Il presepe delle assenze

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19 Dicembre 2019

L’orgia natalizia è in agguato. Tutti ai posti di combattimento.

Se c’è chi obbliga per legge le scuole comunali a fare un presepe coi soldi pubblici, come a Grosseto, ci sono anche milioni di presepi spontanei fatti di tutto e fatti di niente, come il Valzer della povera gente.

La smania di Francesco d’Assisi per i presepi, l’inventore del presepe numero 1, divenne una vera e propria febbre che si diffuse di lì a poco un po’ dappertutto e trovò a Napoli la massima espressione artistica. Già agli sgoccioli del medioevo, nel 1478, i fratelli Pietro e Giovanni Alemanno, così detti per l’origine austriaca, crearono un grande presepe nella chiesa di San Giovanni a Carbonara che però ora si trova nel Museo di San Martino: scenografia non pervenuta ma le statue severe si fanno notare.

Niente a che vedere con ciò che si sviluppò successivamente e che divenne uno degli “svaghi partenopei” descritti da Goethe nel suo Viaggio in Italia. Una vera mania, dove ogni famiglia, plebea o aristocratica, aveva il proprio presepe, e le dame di corte tagliavano e cucivano addirittura i costumi delle statuette del presepe del re, befè, biscotti e minè.

Il presepe in una lampadina

I presepi napoletani sono i plastici più incredibili che possano esistere, superiori di gran lunga a quelli che presenta, pur in pompa magna, Bruno Vespa nell’inossidabile Porta a porta, programma che assolutamente andrebbe proiettato all’interno di una sonda Voyager in loop, in modo che se degli extraterrestri un giorno dovessero venire in contatto colla suddetta e la aprissero potrebbero facilmente rendersi conto dell’alto livello di civiltà rappresentato dalla televisione italiana. Una specie di Frammenti, diario minimo di Umberto Eco. I presepi napoletani, ricchi di tutte le tipologie umane tra le loro statuine, hanno in più, rispetto ad altri più tradizionali, un’impronta di modernità, Napoli è molto più all’avanguardia di Milano o di Berlino, non ci sono dubbi.

 

A San Gregorio Armeno le botteghe che vendono presepi completi o in scatola di montaggio o le singole statuine presentano anche i personaggi dell’anno, che si aggiungono a quelli degli anni precedenti, per cui accanto alle mangiatoie e alle madonne si vedono divi del cinema, della canzone, politici, scienziati e così via, personaggi che hanno caratterizzato l’anno appena trascorso. Gli artigiani Genny Di Virgilio e Marco Ferrigno, tra i tanti, ne fanno d’ogni risma. Addirittura ha fatto la sua comparsa Mattia Santori, il re delle sardine, appena arrivato, e anche il Giggino nazionale, tutto felice di esservi, e il Capitan de’ Capitani si sono meritati un posto nell’empireo partenopeo. In mezzo alle pecore del presepe, è il posto giusto per coloro, perché i vari movimenti politici, di qualsiasi origine, mostrano attitudini assai simili a quelle delle greggi di ovini. Mai luogo fu più adatto del presepe. Si vide anche un Benigni Pinocchio tra i personaggi, nel lontano 2002.

 

Genny Di Virgilio omaggia Giggino colla sua rappresentazione presepiale

I pupazzetti di Marco Ferrigno, calciatori, sardine, renati zeri, e così via

Ma le bizzarrie creative degli inventori dei presepi moderni non hanno limiti. All’Acquario di Cattolica (nomen omen, quale città più adatta per un presepe?) esiste un presepe subacqueo in una certa vasca dove, per l’appunto, non ci sono gli angeli che si sgolano cantando il Gloria, ma gli squali, probabilmente più efficienti per proteggere il piccolo neonato dalle insidie del demonio.

