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Milano

Diritto di parola e diritto di futuro. Una risposta di generazione ai Black bloc

di David Bidussa
1 Maggio 2015

A Milano, forse non si è ripetuta l’operazione che riuscì al G8 di Genova nel luglio 2001:  l’uccisione di una  generazione che poi negli anni successivi non ha trovato gli spazi, le parole, le forme e anche gli slogan per segnare una propria presenza.
Quella generazione non morì alla Diaz o alla scuola Pascoli nella notte tra il 21 e il 22 luglio e nemmeno morì il 20 luglio in Piazza Alimonda, dove morì Carlo Giuliani.
Quella generazione morì la sera di Giovedì 19 luglio, al termine della prima giornata di manifestazioni, quando non fu più in grado di andare oltre l’espulsione dei Black bloc e pensò che quella scena fosse la propria vittoria. Si trattava di prendere in mano la questione, affrontarla non come ordine pubblico, o come provocazione. Bensì di proporre  le proprie parole, la èpropria agenda come tema. Ma il giorno dopo non fu questo. Il giorno dopo quella generazione non aveva più voce. Altri avevano la voce, le parole, gli slogan. Si presero il centro della scena e uccisero la generazione che li aveva espulsi da quella piazza il giorno prima.

Rispetto ad allora, la voglia di riflettere che è cresciuta in questi mesi intorno ai temi di EXPO Milano 2015 , intorno a “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”i due slogan che stanno al centro della riflessione pubblica promossa dall’occasione di EXPO, indica che la possibilità di non essere scippati è consistente. Ma appunto il problema è mettere al centro temi, riflessioni, percorsi, proposte. In breve esserci.

E’ possibile che la scena del 19 luglio sera, una scena che nessuno ricorda più appunto, perché lì una generazione è morta e non ha avuto chi ne parlasse, non si ripeta oggi.
Dipenderà da molte cose, ma sicuramente la differenza la può fare la riflessione pubblica e la può fare quella generazione che dal futuro si sente coinvolta in termini di scelte da fare, di agende da riempire, di questioni da porre, di voglia di pensare e fare.
Insomma se il vocabolario in cui si combinano diritti, scelte, impegni e responsabilità trova la possibilità di trasformarsi in linguaggio pubblico.
Lì si vedrà se appunto nuovamente una generazione verrà uccisa o se invece, a differenza di 14 anni fa , come è auspicabile, avrà modo di riprendersi in mano un futuro.
E tuttavia quando l’attacco si fa duro non basta solo dichiarare la propria voglia di riflettere. Occorre anche dare la prova inconfutabile che si è pronti a fare. Ora.
Oggi questa disponibilità, significa dare una parte del proprio tempo per aiutare a rimettere in piedi Milano, una città oggi ferita, ma che è un “bene comune” che oggi va tutelato, meglio “ripristinato”.
Si chiama “nessuno tocchi Milano”, è il luogo virtuale dove darsi appuntamento per aiutare a rimettere a posto ciò che è stato devastato. E riaprire la partita, riappropriarsi del diritto di parola, tornare protagonisti, laddove qualcuno ha cercato di sottrarre la parola a tutti nel pomeriggio di oggi.
Non perché si è buoni e “loro” sono i cattivi. Ma per marcare una spaccatura verticale tra chi prova a darsi un futuro e chi fa di tutto per uccidere quelli della sua generazione che non sono d’accordo con lui perché si accontenta della rabbia che ha dentro e non la tramuta in iniziativa, perché gli basta coccolarla per dire a se stesso che è vivo.

EXPO 2015
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