La sicurezza a Milano è sempre al centro del dibattito politico e della polemica giornalistica

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Milano sicura o Milano insicura? Tra sensazioni e soluzioni

Mentre i reati complessivi sono in calo, la percezione d’insicurezza resta alta. Franco Gabrielli ci ha spiegato perché questo avviene e che soluzioni ci sono: affrontare il disagio sociale, ridurre le disuguaglianze e aumentare l’inclusione.

3 Luglio 2025

La sicurezza di Milano è uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni. Ma Milano è davvero diventata più insicura? Nello spirito del percorso HeyMilano – che vuole capire com’è cambiata Milano negli ultimi 15 anni – ci siamo chiesti cosa dicano i dati e quali strade si aprano per il futuro. Ne abbiamo parlato con Franco Gabrielli, già Capo della Polizia e consulente del Sindaco Sala, oggi professor of practice alla SDA Bocconi, intervistato da Mario Calabresi, al Centro Caldara.

Il numero complessivo di reati denunciati a Milano è in calo rispetto all’inizio degli anni 2010. Allora si registravano circa 166.000 denunce annue, mentre nel 2024 il totale è sceso a circa 140.000. Fino alla pandemia il calo è stato costante, ma nei primi anni successivi al COVID c’è stata un’inversione di tendenza: nel 2022 sono stati denunciati circa 6.000 reati in più rispetto al 2019.

Il dato complessivo include dinamiche molto diverse in base al tipo di reato. Alcuni sono in netto calo: i danneggiamenti sono scesi da circa 24.000 a 16.000 nel periodo, i furti da oltre 100.000 a 85.000, gli omicidi si sono quasi dimezzati, passando da 16 a 9 all’anno. Uno sguardo storico evidenzia un cambiamento ancora più marcato: a Milano tra gli anni ‘70 e ’80 si registravano circa 150 omicidi all’anno in media (in gran parte legati alla criminalità organizzata).

Altri reati sono in aumento. Le truffe informatiche si sono triplicate – sia a Milano che nel resto d’Europa – passando da 4.000 a 12.000 denunce. Ma sono soprattutto cresciuti due crimini con un impatto molto significativo sulla vita quotidiana: le rapine e una specifica categoria di furti.

Una rapina è un reato che implica l’uso della violenza o della minaccia per sottrarre beni a una persona, e per chi la subisce è un’esperienza molto traumatica. Tra il 2019 e il 2022 le rapine denunciate a Milano sono aumentate del 49%, passando da 2.270 a 3.384. La crescita riguarda in particolare le rapine in strada, che nel 2023 sono state 2.270 (contro le 1.576 del 2019), mentre quelle in abitazioni o negozi sono molte meno e sono rimaste stabili (rispettivamente 49 e 295 nel 2023).

I furti – la sottrazione di un bene senza l’uso di violenza o minaccia – hanno seguito una dinamica simile: dal 2019 al 2022 sono cresciuti del 28%. Anche qui, l’incremento è dovuto principalmente ai furti con destrezza – ovvero quelli in cui il ladro agisce, in un luogo pubblico, in modo così rapido e abile che la vittima non se ne accorge: da 22.600 nel 2019 hanno raggiunto un picco di 29.000 nel 2022, per poi diminuire negli anni successivi.

Al contrario, le altre tipologie di furto, anche più onerose per chi le subisce, sono calate: i furti in abitazione sono passati da circa 5.000 nel 2019 a 3.100 nel 2024, mentre i furti d’auto in sosta sono scesi da circa 9.800 a 7.000.

Nel complesso, quindi, la criminalità a Milano non è aumentata in modo generalizzato: la crescita riguarda soprattutto rapine e furti in strada. Franco Gabrielli spiega che sono proprio questi crimini ad avere la più alta incidenza sulla percezione di sicurezza dei cittadini.

Negli anni ’70 «i crimini si rivolgevano a determinati soggetti: altre bande criminali, forze di polizia, magistrati, commercianti. Se non frequentavi le piazze di Vallanzasca o non eri un grande imprenditore, vedevi queste cose al telegiornale, ma ti riguardavano il giusto. Invece, oggi furti e rapine riguardano tutti, perché puoi esserne tu stesso vittima e probabilmente conosci qualcuno a cui è successo».