La palma dell’originalità va comunque a un’opera anonima che si distingue per la pluralità di concetti espressi e che si trova, naturalmente, in Sicilia. Se Napoli è surreale per natura, la Sicilia è surreale ovunque, e pure speculativa, memore di un passato greco forse più forte che a Napoli. La Sicilia è una Napoli allargata e non a caso ha sempre voluto conservare una certa indipendenza dal Regno Borbonico, pur essendone parte. Non riconosceva bastevole il surrealismo della capitale, ne voleva uno tutto per sé.

Alla Vucciria di Palermo fece capolino, qualche anno fa, nella discesa principale dalla Piazza San Domenico verso la piazzetta vera e propria del mercato storico, oggi in disarmo, una creazione che fa riflettere ancora oggi.

Su un banchetto, accanto al plastico del Titanic che s’inabissava, fece la sua comparsa un siffatto presepe, geniale opera di riciclaggio di oggetti che avevano avuto un passato e che adesso ritrovavano un senso in un futuro che comunque parlava di un passato di duemila anni fa.

Il presepe della Vucciria (foto archivio Massimo Crispi©)

Su un fondo di paglia e schegge di legno, dove prendevano posto alcune finte piante di carta e qualche personaggio, si ergeva una cassetta della frutta, anche abbastanza malconcia, tutta agghingondata con nastri di lamé argento, quelli che si mettono sull’albero di Natale, per essere precisi, che si vedono nella foto del mio archivio, gentilmente offerta qui.

La cassetta rappresentava la capanna, la stalla in rovina dell’antica casa di Davide, che si vede anche in altre storiche rappresentazioni del presepe a Palermo, come quella spettacolare in stucco di Giacomo Serpotta nell’Oratorio del Rosario di Santa Cita, non molto distante dalla Vucciria. Ottimo riciclaggio, in fondo di cassette come quella se ne buttano via a quintali in un mercato, dopo l’uso. Foreste intere decimate. Una è stata salvata e funge da stalla, sfondo canonico del sacro evento.

Al suo interno, illuminato da una fila di lampadine minuscole, da albero di Natale anch’esse, ci sono i personaggi tipici del presepe. Ma sarebbe più corretto dire IL personaggio. L’unico personaggio principale infatti è Maria, la neomamma d’inossidabile verginità. Riutilizzo di una statuetta votiva della Madonna della Misericordia, nella tipica posizione a braccia aperte a palme in su, in piedi sul globo mentre schiaccia la serpe, e non in atteggiamento adorante intorno alla mangiatoia, come la tradizione del presepio vorrebbe. Fuori scala codesta statuetta, quasi sbatte la testa contro il soffitto della similstalla, come se avesse mangiato un biscotto di Alice, mentre al centro campeggia la mangiatoia di plastica, dove al centro non c’è alcun bambinello sacro. Se si guarda bene c’è un simbolo dell’infanzia, un ciucciotto, naturalmente di colore azzurro, che significa che appartiene a un maschietto. Mah, Gesù bambino sarà andato a farsi un giro gattonando per i banchetti del mercato, poi a una certa ora ritornerà, forse a mezzanotte, e poi essendo il figlio di Dio può fare ciò che più gli garba e andare dove vuole, no? Assenti, in tutto e per tutto, le figure maschili, perché, oltre a Gesù non esiste manco san Giuseppe (Hanno ucciso san Giuseppe Non si sa neanche il perché Avrà fatto qualche sgarro a qualche industria di caffè…?) il padre putativo che tanto generosamente maritò la ragazza madre con cui, tra tanti affanni, per via del censimento, dovette andare a Betlemme a dorso d’asino con un freddo cane. In questo presepe Giuseppe il falegname sarebbe stato visto come un estraneo come, d’altro canto, pure il padre vero è decisamente mancante. Non c’è manco lo Spirito Santo, infatti, a svolazzare nei paraggi. Ma lasciamo perdere, perché sennò ci inoltriamo in questioni teologiche e psicanalitiche su crisi identitarie di chi non è tutto uomo o tutto dio assai complesse, o di un dio sedicente onnipotente che però ha bisogno di una creatura umana per incarnarsi, che sfuggono a una seria analisi razionale. Restiamo nella mitologia dove qualsiasi cosa è possibile e magica, piena di leggende e di numeri d’illusionismo. Anche in questo presepio di riciclaggio tutto è possibile.

