Ma tu guarda… il “Socrate” in minigonna

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19 Settembre 2020

In un primo giorno di scuola dalla temperatura pressoché estiva, una studentessa del liceo romano “Socrate” è stata ripresa da una delle vicepresidi per il suo abbigliamento “provocante”, che avrebbe esposto i professori al rischio di far “cadere l’occhio” dove non si dovrebbe (anche per via dell’assenza dei banchi, non ancora consegnati). La reazione è stata immediata: nei giorni succcessivi, le compagne della ragazza si sono presentate in minigonna o shorts e hanno diffuso via social fotografie scattate accanto al cartello: “non è colpa nostra se gli cade l’occhio!”

Si può sorridere della reprimenda un po’ suoresca della zelante vice-dirigente, oppure concordare con lei che l’ambiente scolastico ha un suo dress code, non proprio sovrapponibile a quello di una serata con gli amici. Ma l’episodio ha un risvolto tanto agghiacciante quanto, purtroppo, consueto: la dis-educazione relazionale, che questa volta è arrivata – ahinoi – da una professoressa, cioè una figura di riferimento per gli studenti del liceo.

Il messaggio sottinteso dalla battuta sull’ “occhio che casca” è infatti la solita colpevolizzazione della donna “tentatrice”: un disastro educativo, sia verso le ragazze che – ancor peggio – verso i loro compagni, indotti a convincersi che se un uomo adulto fissa lo sguardo sul corpo di un’adolescente la colpa è di quest’ultima, che avrebbe dovuto vestirsi o comportarsi diversamente. Di qui al “se l’è cercato, lo stupro“, purtroppo è un attimo…

Fa piacere che le studentesse del Socrate abbiano reagito con fermezza; farebbe ancora più piacere sentir “battere un colpo” agli uomini, studenti e docenti (e, perchè no?, assistenti scolastici), che dovrebbero ribellarsi a loro volta allo stereotipo del maschio pavloviano, incapace di controllare le sue reazioni. Un cartello con la scritta: “a noi l’occhio non ci casca!” potrebbe bastare? Almeno, sarebbe un inizio…

(immagine di GiusLipariPA daWikimedia Commons, licenza CC-BY-SA-4.0)

 

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CAT: costumi sociali

3 Commenti

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  1. evoque 4 anni fa

    Piacerebbe a tutti un mondo perfetto, in cui tutti si comportassero con rispetto educazione civiltà, in cui le debolezze umane fossero superate. Ahinoi, siamo ben lontani dal raggiungerlo. Quindi a scuola non si va in mutande, neanche se si è belle e giovanissime ragazze. Oppure a questo punto, perché i ragazzi non dovrebbero sentirsi autorizzati a varcare le aule del sapere vestiti con canotte e pantaloni con mutande in bella vista e opportunamente abbassate così da mostrare il solco fra le natiche? Parità di genere.

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  2. silvia-bianchi 4 anni fa

    Ci sono “debolezze” che un educatore non si può permettere: è ingiustificabile che la responsabilità di evitarle venga fatta ricadere sugli studenti, ai quali va chiesto un abbigliamento consono come segni di rispetto verso l’istituzione scolastica e non certo per non “indurre in tentazione” i docenti

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  3. evoque 4 anni fa

    Allora, tutti a strillare come aquile, accusando di sessismo i poveri proff. maschi. A difendere le povere donzelle probabili vittime di bruti. La vicepreside autrice dell’infelice sortita si difende dicendo che lei è sempre stata femminista. Il rattoppo peggio del buco. E nessuno, dico nessuno, neanche i diretti interessati, che si sia azzardato a difendere la dignità delle persone offese: i proff. maschi di quella scuola. Offesi dalla vicepreside, che in pratica li ha qualificati come lascivi e pedofili data l’eta delle pulzelle. Non le sembra – gentile Silvia Bianchi – una grave stortura questa?

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