Negozi, e-commerce e aperture nei giorni festivi: c’è una via d’uscita?

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11 Settembre 2018

Lo ammetto, l’intenzione del ministro Di Maio di regolamentare per legge le aperture dei negozi nei giorni festivi non mi ha fatto piacere: il giretto di shopping la domenica, al calduccio del centro commerciale, è diventato un’abitudine invernale consolidata e fa comodo sapere che il proprio supermercato preferito è sempre aperto; d’altra parte, capisco perfettamente l’esigenza di tanti lavoratori di poter conciliare i propri tempi di lavoro con quelli della vita familiare (al di là della retorica sulla pia famigliola tradizionale riunita intorno al desco domenicale, banalmente per un genitore single può essere un vero problema doversi assentare nell’unico giorno in cui la scuola è chiusa).

In teoria, soddisfare entrambe le aspettative non sembra impossibile: ad esempio, basterebbe assumere personale aggiuntivo dedicato; nella realtà, però, questa soluzione può essere spesso impraticabile per un tipo di attività che da anni subisce le conseguenze della crisi economica e, di recente, anche la concorrenza formidabile del commercio on line. Ecco perché tanti addetti sono ormai costretti a essere presenti in negozio anche di domenica, ricevendo in cambio solo una piccola maggiorazione dello stipendio.

Tenere aperto un punto vendita un giorno in più alla settimana è davvero remunerativo in termini di incassi? Probabilmente no, almeno non per tutti; ma è necessario, per evitare che i clienti abituali si rivolgano alla concorrenza più “disponibile” e finiscano magari per preferirla. A giudicare dalla mia esperienza di vita quotidiana, il competitore più temibile è sicuramente l’e-commerce: soprattutto i giovani tendono ad acquistare con facilità in Rete articoli che un tempo richiedevano un attento esame personale, come abiti e scarpe, spesso perché sono attirati da offerte vantaggiose o dal prezzo comunque contenuto dell’articolo.

La mia impressione è che il problema stia nel tentativo dei venditori al dettaglio di tenere il passo con i “negozi virtuali”, inseguendoli faticosamente sui loro principali punti di forza: l’accessibilità, la velocità e la convenienza. I giorni e gli orari di apertura si ampliano sempre più per imitare l’operatività 24/7 delle vetrine digitali; ci si sforza di proporre quotidianamente offerte speciali, sconti e saldi; per ridurre i costi del personale e per evitare al cliente la coda alla cassa, i supermercati  offrono la possibilità di “farsi da sé” il proprio scontrino con il lettore ottico.

Ma sfidare l’avversario proprio sulle caratteristiche che lo rendono vincente è sempre una scelta rischiosa: conviene, al contrario, puntare sulle qualità che il rivale non è in grado di replicare. Una di queste è, ad esempio, la possibilità del contatto fisico: poter osservare la merce, toccarla, indossarla o assaggiarla può essere un fattore decisivo per indurre all’acquisto. Anche la relazione umana tra il cliente e il venditore è un aspetto da valorizzare, investendo sulla professionalità dei commessi; molto gratificante può essere anche la “personalizzazione” del servizio (che sia la piccola modifica sartoriale al capo di abbigliamento o il mettere da parte il taglio di carne preferito).

Strategie di questo tipo potrebbero motivare il compratore a spendere un po’ di tempo e di denaro in più nel negozio “fisico”, anche se non può accedervi nel cuore della notte o la mattina di Natale; c’è da chiedersi perché siano così poco attuate. Temo che ciò dipenda dal fatto che i produttori, tutto sommato, fanno volentieri a meno della mediazione dei venditori se possono piazzare le loro merci via Internet; lo sforzo di provare a cambiare le abitudini dei consumatori ricadrebbe quindi totalmente sugli esercenti, con costi insostenibili.

Sembra dunque che gli esercizi commerciali siano destinati a soccombere alla concorrenza degli online stores: una concorrenza peraltro molto sleale, dato che sono ben noti i fenomeni di sfruttamento dei dipendenti della loro complessa filiera logistica, per non parlare degli aspetti fiscali.  Ma davvero il nostro mondo è pronto a un “chiudere bottega” generalizzato, alla scomparsa dei punti di vendita tradizionali? Proprio le reazioni alla riforma proposta dal ministro di Maio suggeriscono di no: gli italiani sono ancora affezionati al rituale del giretto per negozi, tanto da volerlo anche di domenica.

Forse ciò che deve cambiare è il ruolo del negozio: invece che il luogo in cui procurarsi immediatamente una merce, può diventare uno showroom nel quale visionarla, provarla, personalizzarla.  Il negoziante potrebbe far valere presso il produttore il numero dei “contatti” ottenuti, proprio come farebbe un’agenzia pubblicitaria; potrebbe provvedere all’ordine on line con consegna presso il domicilio del cliente, ricavandone una piccola provvigione; liberato dalla necessità di gestire un magazzino, potrebbe persino permettersi di pagare qualche dipendente in più per tenere aperto il suo esercizio anche nei giorni festivi.

Ci vuole creatività per superare le impasse che i cambiamenti tecnologici e sociali ci mettono di fronte, in ogni settore. Certo non può essere una legge dello Stato a prescriverne le modalità; ma il merito della proposta di Di Maio è di aver messo al centro dell’attenzione un tema così attuale, ponendo una volta tanto l’accento sulle esigenze dei lavoratori, quasi sempre ignorate in tempi di allarmanti tassi di disoccupazione. C’è da sperare che l’occasione non venga sprecata dall’opinione pubblica dividendosi in opposte tifoserie politiche, ma che dal confronto soprattutto con i diretti interessati emergano nuove strade per conciliare le esigenze di tutti.

 

 

 

 

 

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CAT: commercio

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