
Milano
Lo scollamento
Milano, da città “cool” a preda del Mercato: il centrosinistra ha smarrito lo “sviluppo educato”, favorendo disuguaglianze e declino. La sconfitta politica è già evidente, al di là delle inchieste: serve politica vera, non storytelling e gestione da manager.
Delle indagini giudiziarie che coinvolgono, ancora una volta, l’intreccio tra amministrazione comunale e finanza immobiliare non è serio parlare, se non per rammentare appunto che la combinazione tra politica debolissima, mattone rapace e procura agitata ha già prodotto, in città e non solo, mostri che avremmo preferito fossero archiviati definitivamente, ma tant’è. Al massimo, chi ne capisce e ne è appassionato può trarre dalla lettura delle carte elementi per farsi un’idea della solidità delle indagini, che comunque finiranno in un frullatore di cui non è dato oggi di conoscere il prodotto. Personalmente, nelle ricostruzioni dei giornali ho letto troppi aggettivi roboanti, troppo storytelling, quindi ho smesso di leggere e mi sono messo in posizione di chi ha (media) fiducia nell’operato della magistratura.
Anche perché, da cittadino milanese, da elettore e, confesso, da componente del comitato per la rielezione di Sala nel 2021 (coordinatore tavolo PMI per la precisione) un’idea pregiudiziaria me la sono fatta da lungi, e non è buona. Provo a srotolare velocemente il ragionamento che ho esposto al mio GIP interiore.
Il centrosinistra ha vinto a Milano nel 2012 su una piattaforma che, alzando la visuale, è assai simile a quella del centrosinistra mondiale che governa praticamente tutte le città mondiali, la chiameremo “sviluppo educato”.
Le città, come gli squali, non possono mai fermarsi, devono produrre in continuazione significati, e figate per intercettare e trattenere i flussi di creativi e lavoratori della conoscenza che rappresentano la principale risorsa dell’economia dematerializzata e, se non lo sono di loro, si portano dietro i ricchi. Per essere “the place to be” le città devono essere, o raccontare molto bene di essere, attente agli SDG dell’ONU, ossia a quegli indicatori rosa pallido che prescrivono un po’ di ambiente, tante bici, poche macchine, il giusto di giustizia sociale, il massimo dei diritti individuali. Insomma, il palinsesto di Netflix.
Per un po’, almeno fino al Covid, la macchina ha funzionato splendidamente: da milanese ero orgoglioso fra orgogliosi di vivere e di ospitare amici nel posto più figo del mondo, insieme scintillante e ben amministrato, con i concept store e i trasporti pubblici che funzionavano. Poi il resto del tempo lo passavo nella Roma della Raggi, quindi vincevo assai facile.
A un certo punto la macchina si è inceppata, direi con il secondo mandato di Sala. Inebriato dalla vittoria contro un candidato grottesco e giustamente sparito, il Sindaco ha deciso di alterare gli equilibri dello “sviluppo educato”, ovviamente a discapito dell’educazione. La politica, che già non godeva di grande salute, è stata completamente marginalizzata: la giunta del Sala 2 riflette un’idea tolemaica della gestione di un sistema complesso come Milano, quale poteva concepire appunto solo un alieno alla politica stessa.
Ogni afflato riformista serio, ogni pensiero di prospettiva sulla città – ce n’erano pochi, ma qualcosa c’era – è stato allontanato: non si parla di politica, o meglio lo fa solo il Sindaco con le sue intemerate che raccontano del carattere impulsivo di un uomo certamente brillante, ma forse più avvezzo all’azione che al pensiero, appunto un manager. I partiti, in particolare il PD, che ricordo essere azionista di maggioranza della coalizione che governa Milano? Spariti, vivono sui social, organizzano i Pride (sacrosanti, ma c’è anche il resto) e campano in una beata dimensione da fine della Storia, per cui c’è da fare manutenzione sociale e disegnare tante strisce colorate nelle piazze, che figata.
Senza politica a dire ‘questo sì’ e ‘questo no’, perché bene o male rappresenta interessi compositi e persone e dovrebbe tenere la barra dritta verso un’idea di sviluppo, l’amministrazione diventa sostanzialmente accompagnamento al Mercato. Il quale, in quanto Mercato appunto, tende innanzitutto alla soddisfazione dei propri bisogni. Po’ esse piuma, e ti fa la biblioteca degli alberi, po’ esse fero, e cola cemento a tutto spiano e rende la città inavvicinabile per chiunque non sia ricco. Comunque, il Mercato per costituzione si fa i fatti propri e solo una politica che amministri con accortezza un bene scarso e prezioso (come Milano per i palazzinari) può pensare di tenergli testa. E invece ha scelto di non farlo.
