Negli ultimi anni il costo dell’immobiliare a Milano è aumentato, mentre i servizi pubblici hanno visto una stagnazione

Milano

Milano, dove sono andati i guadagni dell’immobiliare? Sicuramente non nei servizi

A Milano i prezzi delle case crescono più degli stipendi, mentre i servizi pubblici stagnano: cosa raccontano affitti, servizi per l’infanzia e centri sportivi sulla vita in città.

30 Aprile 2025

I temi di quest’articolo verranno approfonditi lunedì 5 maggio, alle 18.30, al Circolo Caldara in via De Amicis 17, Milano. “Milano. La qualità dei servizi pubblici: argine efficace alla città premium?” Un evento del percorso HeyMilano, insieme a Alessandro Coppola, urbanista e professore al Politecnico di Milano, e Cristina Tajani, senatrice ed ex assessora alle attività produttive e al lavoro.

Negli ultimi anni il costo della vita a Milano è aumentato molto, soprattutto quello della casa, mentre i servizi pubblici hanno visto una stagnazione, o persino una riduzione, in alcuni casi. Partendo dalla casa, secondo i dati raccolti da Francesca Cognetti e Alice Ranzini del Curalab del Politecnico, nel 2022 quasi il 70% delle abitazioni era occupato da proprietari, il 22% era in affitto sul mercato privato e il 7% erano case popolari. Dal 2010 sono state costruite 27.735 nuove abitazioni — di cui un terzo in housing sociale — portando il totale a 822.000 case: un aumento dello stock immobiliare del 3,5%.

Eppure a peggiorare la situazione è il divario crescente tra il costo della casa e gli stipendi locali. Per il secondo rapporto dell’Osservatorio Casa Abbordabile, nel 2023 un impiegato medio (€1.836 netti al mese) può permettersi di acquistare solo 25mq o affittarne 35, mentre un operaio (€1.364) può permettersi 19mq in acquisto e 26 in affitto, restando entro il 30% del reddito. Il problema si sta aggravando: tra il 2015 e il 2023 i prezzi delle case sono saliti del 58%, gli affitti del 45%, mentre gli stipendi medi nella Città metropolitana sono cresciuti solo del 9% per gli operai e del 10% per gli impiegati.

Questa pressione economica si intreccia a trasformazioni profonde nella città metropolitana. Secondo i risultati di MetroMosaic, un progetto coordinato dal prof. Coppola, Milano ha rafforzato il suo peso come polo occupazionale, attirando una quota crescente di addetti (dal 25% al 28% tra il 2011 e il 2021) e accentuando la polarizzazione del lavoro a favore della città e di pochi altri comuni. Accanto a Milano, alcuni poli come Monza, San Giuliano, Peschiera Borromeo, hanno visto aumentare significativamente il numero di occupati nell’ultimo decennio, attirando nuovi flussi pendolari e contribuendo alla crescita residenziale, in particolare tra Milano e Pavia. Oltre 170 comuni vicini vedono più del 20% dei lavoratori pendolare verso Milano, con punte sopra il 40% nella prima e seconda cintura metropolitana.

In questo contesto, emerge anche il tema della qualità e della struttura della crescita economica milanese. Come osserva Cristina Tajani, «C’è uno squilibrio tra i settori produttivi della città a discapito di manifattura, ricerca applicata (scienze della vita), terziario avanzato e anche commercio di prossimità. Bisogna tornare ad attrarre queste produzioni, altrimenti la ricchezza si sposterà sempre più dal lavoro alla rendita».

Se con Dario Di Vico abbiamo visto quanto l’attrattività del mercato immobiliare milanese ha spinto al rialzo sui prezzi, il prof. Coppola offre una spiegazione del perché questo è successo sul Corriere del 16 febbraio. Secondo lui, l’alto numero di costruzioni è stato favorito da una concorrenza normativa al ribasso: condizioni regolative e urbanistiche più favorevoli rispetto ad altre città europee hanno attratto capitali, riducendo la capacità dell’amministrazione di imporre obblighi redistributivi (come il versamento di una quota dei profitti) o sociali (come riservare una parte degli alloggi a canone accessibile).

In Italia dagli anni ’80, la deregolamentazione urbanistica e il ritiro dello Stato dalle politiche abitative attive hanno trasformato l’abitazione da bene sociale a prevalentemente un asset di investimento privato. A Milano, questo processo ha raggiunto il suo estremo, alimentando una crescita economica che ha alzato i valori immobiliari ma ha reso sempre più difficile l’accesso alla casa per una parte crescente della popolazione.

Coppola sottolinea che le regole urbanistiche dovrebbero servire a garantire che la valorizzazione immobiliare generi benefici per tutta la collettività, e non solo per pochi. Quando invece chi costruisce deve “dare” poco alla città, il risultato è che l’arricchimento resta privato, mentre il costo della vita aumenta e i servizi pubblici peggiorano. È il paradosso che Milano sta vivendo: una città sempre più ricca, ma con la stagnazione e riduzione di servizi fondamentali come i nidi o i centri balneari.

Tra i servizi pubblici che hanno segnato la storia di Milano ci sono i centri balneari. Cento anni fa vennero costruiti i primi: la piscina Romano nel 1929 e il Lido di Milano nel 1931. Oggi la società comunale Milanosport gestisce 26 impianti — 13 piscine, 9 centri sportivi, un centro tennis, un centro balneare, un velodromo e l’Allianz Cloud — mantenendo tariffe più basse del privato (€8-9 per una giornata in piscina) e agevolazioni per i redditi ISEE. Il Comune destina ogni anno a Milanosport 4,7 milioni di euro – pari appena allo 0,17% delle sue uscite correnti.

