Il sindaco del rione Sanità: la potenza di De Filippo nel film di Martone

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20 Ottobre 2019

Eduardo De Filippo scrisse “Il sindaco del rione sanità”, nel 1960.

Sembra un’eternità, quasi sessantanni fa.

La commedia, stesso lui dichiarò, fu ispirata dalla vita reale. Esisteva un personaggio, un certo Campoluongo, di professione commerciante di mobili, non un camorrista, che svolgeva, gratuitamente, la figura di “consigliere e a volte giudice” del quartiere.

Ripianava i casi, risolveva controversie, ma decideva forse anche le punizioni e i meriti.

Questo è ’o Sindaco, nella commedia, Antonio Barracano, cioè l’ autorità indiscussa «per gli ignoranti».

Non è la legge, non si contrappone alla legge che «è fatta bene: sono gli uomini che si mangiano», e chi non ha «santi in paradiso» va da lui per risolvere questioni, ottenere protezioni, soddisfazioni, consigli.

E lui, sentite entrambe le campane, perchè «soltanto per i morti ne suona una sola», compone e dispone.

Così è, in modo trasposto ai nostri tempi, ma con immutato carattere, anche o’ Sindaco, del film di Mario Martone.

Così, in modo preciso, alla commedia di Eduardo De Filippo scritta nel 1960, il Sindaco risolve «i fatti».

Prima due amici che si sparano, poi un usuraio che costringe alla fame un padre di famiglia. Infine il «fatto» più spinoso: il figlio umiliato che vuole uccidere il padre, Arturo Santaniello, che lo ha cacciato di casa.

Prima di tutto, nel film di Martone, Antonio Barracano non è un anziano boss del quartiere immaginato nella versione teatrale, ma il giovane Francesco Di Leva, che veste, in modo perfetto, avendone l’esperienza e la bravura, le vesti di un moderno, ma nello stesso tempo antico, sindaco, indossando i panni del malavitoso 2.0.

Che Antonio Barracano, sia un camorrista, è un’ambiguità che anche il film si è portato in eredità, dal testo originario anni ’60.

Alcuni critici, nell’analisi della commedia, espressero allora, la loro perplessità per la contraddizione, che emergeva dalla trama.

Eduardo De Filippo, aveva cercato di contrapporre, ad un pessimismo di fondo, che vedeva nel personaggio di Barracano, semplicemente un camorrista, la nuova coscienza nata nel “dottore” (oggi il bravo Roberto De Francesco), che rifiutava tutto ciò che era stato e poteva diventare.

Lo stesso Eduardo, raccontava, l’errata visione del Sindaco:

–           «il pubblico si identificava con lui, lo scambiava per un “mammasantissima” e non lo voleva morto».

De Filippo, voleva invece che Antonio Barracano, fosse visto solo come un uomo, il cui errore era la sfiducia negli uomini, e per tale motivo, per ottenere giustizia, se la faceva da solo con ogni mezzo a sua disposizione.

La commedia esprimeva, secondo l’autore, la crisi della giustizia della società italiana di quegli anni, per cui chiedeva:

–          «Non è forse per la mancanza di giustizia che ci troviamo in questa condizione?».

Il paradosso è che, l’opera di Eduardo De Filippo, oggi è più attuale di ieri, ed il film di Mario Martone ne è la prova.

La trasposizione cinematografica, riesce ad azzerare in un colpo solo, l’immagine criminale che la città continua a portarsi addosso nei film e nelle serie tv.

Si vede, anzi, non si vede, una Napoli, ma la si immagina, un luogo simbolico, in cui il popolo è plebe e il rispetto è solo un codice.

I dialoghi serrati, le maschere degli attori, l’espressività dei gesti, rappresentano le vere anime di una città che vorremmo forse riavere, dove le persone, con i loro vizi e le loro virtù, sono specchio dell’intera umanità.

Resta la violenza, mai esplicitata ma sempre sul punto di esplodere.

L’aggressività con cui nel film, Antonio Barracano (interpretato da Francesco Di Leva) accompagna le sue massime, come una variante più teatrale, delle serie più cruente, che hanno portato nel mondo, non pizza e mandolino, ma  pistole, linguaggio ruvido, dialetto stretto.

I «modelli» dell’immaginario criminale attuali, per questo motivo, sono sfumati, diventano addirittura degni di attenzione, nelle loro mosse, anche quelle di sfoderare una pistola e caricarne il colpo in canna, sembrano pupi, di un opera, che restando tragica, si ammanta quasi di magia.