Rapace, il Mercato ha estratto da Milano tutto il valore possibile; stupido, ha avvelenato i pozzi attorno alla zona di estrazione, alterando l’ecosistema che permetteva ai creativi poveri, ai giovani e a chi lavora nella meccanica delle città di viverci dignitosamente, mentre la Politica prendeva atto; spietato, ha lasciato la città che scalava le classifiche di figaggine in braghe di tela pur di lucrare all’amministrazione compiacente i minori costi possibili per il suo arricchimento; cinico, sta già migrando dove ci sono pozzi vergini da estrarre e avvelenare, ad esempio Roma (buona fortuna ai romani).
Anche prima di questa tempesta, che andrà come andrà, era evidente a chi vive a caro prezzo la città che qualcosa fosse cambiato, e in peggio: le strade con buche che si ricordavano ad altre latitudini, i mezzi pubblici rincarati e diminuiti, piccoli vanti locali come le piscine pubbliche ridotte al lumicino, l’orrore del Villaggio Olimpico, le nuove piazze senza alberi, l’assurdità di San Siro, la brutta figura del Salva Milano. Una città strutturalmente ambiziosa ridotta a convento povero pieno di frati sempre più ricchi.
Questo stato di cose sta cominciando a penetrare in sempre più bolle in città, incluse quelle della borghesia progressista che magari ha la casa di proprietà, magari anche più di una, e dunque nessun problema di sussistenza a Milano, ma comincia a vedere tutti i limiti di una città in cui ci sono troppi più Davide Lacerenza che Piero Bassetti (a proposito, la sua intervista su Repubblica è come sempre la cosa più intelligente e rivolta al futuro che si possa leggere su Milano). C’è uno scollamento tra il governo di Milano e le sue bolle di riferimento che rischia di sortire effetti assai più rapidi e certi persino delle inchieste della magistratura e che è sciocco sottovalutare.
Che si fa?
In altre epoche, che spiace ricordare con nostalgia, i partiti di maggioranza avrebbero da tempo chiesto una verifica e magari un rimpasto di giunta, quando non direttamente cambiato il sindaco stesso. Oggi, il dottor Sala ha in mano tutte le carte e dunque si becca gli onori (passati) e gli oneri (attuali): da milanese auspicherei un bell’esame di coscienza, politico, ripeto, non giudiziario, e due anni non dell’attuale tirare a campare. Essendo il Sindaco ambizioso, dovrebbe capire che quello che farà in futuro dipende anche dalla legacy che lascia, a meno che non aspiri davvero a sedersi nei posti stra occupati di leader di qualcosa “di centro” di cui nessuno sentiva il bisogno e che nessuno voterà.
Anche la politica, perdio, recuperi un minimo di dignità. Qualcuno dica qualcosa sulla deriva in corso, o almeno sulle partite più controverse, tanto quando Sala avrà finito il cerino tornerà ai partiti. I quali potrebbero recuperare un minimo sindacale di credibilità non dico sfiduciando Sala (un tempo, ripeto, si sarebbe fatto), ma almeno gestendo in modo non approssimativo la sua successione, lontana ma nemmeno troppo. Fa arrabbiare che a New York ci sia un 33enne che rischia di diventare sindaco perché corre su una piattaforma che ragiona dei prezzi fuori controllo e qui abbiamo un plotone di 50enni che vorrebbero prendere il posto di Sala ma si guardano di sottecchi e aspettano il momento giusto per non bruciarsi, senza dire nel frattempo una parola sugli errori della propria parte, secondo la logica di scuola PCI della cooptazione dei più funzionali. Fare politica richiede una solida dotazione di narcisismo e allora lo si usi per rompere quello che non funziona e costruire altro.
Anche il fatto che la destra non voglia veramente governare Milano perché la sua base elettorale globale è il risentimento di Strapaese contro Stracittà non può essere un’alibi all’inerzia: se tutto va a scatafascio potremmo trovarci non con Albertini (magari), ma con qualche personaggetto che passerà cinque anni inutili a straparlare di cose che non può fare e a prendersela con le unioni civili (la politica quando è impotente vola alto o scarta di lato, a destra come a sinistra). Torneremmo indietro e diamine non ce lo meritiamo.
Come dice Piero Bassetti “Milano ha un dinamismo che è difficile da fermare”, con buona pace di chi oggi sorridente dalle stesse colonne straparla di “bloccare tutto”, senza dire per andare dove. Milano ha una vocazione storica a correre, non può essere una grande area interna, una città slow (di quelle è piena l’Italia), ma deve essere guidata con polso e cervello per evitare che gli appetiti grandi e piccoli mangino troppo.
Chi ha il volante in mano oggi, spiace dirlo, ha perso un po’ il controllo del motore, succede. Tocca sperare che il prossimo andrà meglio, e lavorarci, perché la Provvidenza del milanese Manzoni insegna che le cose buone alla fine succedono a chi, nonostante tutto, fa quello che deve.
Nella foto: un pezzo del convento povero in una zona di frati ricchissimi
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