La storia delle panchine in movimento e i segreti della cura del luogo

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30 Marzo 2021

Questa è una piccola storia che racchiude però molti significati. Attorno al 2007 con un gruppetto di donne, si chiamava Geografia di Genere, tutte abitanti nella zona di Dorsoduro a Venezia, “coltivavamo” i saperi dell’abitare, così poco ascoltati. Passeggiate di esplorazione, anche nelle parti in trasformazione della città, e di contatti col vicinato e le sue pratiche, relazioni con donne di altri quartieri, oltre la città d’acqua a ricostruire legami perduti e in qualche modo a sanare ferite di espulsione e di marginalizzazione. Abbiamo poi deciso di provare a prenderci cura di un’area trascurata, un po’ di prato abbandonato, chiamato Campasso: ci pareva che ci fossero delle potenzialità per renderla se non un giardino, uno spazio di verde che poteva essere offerto agli abitanti della zona e non solo.
Come si può vedere dalla foto di allora, si trattava di un’area di passaggio, con pochi elementi, un sambuco e un fico cresciuti addossati al muro della caserma della Finanza.

Grazie a un piccolo contributo della Municipalità e con altre associazioni di colontariato abbiamo potuto piantare alcune piante, discutendo sulle scelte da fare con la cooperativa che aveva in gestione il verde pubblico. Abbiamo organizzato degli incontri con gli abitanti della zona, spiegando il progetto e l’idea di inserire delle panchine. Proprio in quei giorni il sindaco a Treviso aveva deciso di eliminarle per evitare che vi sostassero barboni e vagabondi e ci fu chi nella riunione agitò questa paura. Ma rimase isolato e il buon senso prevalse. Così le panchine da allora hanno dato modo a molte persone di sostare e godere degli alberi che crescevano, della piacevolezza di quell’angolo che è divenuto davvero una bella zona verde.
Tra la fine del 2018 e il 2019, grazie alla partecipazione a un bando di finanziamenti di progetti sull’abitare nell’ambito dell’iniziativa NoplanetB vinto dall’associazione Eddyburg e Zone onlus, ci siamo ritrovate attorno a Ilaria Boniburini, referente del progetto, a proseguire questa cura della città attraverso il verde. Eravamo un gruppo di donne della zona, Luana ed io del gruppo originario di Geografia di Genere, più un mio vicino e qualche amico del circolo Peroni: ci siamo ritrovati a discutere su quale intervento poter mettere in atto. Alla fine abbiamo scelto di piantare un albero in Campo Santa Margherita là dove era stato tagliato un grande platano. Dopo aver seguito alcune lezioni sulle tipologie di alberi adatti a vivere in laguna, abbiamo optato per un biancospino immaginando l’effetto della una bella macchia di bianco dei suoi fiori. Poi abbiamo convenuto che potevamo ulteriormente incrementare il verde nell’area del Campasso. E così abbiamo piantato un altro albero di Giuda, un viburno, un nespolo giapponese e un biancospino. E soprattutto abbiamo acquistato e posizionato 4 panchine. Delle tre inserite nel 2007, provenienti da altre zone e già piuttosto usurate, due erano state eliminate dal Comune e ne si sentiva acutamente la mancanza.
E qui viene la parte più interessante. Le panchine non erano state fissate a terra, avevamo infatti rimandato l’operazione. Intanto è arrivata la pandemia. Dal marzo scorso le quattro panchine sono così state spostate di continuo dalle persone secondo il loro piacere, seguendo l’ombra o il sole, disponendole vicine se c’era bisogno di conversare tra più di due, rivolgendole verso il canale per guardare chi passa, oppure il contrario, per guadagnare in riservatezza. Noi, gruppo di donne che segue il progetto e che si occupa anche nei periodi di siccità di abbeverare le piante, abbiamo osservato questo adattamento della posizione delle panchine con curiosità da antropologhe. Qualcuna di noi era però preoccupata della possibilità che qualcuna venisse caricata in barca e… allora addio panchina, come era successo con qualche piccolo arbusto che avevamo appoggiato senza piantumarlo immediatamente, perché non se ne aveva avuto la possibilità. In realtà è passato più di un anno e le panchine hanno continuato a essere disposte a coppie, avvicinate o distanziate, a dialogare o a darsi le spalle, insomma a muoversi, senza sparire. Alla fine però il mese scorso abbiamo deciso di fissarle, dopo un attento studio della posizione che aveva riscosso il maggior gradimento.

Abbiamo fatto bene? Dovevamo lasciarle girare liberamente? Le panchine ora sono sempre occupate e sembra che la nostra scelta sia premiata dalle persone e non abbia per nulla pregiudicato l’agio della sosta. Ma un po’ di nostalgia delle panchine viaggianti forse c’è ancora nell’aria.

Storia dedicata a Beppe Sebaste che ti panchine se ne intende

TAG: beni cultura, spazio urbano, verde
CAT: costumi sociali

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