Ma chi è invece oggi, Antonio Barracano, il sindaco del Rione Sanità?

Un uomo che ha ucciso, ha corrotto testimoni, ha acquisito un prestigio e un potere che è in grado di esercitare con la forza e la coercizione. Ma stranamente non mira a fini personali, alla ricchezza e al sopruso.

Barracano è uno che fa giustizia a modo suo, che protegge gli “ignoranti” dal sopruso istituzionalizzato, dall’arbitrio dei veri potenti, dei furbi che divorano la povera gente. E perciò prova a ristabilire gli equilibri sconvolti del mondo , quasi una sorta di vendicatore ma nello stesso tempo, come si usa dire oggi, anche un peacekeeper.

Barracano vuole essere un eroe giusto, sente la responsabilità del suo ruolo e dispensa una morale lontana dalla ferocia della camorra:

–          «La vita è importante», spiega ai ragazzi che si sono sparati;

–          «l’uomo è uomo quando capisce che deve fare marcia indietro, e la fa» dice a Rafiluccio.

Senso del limite, non eccesso. Rispetto delle regole, ma anche degli altri. La sua vocazione di giustiziere, di eroe dei poveri, si estrinseca nella diffidenza verso chi «tiene ’a laurea».

(Una nota: nel cinema dove ho assistito alla proiezione del film, in una zona “in” della città, al racconto di come fossero “negativi” nel loro operare, i professionisti di ogni genere, lui cita in particolare architetti e avvocati, la platea ha riso, quasi compiaciuta)

Martone sa benissimo che le condizioni sono cambiate, il mondo, il contesto, gli usi e i consumi, sono mutati.

Alla canzone melodica, si contrappone il rap, scritto nelle strofe degli insonni di una città in continuo fermento, che vive e muore tra la periferia e il centro.

Proprio come un serpente che si mangia la coda, in un desiderio di soddisfare il suo bisogno primordiale di fame, senza pensare alla sua stessa morte.

Anche l’attore che interpreta il Barracano di Martone, esprime, nella sua fisicità, quest’energia, nervosa, non più curvo è flemmatico, anche se risoluto, come invece era il sindaco di Eduardo.

Francesco Di Leva, del fisico di Eduardo, scavato dal tempo, non ha proprio nulla.

Lui è un boss contemporaneo, fa palestra, ha un look adeguato, così come lo hanno tutti quelli che vanno a chiedere il suo consulto o il suo permesso, si vestono e si muovono come quei personaggi che abbiamo imparato a vedere nella Napoli del cinema e delle serie più attuali, che si girano a Scampia fino ad arrivare, al cuore della Sanità.

Oggi, non si distingue più il bene e il male, l’essere cialtrone dall’autorità, dell’uomo d’onore, fino ai rifiuti umani, alla munnezza vera, dal loro modo di apparire.

Antonio Barracano, boss di oggi, rispettato e temuto. figura più ottocentesca, reinventa la realtà, anzi anticipa il tempo, quello fatto delle sopraffazioni e di violenza, della miseria intellettuale prima che materiale.

Lui crede che lo scontro tra diverse visioni di etica e di giustizia, sia da sanare, non con il conflitto, con l’uso della forza, delle armi, che restano solo ad esclusivo utilizzo di una trama puramente criminale.

Il suo gesto finale, si rivela come una sorta di incarnazione in cui, nella città che mostra di ignorarlo, diventa uomo tra gli uomini. Senza il suo potere e la sua forza, si rivela solo e inerme.

Tenterà la composizione estrema, la risoluzione definitiva dei «casi», pur di lasciare dietro di sé un mondo pacificato, almeno secondo le sue regole e la sua giustizia.

Ma Antonio Barracano, allora non può essere il Sindaco. Può essere quindi santo oppure eroe?

Il film delinea con precisione un vuoto, un’assenza.

Quella perenne delle istituzioni, di quella stessa società civile che si riempie coi miti dai contorni incerti, delegati però a rispondere a tutti quei bisogni che essa necessità di soddisfare, anche quelli morali.

Il Sindaco del Rione Sanità, di Mario Martone, è alla ricerca di un’etica e di una morale ormai persa nella notte dei tempi.

Ma è nel finale, che il film si distacca dalla commedia.

Le differenze volute da Martone, poche ma importanti, finiscono per condurre su strade lontane, ma sicuramente più attuali, rispetto a quelle di De Filippo.

Andatelo a vedere.

TAG: #napoli, avv Monica Mandico, eduardo de filippo, Francesco Di Leva, Mario Martone
CAT: Cinema, Napoli

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