Perciò, anche se Milano non è diventata più insicura nel complesso, la sensazione dei cittadini è spiegabile anche a partire dai dati. Come ha argomentato Mario Calabresi, «Il percepito di insicurezza è diffuso, e alla cittadinanza non si può dire che il percepito è sbagliato. Bisogna farsi carico delle percezioni e capire perché c’è una percezione. La sicurezza è un diritto: il diritto di vivere sicuri e in serenità». Franco Gabrielli ci ha aiutato a capire come rispondere a questa percezione.

Molti dei microreati sono commessi da giovani che vivono un profondo disagio sociale, alimentato da esclusione, mancanza di prospettive e desiderio di rivalsa – un senso di emarginazione che spesso nasce già quando i ragazzi vanno a scuola. Questa dinamica è peggiorata negli ultimi anni a causa di una crescente segregazione sociale.

Lo studio “White flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo”, di Carolina Pacchi e Costanzo Ranci, stima che a Milano il 56% degli studenti non frequenta la scuola pubblica locale. Il 22% degli studenti italiani sceglie scuole private, mentre il 30% opta per scuole pubbliche in zone diverse dalla propria.

Succede soprattutto nelle periferie, dove ci sono più famiglie straniere e quelle italiane scelgono di non mandare i figli nelle scuole del quartiere. Così, in certe scuole restano quasi solo bambini di origine straniera o di famiglie economicamente svantaggiate.

La pandemia ha poi accelerato dinamiche in corso, contribuendo a un aumento dei reati violenti: se un tempo l’ingresso nella criminalità avveniva perlopiù attraverso i furti, oggi avviene sempre di più tramite le rapine. Aumentando il disagio psicologico e relazionale tra i giovani, si è abbassata l’età del primo reato – spesso al di sotto dei 15 anni.

Gabrielli sostiene che in questo contesto, le zone rosse (una misura voluta dal Governo che definisce aree urbane in cui le autorità possono allontanare persone ritenute pericolose e intensificare i controlli con pattugliamenti e identificazioni mirate, ndr) non sono altro che una scorciatoia.

Secondo lui, il presidio di alcune aree da parte delle forze dell’ordine è necessario: è lo sguardo rivolto all’oggi. Ma affidarsi unicamente a questi strumenti securitari è un errore, perché si tratta di misure dal respiro corto, che rischiano di esasperare i conflitti. Serve anche lo sguardo lungo, capace di avviare percorsi strutturali di recupero della marginalità.

Difatti, secondo Gabrielli chi non è cittadino italiano commette più reati perché è nella condizione di doverlo fare: se si guarda all’immigrazione o come un’emergenza o come un aiuto a chi scappa dalle guerre, si ignora la stragrande maggioranza degli immigrati – quelli economici.

È per questo che la piena integrazione è la vera sfida di questi anni. Una sfida che si gioca nei quartieri, nelle scuole, nei servizi. E se la responsabilità della sicurezza ricade in prima istanza sullo Stato, anche i Comuni sono chiamati ad agire, mettendo in campo politiche sociali e urbane capaci di rispondere alle fragilità – usando i propri strumenti oltre il solo intervento della polizia locale.

In questa direzione si muove anche la proposta di Gabrielli di un “tavolo degli esposti”: un tavolo interistituzionale – con Comune e forze dell’ordine – per affrontare in modo coordinato le segnalazioni dei cittadini, riconoscendo che non spetta a questi ultimi individuare a quale ente rivolgersi, ma alle istituzioni farsi carico delle domande emerse dal territorio, restituendo risposte concrete.

In conclusione, la sicurezza non può essere garantita soltanto con misure d’ordine pubblico: serve dedicare più risorse a prevenzione, coesione sociale e capacità di ascolto dei territori. Come ha argomentato Gabrielli, questo significa lavorare sulla riduzione del disagio, sulle disuguaglianze educative, sui percorsi di inclusione. «In un tempo in cui viviamo di community – ha concluso Gabrielli – dovremmo riscoprire il significato di comunità».

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