Pakistan, o i piaceri della carne

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17 Luglio 2015

“Queste, signore, sono leccornie rapaci, leccornie condite con un tocco di voluttà, di abbandono lascivo. Non fanno per noi le ricette vegetariane che si trovano al di là del nostro confine orientale, e neppure la carne sterilizzata, trattata, igienizzata così comune nella vostra patria! Qui non facciamo gli schizzinosi quando è in gioco l’appagamento dei nostri desideri”.

Con queste parole Il fondamentalista riluttante presenta la cucina pachistana al suo commensale americano. Con queste parole solleticava i miei sensi prima ancora di essere là. Ho letto questo romanzo per prepararmi all’incontro col Pakistan, quando ancora non sapevo se sarei riuscita a ottenere il visto per questo affascinante paese. Eh sì, perché la richiesta di entrare via terra, per quel confine orientale, quel Wagah border che separa Amritsar e Lahore, lasciava perplesse le autorità consolari, che sembravano chiedersi “ma cosa ci va a fare questa?”. I rapporti tra le due potenze non sono dei migliori, anche se si stanno distendendo. E’ di pochi giorni la notizia che Modi ha accettato un invito a visitare il Pakistan nel 2016, la prima visita di un primo ministro indiano dall’altra parte del confine dal 2004. Ma pochi mesi prima della partenza, un attentato suicida aveva causato 55 vittime e 120 feriti.

La mia curiosità era forte. Come sarà questa cucina voluttuosa dall’altra parte del confine? Il romanzo è ambientato a Lahore, più precisamente ad Anarkali, uno dei bazar della capitale del Punjab, in cui la sera le strade prendono vita, si riempiono di tavoli e si inizia a mangiare di gusto. Ottenuto il visto e attraversato il confine, ad Anarkali ho consumato la mia prima cena pachistana, poche settimane dopo. E ho capito cosa intendesse Mohsin Hamid.

Non stiamo parlando del semplice piacere di mangiare con le mani, quello per cui la coscia di pollo da bambini ha tutto un altro sapore. Il rapporto tattile, fisico col cibo accomuna i due Punjab, quello pachistano, a maggioranza musulmana, e quello indiano, a maggioranza sikh. La differenza sta nel menù. Da una parte, una cucina vegetariana, che io adoro, ma che non ha niente a che spartire con l’orgia di carne che mi ha accolto al di là del confine.

La specialità, il piatto che non dimenticherò, è il taka tak. L’onomatopea dice tutto. Pensate a una enorme padella (tawa), riscaldata dal fuoco, e a due spatole metalliche, che il cuoco impugna per sminuzzare sotto i vostri occhi quello che andrete a mangiare. Ritmicamente, riduce la carne in piccoli pezzi. Pensate a tanti tawa, lungo la food street di Anarkali. Tak tak tak. La preparazione è uno spettacolo, in una cucina decisamente “a vista”. E mentre ammirate il cuoco e la sua tecnica, il taka tak inizia a sprigionare il suo profumo. Pochi minuti ed è pronto, e potrete finalmente gustarlo con un naan fatto al momento. Sì, ma cosa c’è nel taka tak? Beh, un insieme variegato di frattaglie, tutte quelle che vi possono venire in mente: cervello, reni, fegato, testicoli. Del resto, non vorrete fare gli schizzinosi… Abbandonate i pregiudizi, e questo paese risveglierà tutti i vostri sensi.

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Foto di Marcella Nicolini, 2015
In copertina: ristorante afgano a Peshawar
Preparazione del taka tak a Gowal Mandi, Lahore
Gli ingredienti del taka tak ad Anarkali, Lahore
Preparazione del naan in un forno tandoori ad Anarkali, Lahore

TAG: carne, food street, Pakistan
CAT: cibo & vino, viaggi

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