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Costume

Chat dell’orrore

di Davide Giacalone
28 Ottobre 2019

Un ragazzo crea un gruppo, su una delle piattaforme per lo scambio di messaggi. Una chat. Lo apre ai compagni di scuola e a qualche amico, con l’invito a scrivere senza far troppa attenzione al linguaggio. Parla come mangi. Arrivano in diversi, alcuni ragazzini. In breve si trasforma in una immonda cloaca, con deliri razzisti, antisemiti e inviti allo stupro dei bambini. Anche neonati.
Restano ragazzi e ragazzini, ma ciò non diminuisce la mostruosità. Dove erano i genitori? Ci si è chiesti. Dove siamo tutti noi? Il linguaggio d’uso comune indulge sempre più al turpiloquio. Il linguaggio pubblico, anche su quei temi, non si risparmia doppi sensi e allusioni. E se qualcuno condisce in quel modo le proprie tesi altri si trincerano nella condanna per non esporre la povertà delle loro antitesi. I buoni esempi, insomma, non abbondano. Anzi, sono indicati come dimostrazione d’esangue arrendevolezza.
Il fatto è che quei ragazzi hanno il diritto ad essere puniti. Il diritto. Perché crescere significa anche fare i conti con l’autorità, che si spera sia autorevole. La cosa giusta l’ha fatta una madre, denunciandoli. Brava. Il genitore ha il dovere di segnalare il confine fra l’adolescenziale contrapposizione e l’inaccettabile porcheria. Chi lo supera ha il diritto d’essere ripreso e redarguito. Troppo spesso gli adulti vengono meno a quel dovere, altrettanto spesso danneggiando e certo non favorendo i ragazzi.
Resta il quesito: da dove viene quella robaccia? Non da Marte, ma da noi. Non è di tutti e non viene da tutti, certo, ma lasciar correre e non reagire è già compartecipare. Supporre che un dire sia più forte se più volgare è già essere corresponsabili. Sarà un caso, ma non è privo di significato che a reagire sia stata una madre. I padri sbagliano quando fan troppo gli amici.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it
@DavideGiac

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