Ragazze, facciamo così: diteci voi come dobbiamo scrivere e parlare

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4 Dicembre 2017

Fresco di un ritrovamento archeo-femminista a Porta Portese di un certo pregio – un Almanacco Bompiani del ’78 dal titolo «Sorelle d’Italia» a cura di Lietta Tornabuoni – mi sono illuso che la domenica di un medio maschio italiano potesse scorrere in quel segno di pace tra sessi a cui oramai molti di noi ambirebbero. Mal me ne incolse, giacché dalle prime ore del pomeriggio un certo tam-tam social cominciava a far capolino nel segno – e quale altrimenti – di un sessismo considerato anche un po’ becero. Intercettare in Rete prima i commenti del “fatto” vero e proprio è sempre buona cosa, anche giornalisticamente: in questo modo ci si caricherà di aspettative tali da rendere poi perfettamente equilibrata la valutazione degli eventi, soprattutto se, come nel caso in questione, ci si sarebbe immaginati lo sprofondo dell’anima, la vergogna di un’intera categoria, e invece ci si ritrovava tra le mani un bicchiere d’acqua fresca (scrivere limpida suonerebbe persino sarcastico ma siamo lì). Il fatto è semplice. L’ufficio marketing dell’azienda Pandora, che produce gioiellame, spara, si fa per dire, in vista del Natale un parallelo “ardito” e ne fa manifesto pubblicitario: «Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora: secondo te cosa la farebbe felice?» È da qui che parte l’inesorabile passaparola indignato di cui sopra, che naturalmente monta sino a vette scintillanti dove il sessismo è ovviamente l’elemento protagonista senza distinzioni e senza sfumature. Per chiudere il cerchio delle convenzioni borghesi, dove le incrostazioni non permettono più una valutazione mediamente serena, abbiamo dovuto aspettare la mattinata di oggi quando, anche in questo inesorabilmente, i giornali si sono occupati della cosa.

Repubblica correda il manifesto incriminato con l’intervista alla manager Pandora e naturalmente ad uso e consumo del suo pubblico femminile dall’istinto sanguinolento richiama la frase ad effetto: «Toglieremo quella pubblicità, non volevamo essere sessisti». Tutti contenti dunque, Pandora soprattutto che guadagna il suo quarto d’ora di celebrità senza spendere un ghello. Peccato che di sessismo qui non vi sia neppure l’ombra, neppure un’aroma, un minimo sentimento, soprattutto una volontà consapevole, quel meccanismo necessario a produrre la “superiorità” di un sesso rispetto a un altro. Semmai, in questo caso, nel caso della pubblicità Pandora, si rimane fermi a stilemi sette-ottocenteschi, dove parametri persino dimenticati dal tempo, ammuffiti nelle madie delle nostre bisnonne, riprendono vita come per magia. Ci si potrebbe interrogare su come certi uffici marketing interpretino la nostra modernità, il ruolo della donna all’interno della società, e non troviamo parole migliori di quelle che Lietta Tornabuoni scriveva quarant’anni fa, nel 1978, che sembrano scritte un minuto fa: «Le donne non sono mai state tanto infelici, Più libere, più consapevoli di sé e colte, giuridicamente più uguali, più rispettate nei rapporti pubblici e privati, politicamente più importanti e autonome, sono economicamente sempre più dipendenti dagli uomini. Vasta, acuta, scorata, l’infelicità nasce dalla contraddizione tra evoluzione culturale e involuzione strutturale; dall’inadeguatezza della realtà di fronte a diritti finalmente rivendicati e bisogni finalmente identificati; dal contrasto tra l’acquisita coscienza della propria condizione negativa e l’impossibilità concreta di modificarla».

Oriana Liso di Repubblica ci ha messo anche un pizzico di pepe quando, nel colloquio con la manager Pandora, ha sospettato di una manina maschile a ordire l’oltraggio. «Al contrario – le ha risposto Valentina Molinari – il nostro ufficio marketing è fatto quasi tutto di donne. Col senno di poi capisco che quello che per noi aveva un senso, in un contesto ironico, possa essere stato letto come uno stereotipo sgradevole, quando la nostra idea era proprio quella di giocare sul fatto che gli uomini a volte sbagliano i regali, se non hanno il suggerimento giusto». Ecco il punto. Il contesto ironico, come lo chiama la manager. Altro che sessismo. Che cosa possa essere davvero l’ironia applicandola al mondo femminile, sapendone le lotte straordinarie per ottenere una consapevolezza condivisa. Ecco, su questo punto possiamo serenamente concludere che l’intero ufficio marketing di Pandora vive assolutamente da un’altra parte, vive il suo gioiellame come un orpello senza storia e persino senza definizione sessuale. Dove vivete ragazze di Pandora?
Poi però c’è da chiedersi anche dove vivete voi ragazze del mondo di oggi, se cascate con tutte le scarpe in un modestissimo tranello pubblicitario per scovare l’indignazione che (non) è in voi e farne una malinconica catena di solidarietà social. Soprattutto c’è da restare smarriti che le difese immunitarie siano così basse, che il rispetto per l’evoluzione femminile abbia preso queste scorciatoie da discount. Ad altri cimenti sarete chiamate, molto più seri che simili bagattelle. A meno che non vogliate rimodellare i rapporti con l’altro sesso con l’intransigenza puerile di un giustizialista da pochi centesimi. In questo caso, diteci pure come dobbiamo scrivere e parlare e noi ci adegueremo.

TAG: femminismo, pandora, pubblicità
CAT: costumi sociali, discriminazioni

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