
CAT: Beni comuni

Un commento

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  1. marcella.salv 6 anni fa

    magnifico articolo!

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