Meccanismi di mercato: opportunità di collegamento tra diverse giurisdizioni

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10 Dicembre 2015

di Riccardo Rossella, responsabile relazioni internazionali Italian Climate Network

All’interno di un evento all’interno della COP21 organizzato dall’International Emissions Trading Association (IETA) si è discusso delle prospettive future e delle potenzialità dei mercati di carbonio internazionali. Nonostante alcuni segnali incoraggianti, i nodi da sciogliere rimangono numerosi.

Quale sarà il futuro dei mercati di carbonio? E’ davvero realistico ipotizzare l’emergere di un mercato globale, e se sì questo potrebbe realmente apportare benefici tanto in termini di riduzione delle emissioni quanto economici? Sono queste le questioni chiave al centro del side event organizzato dall’International Emissions Trading Association (IETA), svoltosi nella giornata di Lunedì 7 Dicembre all’interno degli spazi che ospitano la COP 21 di Parigi.

Esponenti di organizzazioni internazionali, centri di ricerca e settore privato hanno dialogato sugli scenari e le prospettive future di un approccio peculiare nel contrasto ai cambiamenti climatici come quello dei mercati delle quote di emissione di CO2, che fino a questo momento ha compreso tanto esempi di discreto successo quanto casi in cui le aspettative sono state disattese dalla realtà. Di cosa si tratta?

In breve, alle aziende rientranti nei cosiddetti mercati obbligatori, come l’European Emission Trading Scheme,vengono assegnate ogni anno, gratuitamente o mediante aste, un quantitativo di quote di emissione corrispondenti al loro limite massimo di emissioni. Questo limite è decrescente nel tempo, assicurando così la diminuzione delle emissioni. Nel caso in cui un’impresa riesca ad emettere meno di quanto previsto dalle quote in suo possesso, può vendere le quote in eccedenza a quei soggetti che, al contrario, non sono riusciti a centrare il proprio target: quest’ultime, infatti, devono quindi coprire le emissioni in eccesso comprando quote da un’impresa più virtuosa.

Un’attenzione particolare è stata rivolta verso le possibilità di connessione tra diversi mercati nazionali o regionali. A questo proposito Dirk Forrister, presidente della IETA, ha illustrato due possibili modelli in uno scenario post-Parigi, vale a dire la creazione di un unico mercato di carbonio su scala globale o la nascita di diversi mercati integrati su scala transazionale ma non connessi l’uno con l’altro. Esempi in riferimento al secondo caso sono del resto già esistenti, quali l’integrazione dei mercati di carbonio di California e Québec o i 12 accordi bilaterali in essere tra il Giappone e una serie di Stati Africani, Asiatici e Sudamericani.

Per quanto riguarda la possibilità di nuovi modelli di collegamento dei mercati delle emissioni a livello internazionale, uno studio compiuto dall’Electric Power Research Institute (EPRI) riporta alcuni risultati particolarmente interessanti. Secondo l’analisi presentata da Steven Rose, ricercatore dell’EPRI, la creazione ed integrazione dei mercati del carbonio di attori quali U.S.A, Cina ed U.E. avrebbe il potenziale per ridurre significativamente le emissioni, generando al tempo stesso benefici economici (misurati in termini di aumento dei consumi) per tutte le parti coinvolte. Al tempo stesso, tuttavia, Rose ha evidenziato come una serie di variabili relative alla dimensione, al funzionamento e alla regolamentazione di tali mercati potrebbe influenzare sensibilmente non solo la distribuzione dei benefici, ma anche il successo complessivo del mercato.

Un invito alla prudenza nel valutare le potenzialità della creazione di mercati integrati è giunto anche da Christo Artusio del dipartimento di stato Statunitense, il quale ha sottolineato come l’implementazione di tali sistemi sia un processo lungo e non privo di ostacoli: infatti, una serie di problematiche – quali in particolare la verifica e il monitoraggio della riduzione effettiva delle emissioni – sono ad oggi ancora in attesa di soluzioni efficaci. Non solo: dal momento che il nuovo accordo globale sul clima che con ogni probabilità sarà finalizzato tra pochi giorni prevede impegni vincolanti per tutte le Parti aderenti – e non solo per i Paesi industrializzati, come nel caso del Protocollo di Kyoto – un cambiamento significativo delle regolamentazioni che hanno interessato i modelli finora implementati appare imprescindibile.

Sul rischio di possibili distorsioni dei mercati si è soffermato anche Ian Duncan, relatore del Parlamento Europeo per la riforma dell’EU ETS (lo schema europeo di scambio di quote di emissione) per il periodo post 2020. Duncan ha evidenziato in particolare come affinché un sistema di mercato del carbonio riesca ad innescare processi virtuosi di innovazione a favore di tecnologie che consentano di contenere le emissioni il prezzo dei permessi deve rimanere alto.

Il timore è che si possano ripresentare dinamiche simili a quanto accaduto nel caso dell’EU ETS, dove a seguito di un breve periodo di iniziale stabilità la brusca caduta dei prezzi delle allowance ha fortemente minato l’efficacia di tale strumento nel favorire la riduzione delle emissioni di gas serra nei Paesi coinvolti.

L’attenzione su questa tematica rimane alta all’interno della COP, come testimoniato ad esempio dalla proposta congiunta di Unione Europea e Brasile sulle regole di riferimento per un mercato del carbonio internazionale, presentata ieri.

In sintesi, la futura evoluzione di questo tipo di meccanismi di mercato appare dipendente in larga parte dalle decisioni che verranno inserite nel testo definitivo dell’accordo, oltre che dalla volontà dei singoli Stati di farvi ricorso come mezzo per abbattere le proprie emissioni e far fede così agli impegni presi.

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