Il bue e l’asinello saranno andati a spasso anche loro, perché si vedono, a riscaldare col fiato il sacro pupo, due supplenti, un elefantino nano arancione e un pesce (o altra creatura non più esistente?) senza testa, residui forse dell’arca di Noè di qualche secolo prima. Di certo oggi gli elefanti arancioni devono essersi estinti per qualche cambiamento climatico improvviso, o un meteorite, o chissà che altro. Quindi sappiamo, da questa ricostruzione, che nell’anno 0 gli elefantini nani arancioni dovevano essere presenti in Palestina. Altri personaggi s’aggirano intorno alla sacra rappresentazione, un re mago non meglio identificato e un pastore. Isolati, come se gli altri fossero in sciopero e fossero rimasti a casa. Sulla cassetta-stalla non v’è alcuna stella, solo la coda della cometa, cioè sempre un nastro d’argento destinato all’albero che non c’è, un angelo canterino turchino e una zebra di panno sintetico tramortita, distesa sul fianco. Forse colpita dalla cometa cadutale in testa e rimbalzata nel banchetto vicino. Forse avrà urtato il Titanic e ne avrà provocato l’affondamento. I meteoriti e le comete sono imprevedibili.

Nella foto non si vedono, ma vi assicuro che al posto delle pecore c’erano dei piccoli dinosauri di gomma, scampati al meteorite, di quelli che si trovano negli ovetti di Pasqua o nei sacchettini in omaggio coi punti Esselunga, che fanno felici i bambini, quando non se li mettono in bocca e li ingoiano andando a finire al pronto soccorso, non sempre con esiti lieti. Anche perché gli ambulatori triage si affollano moltissimo durante le feste, per indigestioni, ingestioni (appunto) e mani e dita e occhi e altro saltato in aria col petardo che non può mancare nei festeggiamenti.

Questo presepe vince comunque il primo premio, sia per l’originalità, sia per la volontà di recuperare tutti gli oggetti che lo compongono e di riassemblarli con grande competenza semantica. Nessun napoletano, prigioniero dei propri barocchismi, riempiendo il suo presepe fino all’inverosimile di orpelli, perfino con Berlusconi o Obama o Trump o Elisabetta II miniaturizzati, sarebbe capace di rinunciare all’opulenza e riciclare i rifiuti di un passato remoto per farli tornare protagonisti e vincenti. Palermo insegna la sobrietà nella decorazione. Questo presepe vale molto di più dei 120.000 dollari buttati via per l’inutile bananalità di Cattelan e si può fare anche quando i supermercati sono chiusi, basta frugare in soffitta o tra i rifiuti per trovare gli ingredienti.

Detto questo, che il presepe ognuno se lo faccia come vuole, in una cozza o in una lampadina, in una reggia o in una cassetta come quello vucciriota. Purché non sia un obbligo scolastico, come a Grosseto e come bramerebbero, assai più che il papa, il Capitano e la sorellastra d’Italia, sono una donna, sono una santa e nun se regge ppiù co’ ’sto Diopatriaeffamiglia. Per favore. Lasciamo che il paese resti almeno laico e razionale o, quanto meno, proviamoci.

 

© Dicembre 2019 Massimo Crispi

TAG: Cattolica, di maio, Francesco d'Assisi, Genny Di Virgilio, Giacomo Serpotta, Grosseto, Marco Ferrigno, Meloni, napoli, Oratorio di Santa Cita, palermo, presepe, salvini, san Gregorio Armeno, Santori, Vucciria
CAT: costumi sociali

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