Oltre agli impianti attivi, ci sono 5 strutture chiuse: 3 dei 4 centri balneari (Lido, Scarioni, Argelati), la piscina scoperta Saini e il centro sportivo Suzzani. Se il Saini è stato affidato all’Università Statale e il Suzzani dovrebbe riaprire a breve, il destino dei centri balneari è più incerto. Su questo si concentra il report «Il fine o la fine dello sport e del tempo libero pubblico a Milano?» di Alessandro Coppola, Antonio Longo e Tommaso Goisis (2024).

La piscina Lido, che accoglieva fino a 50.000 persone ogni estate, è chiusa dal 2019. Nel 2020 il Comune l’ha affidata alla multinazionale GO FIT attraverso un partenariato pubblico-privato (PPP): una formula in cui i privati ristrutturano e gestiscono impianti pubblici in cambio di una lunga concessione (42 anni per il Lido). Il progetto prevede la trasformazione della vasca balneabile più grande in una fontana decorativa o in un lago per kayak, con una tariffa giornaliera di €12,50 più una quota annuale di €25. Anche per lo Scarioni, chiuso dal 2018, GO FIT ha presentato una proposta simile, al momento senza sviluppi. Per il centro Argelati, frequentato da circa 30.000 utenti l’anno fino al 2022, è in corso un interesse da operatori privati.

Negli ultimi anni il costo dell’immobiliare a Milano è aumentato, mentre i servizi pubblici hanno visto una stagnazione
Il rendering di come diventerà il Lido dopo la ristrutturazione di GOFIT

Il report sostiene che il Comune, invece di guidare la trasformazione, sembra accogliere le proposte di investimento privato senza riuscire a orientarle verso l’interesse pubblico. Così si indebolisce il ruolo sociale che le piscine comunali hanno sempre avuto, fondamentali soprattutto d’estate in una città dove le disuguaglianze si allargano. Come ricorda Coppola, «Milano ha sempre avuto tradizione di servizi comunali belli ed efficienti, che fanno fare cose che altrimenti non si potrebbero fare con un certo reddito». Con la privatizzazione, invece, mentre chi può permetterselo sarà altrove in vacanza, meno persone potranno godere di questi spazi di aggregazione.

Un altro ambito cruciale in una città dal costo della vita crescente sono i servizi per l’infanzia. Se la scuola materna e primaria sono servizi universali, il nido non lo è. A Milano oggi i posti pubblici disponibili — tra nidi comunali, sezioni primavera, nidi in appalto e privati convenzionati — coprono circa il 43% della popolazione residente in età, con 261 strutture e 8.282 posti. Per l’anno scolastico 2025/26, a fronte di 4.766 posti disponibili per i nuovi iscritti, sono arrivate 7.464 domande, lasciando quindi 2.897 bambini in lista d’attesa.

Guardando indietro, nel 2004 i posti nei nidi comunali erano 7.300, saliti a 10.130 nel 2010. Ma dal 2019 avviene una riduzione, dovuta soprattutto all’uscita dal sistema convenzionato di molte strutture private, per sostenere i loro profitti di fronte all’aumento dei costi gestionali e a condizioni economiche considerate meno vantaggiose.

Questo ha aggravato il problema dei costi per le famiglie: nei nidi comunali la retta varia in base all’ISEE, da €0 a un massimo di €502,20 al mese nel 2023, mentre nei nidi privati, secondo Assonidi, le tariffe sono in media tra €650 e €750 al mese. Come abbiamo visto con Alessandro Rosina, l’accesso ai servizi per l’infanzia è strettamente legato alla natalità. Città con una copertura più alta di posti nido — come Parigi (74%) o Bologna (52%) — registrano anche tassi di natalità più elevati.

Come sottolinea Tajani, per risolvere gli squilibri dell’economia «la leva fiscale può essere di aiuto, in combinazione con altre leve come quella dei servizi pubblici. Per esempio, insieme ai servizi per l’infanzia, Milano ha una lunghissima tradizione nell’offerta di formazione professionale pubblica per adulti (le Scuole Civiche professionali) che oggi è un po’ in affanno e andrebbe ripensata».

La copertura limitata dei nidi si somma infatti ad altre difficoltà lungo il percorso educativo. L’anno scolastico spesso parte con carenze di insegnanti, e il tempo pieno viene attivato solo a fine settembre, con pesi organizzativi e costi per le famiglie. In estate, se non ci sono i nonni, i centri estivi diventano essenziali ma onerosi: quelli privati costano in media €208 a settimana (stime della UIL), mentre l’offerta convenzionata — 32 strutture per circa 4.500 bambini nel 2023 — varia con l’ISEE ma si esaurisce in fretta. Altroconsumo stima una spesa media tra €725 e oltre €2.160 per bambino da giugno a inizio agosto.

In una città dove il costo della vita e le disuguaglianze crescono, i servizi pubblici sono sempre più centrali per garantire a tutti la possibilità di costruire una vita soddisfacente: emanciparsi dalla propria famiglia, poterne creare una, lavorare con dignità, invecchiare bene. Rafforzarli significa rendere accessibili a una parte più ampia della popolazione i frutti dello sviluppo. In un contesto di riduzione continua delle risorse trasferite dallo Stato (44,4 milioni di euro per il prossimo triennio), diventa ancora più necessario concepire risposte locali, liberando quella creatività, senso dell’iniziativa e attivazione della massa critica che da sempre costituiscono la forza di Milano.

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