Termiti

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9 Gennaio 2022

Guidava lentamente, nel flusso suo malgrado ordinato di quell’ora e di quella strada che sembrava guidare al suo posto e non le permetteva alcuna scelta. Non avrebbe potuto accelerare e neppure fermarsi e, se solo lo avesse saputo fare, avrebbe usato volentieri il sistema automatico di guida.
Ma era rimasta sola e non aveva mai avuto troppa dimestichezza con i mezzi elettronici e le regole digitali del nuovo stato, tanto da chiedersi che senso avessero quelle imposizioni se poi c’era ancora chi come lei non era in grado di rispettarle; non per ribellarsi ma semplicemente perché non sapeva come usare gli strumenti imposti dalla nuova scienza.
C’era il controllo remoto, ma sarebbe diventato obbligatorio solo da lì a qualche mese e non era ancora in funzione, poi partenza e destinazione non sarebbero più stati affar suo. Nel frattempo avrebbe guidato come sapeva, come aveva sempre fatto, da sola.
Intorno a lei, al contrario, tutti sembravano sollevati dalla necessità di fare attenzione alla strada e a qualsiasi altra cosa che non fosse contenuta nello schermo dei loro monitor flessibili e sottili. Le pareva che fosse un mondo di pazzi, che parlavano da soli guardando quelle sottili appendici di sé e non si rendevano neppure conto di percorrere quella strada.
Quella vista le ricordò quando, da bambina, aveva visto per la prima volta la sezione virtuale di una immensa colonia di termiti e da dietro alla superficie trasparente dello schermo che la simulava aveva seguito la processione brulicante e interminabile di migliaia di piccoli automi, al servizio di qualcosa che non era dato loro di vedere, obbedienti e disciplinati, senza vita apparente.
Allora aveva pensato che servivano qualcosa di superiore e potente e non avrebbero mai potuto scegliere altro e aveva immaginato di trovarsi in mezzo a loro, intrappolata in quel flusso, impotente e senza volontà. Aveva avuto paura ed era fuggita via.
Lasciò quel pensiero e si liberò della stretta angosciante che aveva portato con sé e si ritrovò al volante; per sollevarsi si disse che era giusto, che così non si correvano rischi. Un contatto anche lieve con un’altra auto le sarebbe costato caro se si fosse scoperto che stava guidando manualmente, la tessera sociale avrebbe subito un bel prelievo e avrebbe perso il premio a cui ambiva da un po’.
Quel premio era il suo pensiero felice da molto tempo: sarebbe partita presto, appena raggiunto il punteggio necessario per meritare una settimana di libertà in una delle destinazioni approvate dal suo dipartimento di vigilanza ed erano quasi due anni che accumulava quel credito.
Apparteneva ad una generazione difficile, quella di mezzo. Era ancora giovane quando c’era stato il grande passaggio e le nuove regole avevano iniziato a scandire il tempo e il ritmo della vita di tutti.
Ricordava molto bene il mondo vecchio, di aver scelto ogni giorno come vivere, se partire e persino dove andare. Adesso sapeva di essere sorvegliata attentamente proprio a causa di quel ricordo, così difficile da cancellare. Molti come lei erano finiti male, non avevano capito e ora vivevano ai margini del dipartimento, nel ghetto, senza lavoro, né credito e neppure identità sociale, erano stati cancellati.
Il flusso del traffico si era fermato e il sole inclinato la colpì in pieno.
Anche quella cosa non sarebbe dovuta accadere, le auto erano state tutte dotate di un vetro fotocromatico che era incaricato di non permettere alle persone di essere distratte dallo spettacolo del cielo. Quella diavoleria era ormai accettata anche in tutte le case, senza domande, perché cielo, sole, nuvole, luna, albe e tramonti erano stati banditi, giudicati troppo suggestivi e ancora capaci di suscitare emozioni pericolose per l’attenzione e dannose per le persone.
Ma quei raggi non sembravano interessati e subire quella censura tecnologica e poteva vedere la sua immagine riflessa sul vetro, come in uno specchio profondo e surreale.
Riconobbe ben poco del suo volto; da tempo era invecchiata e la pelle non sopportava il peso di quel cambiamento, gli occhi erano socchiusi dalle palpebre pesanti e per un momento le venne da pensare che forse avrebbe accettato di rinunciare al suo viaggio, per scegliere in cambio la proposta standard: quella che a tutte sembrava così allettante.
Un breve ricovero nella struttura del Ministero della Misura le avrebbe restituito un volto levigato e privo di segni, anche quelli del tempo. In più le sue espressioni sarebbero state predefinite così da escludere troppi eccessi, niente più tristezza o eccessiva allegria, semplicemente la giusta via di mezzo, la misura a cui tutto deve correttamente uniformarsi, scelta da altri, più competenti, più responsabili e più evoluti.
Improvvisamente – però – un lampo attraversò la rima socchiusa di quegli occhi e si fece strada tra le ciglia fitte e nere dove il blu che aveva attirato l’amore nella sua vita di prima si mostrò più forte e vivo.
Riconobbe quella luce riflessa e lasciò che attraversasse gli occhi da cui era venuta e si impadronisse della sua gola, del suo cuore e dei polmoni, del ventre e delle gambe.
Qualcosa era tornato ed era lì a ricordarle chi era.
Proprio quello che il suo dipartimento aveva il compito di cancellare, riscrivere e annullare. Avevano fatto molti tentativi e esperimenti e sapevano che non poteva succedere senza che le persone collaborassero, riscrivere era facile, ma occorreva che le persone se lo lasciassero fare. Altrimenti non si poteva estirpare con la forza, non senza ucciderle, quelle persone.
Per questo c’era il ghetto, il luogo dei reprobi e dei derelitti.
Si avvide che si era fermata proprio lì, vicino al perimetro dell’enorme campo circondato da una  recinzione altissima, sterile e insuperabile.
Quei luoghi erano nati per essere l’anticamera pietosa della fine del popolo dei riottosi, destinato all’estinzione inevitabile, eppure il pronostico era stato sovvertito e da qualche tempo si diceva che la popolazione del ghetto era in aumento. Circolavano voci sui campi e su chi li popolava, qualcuno aveva riferito di fuochi e canti e balli – ormai cancellati nel mondo nuovo – e addirittura che lì si praticasse l’amore. Quelle notizie erano state classificate come false da tutte le agenzie di controllo della verità ormai divenute parte integrante dell’apparato burocratico del nuovo stato, e nuovi divieti erano in arrivo anche per chi era costretto a collegarsi con quel mondo per approvvigionarlo e provvedere alla sopravvivenza dei suoi abitanti.
Forse i campi sarebbero stati chiusi e gli occupanti eliminati.
Ricordò che lui era stato portato lì e che forse era ancora vivo.
Aveva creduto che quel ricordo fosse ormai riprogrammato, da quando non sognava più di loro e dell’amore che li aveva scelti, eppure adesso tutto era vivo e presente. Sentì una scossa potente percorrerla e animarsi e non fece nulla per resistere; nel frattempo le altre auto si erano mosse quasi all’unisono, quindi prese il volante e ripartì.
Il sole non entrava più nell’abitacolo ma ormai era entrato dentro di lei come accadeva un tempo. Sorrise.
Non avrebbe chiesto di poter partire per quella vacanza e neppure di avere una nuova faccia senza tempo.
Avrebbe aspettato ancora, che lui tornasse da quella prigione e venisse a prenderla, per portarla con sé di là, nell’ultimo pezzo di mondo reale.

TAG: disumanità, racconti
CAT: costumi sociali, Geopolitica

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