Collateral beauty: nella vita tutto è collegato
Se dovessimo giudicare Collateral beauty (regia di David Frankel) basandoci sul senso e la logica diremmo che è un flop. Diremmo che le attese di tutta una pellicola vengono tradite nel finale, nonostante gli sforzi del regista di concludere degnamente un gioco di incastri e di costruzioni narrative. Eppure, non sarebbe sufficiente. Collateral beauty è un film avvincente, irrazionale, gioioso nella sua drammaticità, persino ironico. Carezza l’emotività dello spettatore, lo coinvolge, esaltando gli equilibri che reggono la nostra esistenza, che legano gli eventi, che ci fanno essere parte di un ordine precostituito. Howard (Will Smith) è il leader di una società, ma da quando sua figlia è morta, si rifiuta di vivere: si assenta a lavoro, non si nutre, è alienato. Il circostante gli giunge come un’eco che non lo riguarda, un insieme di sollecitazioni insensate e vane. I suoi soci ed amici Whit, Claire e Simon (nell’ordine Edward Norton, Kate Winslet e Michael Peña) ingaggiano degli attori per riuscire a penetrare la mente dell’amico ed incontrarlo tra le sue fissazioni ed immagini mentali. Hanno bisogno di farlo ragionare, inducendolo a cedere le quote della società. Gli attori arruolati interpretano Tempo, Amore e Morte, le entità a cui Howard scrive lettere. Howard ha così uno scossone, l’incontro con una donna farà il resto. La disperazione muterà in una forza nuova: la capacità di cogliere, nonostante il dolore, la bellezza collaterale che fa sentire ogni essere umano in armonia con gli eventi e le cose, reali e non. Quasi esistesse una corrente che ci spinge in avanti anche quando vorremmo retrocedere e sparire. Man mano che le tre entità provocano Howard guidandolo verso un qualche equilibrio, anche le vite di Whit, Claire e Simon prendono direzioni e forme rinnovate, a conferma che la sofferenza è una lunga notte alla quale segue prima o poi il giorno, qualsiasi cosa significhi.
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