Emergenza Covid ed emergenza ambiente: da dove (ri)cominciamo?

13 Maggio 2020

Canguri che saltellano per le strade di Adelaide, leoni marini che conquistano i vicoli dei porti in Argentina, delfini che nuotano nel mare davanti la città di Cagliari, meduse che volteggiano nei limpidi canali veneziani: nelle scorse settimane i difficili giorni del lockdown sono stati, almeno temporaneamente, allietati dalle gioiose notizie di una natura che si risveglia mentre l’uomo si autoconfina in casa.

Ma c’è davvero da cantare vittoria? Sì e no.

Lo stop forzato e lo smartworking hanno ridotto le emissioni

Secondo l’AIS (Agenzia Internazionale dell’Energia) in conseguenza dello stop delle attività imposto dalla diffusione del Corona Virus, le emissioni sono calate dell’8% e per la prima volta in 50 anni la tecnologia a basse emissioni di carbonio è diventata la principale fonte di elettricità, superando il carbone.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il Crea, Center for research on energy and clean air, che ha rilevato come i livelli di diossido di azoto, agente inquinante legato al traffico automobilistico, abbiano toccato un minimo storico.

Altri rilievi simili si sono susseguiti, confermando ciò che le persone hanno notato durante le rare passeggiate per le strade cittadine: l’aria è diventata più respirabile.

Non c’è dubbio che più persone a casa significhino meno emissioni inquinanti, in un equazione praticamente matematica.

Non cantiamo vittoria troppo presto

La riduzione degli agenti inquinanti nell’atmosfera è, dunque, reale e comprovata, ma per verificarne gli effetti sul medio-lungo periodo, occorre fare indagini più approfondite.

In altre parole: delfini e leoni marini nelle città non significano che la natura sia in salvo.

“Chiudere l’economia per qualche settimana o qualche mese non porterà alla decarbonizzazione” avverte Peter Betts, ex capo negoziatore sul clima del Regno Unito in un’intervista al Financial Times.

La recessioni, infatti, potrebbe tragicamente rallentare la transizione verso le energie rinnovabili: BloombergNef, società che si occupa di analisi sulle energie pulite, ha ridimensionato le previsioni di crescita per il 2020 del mercato del fotovoltaico e dei veicoli elettrici.

E sicuramente la storica diminuzione del prezzo del petrolio aiuta le tasche ma non favorisce il risparmio energetico: si sa che quando una risorsa è a buon mercato, si presta meno attenzione nell’evitare di sprecarla.

Tra l’altro, la percepita diminuzione delle emissioni non sembra essere così considerevole da essere rilevata su larga scala: sempre il Financial Times ci informa che l’osservatorio che monitora i livelli di anidride carbonica nell’aria situato alla sommità del vulcano Mauna Loa, alle Hawaii, non ha ancora rilevato un cambiamento imputabile alla crisi da Covid-19.

Si continua a monitorare, certo, e il chimico Charles Keeling è sicuro che un calo anche solo del 10% delle emissioni da combustibili fossili nell’arco di un anno avrebbe un effetto globale tale che sicuramente sarebbe percepito sottoforma di abbassamento di concentrazione della CO2 misurata dal Mauna Loa.

Eppure la crisi da Corona Virus potrebbe avere, sul lungo periodo, effetti devastanti sul clima.

All’orizzonte, infatti, si palesa uno scenario piuttosto preoccupante: l’emergenza Covid ha fatto passare in secondo piano qualsiasi altra questione, compresa quella del clima che, nei mesi precedenti alla crisi, stava occupando sempre più stabilmente i nostri pensieri.

Nel piccolo, nel quotidiano ciò si percepisce, ad esempio, dalla concentrazione di rifiuti covid-generati, nei dintorni delle nostre case: pur restando nei 200 metri, come raccomandato dal decreto in vigore fino al 4 maggio, quanti guanti di plastica e mascherine abbandonate a terra abbiamo trovato?

Ma ovviamente, seppur preoccupante, questa è solo una parte piuttosto marginale del problema.

Mentre la pandemia ha ridotto le emissioni e l’inquinamento globale, allo stesso modo ha rallentato, o addirittura frenato, qualsiasi provvedimento che gli Stati erano pronti a prendere per scongiurare il rischio del disastro climatico.

Basti pensare che il centro congressi di Glasgow, che a novembre del 2020 avrebbe dovuto ospitare la tanto attesa COP26, è temporaneamente convertito in ospedale d’emergenza e la conferenza è stata spostata al 2021. Una variazione che potrebbe provocare danni enormi se si pensa a quanto velocemente il nostro pianeta sta cambiando a causa delle emissioni nocive.

Anche in Europa, con il parlamento che si riunisce solo virtualmente, si è arenata la legge proposta dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen che aveva l’obiettivo di azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050.

E intanto si comincia a rimettere in funzione il motore della ripartenza, sacrificando sull’altare della necessità di dare un nuovo slancio all’economia, l’esigenza di rendere il mondo più vivibile e, possibilmente, salvarci la pelle non solo dal Corona  Virus, ma anche da tutti gli altri disastri che ci attenderanno se non saremo in grado di cambiare rotta.

Basti pensare che Pechino, secondo il Global Energy Motor, ha autorizzato più centrali a carbone a marzo che in tutto il 2019.

Anche Fatih Birol direttore esecutivo dell’AIS, mette in guardia dall’”effetto rimbalzo” facendo un paragone con la crisi economica del 2008 che aveva portato a un notevole aumento delle emissioni subito dopo essere stata superata.

Ma la speranza è l’ultima a morire

Questo, dunque, è un punto di svolta epocale: possiamo imparare la lezione, mettere a frutto ciò che abbiamo imparato da lavoro da remoto e riduzione degli spostamenti, oppure girarci dall’altra parte e ricominciare come e peggio di prima.

Uno spiraglio, di certo, si è aperto ed è legato, soprattutto, alla consapevolezza che pandemie come quella da Corona Virus sono sicuramente legate anche allo sfruttamento intensivo delle risorse agrarie e animali.

Siamo rimasti impressionati e schifati da quei mercati in cui le bestie  vengono trattate peggio di merci di scarso valore, i famosi wheat market cinesi in cui il virus si è trasferito dagli animali all’uomo sono stati chiusi con una decisione che, per quanto di facciata, risulta comunque epocale.

Secondo le stime della FAO tra il 2010 e il 2015 abbiamo distrutto 6,5 mliardi di ettari di foreste all’anno e zootecnica e agricoltura intensiva, oltre ad essere tra le principali fonti di inquinamento al mondo, favoriscono la diffusione di virus zoonotici proprio come il SARS-CoV-2.

Quindi la speranza è che questa lezione ci sia servita e che anche i singoli cittadini siano, d’ora in poi, più vigili e non cadano di nuovo nella trappola dello “scegli tra uno stipendio oggi e un cielo pulito domani”.

Quello delle energie pulite che farebbero rallentare l’economia, infatti, è un decisamente un falso mito: l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili ha stimato che per ogni dollaro investito in fonti verdi il rendimento sarebbe tra i cinque e gli otto dollari.

E non solo: accelerando i processi di conversione potremmo guadagnare fino a 42milioni di nuovi posti di lavoro.

Se fino ad ora, dunque, non è bastata la coscienza a muovere le masse e chi le governa verso uno stile di vita più sostenibile, forse adesso la paura di nuove terribili epidemie e quella di perdere il posto di lavoro potrebbero costituire incentivi più convincenti.

 

 

 

 

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CAT: clima, Inquinamento
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