C’era due volte il ministro Salviettini
Era il 1978 e il grande scrittore Gianni Rodari, le cui opere, insieme a quelle di Calvino (Italo, non confondiamo), dovrebbero essere studiate a scuola obbligatoriamente accanto ai Promessi Sposi, scrisse un romanzo allegorico per ragazzi: C’era due volte il Barone Lamberto ossia I misteri dell’Isola di San Giulio.
Il buon barone Lamberto, ormai novantatreenne, ha deciso di mantenersi in buona salute grazie a una profezia udita da un santone in Egitto vari anni prima: colui il cui nome è sempre pronunciato resta in vita. E quindi tutti i suoi famigli sono superpagati (altro che Fabio Fazio) per ripetere a intervalli regolari il suo nome: Lamberto Lamberto Lamberto… giorno e notte, a turni, e ogni volta che il nome viene udito dal barone lui ringiovanisce.
La storia continua, naturalmente, con colpi di scena, un nipote avido e perfido, superbionde su auto sportive, eccetera, leggetevela, ed è un must anche per gli adulti, molto più che per i ragazzi. Forse anche perché gli adulti odierni non sono che dei ragazzi cresciutelli, rimanendo tenacemente ancorati al loro Peter Pan e incoraggiati, in questo, da costumi sociali e culturali che hanno declinato la permissività distorcendola col lassismo.
In fondo ciò che è accaduto al barone Lamberto è accaduto recentemente a un cavaliere di internazionale notorietà, che noi non nomineremo per non correre il rischio di farlo ringiovanire un’altra volta ma piuttosto per fargli seguire il suo corso naturale, e che potremo ricordare come Mister B. E in effetti, da quando molti iniziarono a chiamarlo semplicemente B., l’eclisse da parziale si trasformò in totale, e solamente ogni tanto, quando l’orbita dell’astro cerca di riappropriarsi della sua antica posizione nel sistema planetario della politica, B. si ripresenta. Ma purtroppo, non essendo quasi più nominato da nessuno, si sta accartocciando su sé stesso. È uno spettacolo che provoca quasi una tenerezza a chi assiste a quella travolgente e inesorabile Brianza Decadence, dopo bunga bunga, cene eleganti, nipotine egiziane, consigliere regionali igieniste dentali e tanti lustrini. Non più di fiori vaghe catene discenda Imene ad intrecciar.
Comunque, al di là di un ottimo materiale per parodie – gli attori dovrebbero ringraziare la politica per i tanti spunti offerti quotidianamente e gratuitamente su un piatto d’argento – la malinconia per la caducità, che tutto trascina con sé, potrebbe invadere l’animo della maggior parte del pubblico, senza più quei favolosi clown usati a punteggiare di colore il grigiore quotidiano. In fondo quell’ostentata ricchezza rappresentativa era come i Pagliacci di Leoncavallo nelle realizzazioni di Zeffirelli (pure senatore per il partito di Mister B. Eccellenza! Troppo onor. Io non merto un senator), dove al posto di una scalcagnata e poverissima compagnia di girovaghi si esibiva un’équipe sconfinata di pagliacci con nani e ballerine, che manco il Circo Orfei si sarebbe potuta permettere. Manie di grandezza di Sforza Italia che fan parte di questo ringiovanimento forzato alla Doktor Faust.
Però la tecnica della profezia egiziana di Lamberto è ancora di moda, e questa Faust non la sapeva, anche perché sarebbe stata sperimentata nel 1978. Oggi, infatti, se il signor B. è ormai una nana bianca, pur se pateticamente tinta e ritinta per non far affiorare il candore e nonostante i tacchi interni, si affaccia all’orizzonte il signor S. che prova a passeggiare sulle orme dal cavalier lasciate.
Noi, ovviamente, proprio per non incorrere nell’errore (e nell’orrore) precedente, eviteremo di nominarlo col nome intero. Tutt’al più suggerirei di parlare di lui con uno pseudonimo, un nomignolo simile che ben si adatta alla statura del personaggio. Mentre il suo illustre ex-alleato e predecessore aveva un nome che terminava in –oni, suffisso accrescitivo, per di più plurale, che sicuramente avrà avuto inconsci ruoli nell’esagerata autostima (un po’ patologica, forse?) del soggetto, l’attuale aspirante Lamberto è condannato a un profilo assai più basso, terminando il nome di famiglia in –ini. Ahi ahi ahi signora Longari! Non sapeva che Nomina sunt consequentia rerum, come ricordava Dante nella Vita Nuova, XIII, 4?
Cerchiamo quindi di ovviare al pericolo di minimizzazione e facciamoci nominare ovunque, in tv, in radio, sui giornali, sul web, su megaposter che prendono un’intera facciata, anche attraverso aerei con striscioni, I love S…ini, stampato su magliette, felpe, scarpe, cinture, mutande (o, implicitamente, immaginato in foto a letto colle ex-fidanzate), scritto coi petali di fiori, con segnali di fumo, con fuochi d’artificio, coi bambini distesi a formare lettere sui cortili scolastici, coi fiori che analogamente ai bambini formano il nome ma nelle aiuole sul Lago di Como, a fumetti, sui selfie, S…ini likes Nutella!, eccetera.
Tutto contribuisce ad accrescere la potenza e a ringiovanire la sua immagine, esattamente come facevano i famigli del barone Lamberto, tutti coloro che lo nominano troppo spesso ingigantiscono, in questo caso immeritatamente, il personaggio.
Cerchiamo quindi di porre un rimedio, un argine all’inondazione. Bisognerà pur chiamarlo in qualche modo, sennò si rischia di parlare dell’inesistente, cosa che invece non è. Io opterei per un diminutivo del diminutivo proprio per indicare una collocazione più idonea: Salviettini. Esprime qualcosa d’infantile e culinario al contempo, oggetti che tutti usano per soffiarsi il naso, per pulirsi dall’inevitabile sbrodolamento quando ci si riempie troppo la bocca di un boccone (metaforico e concreto) e si spargono, inevitabilmente, resti del boccone stesso addosso a sé stessi e agli astanti, o per tamponare il vino rovesciato sul desco del desinare, insomma, almeno qualcosa con una certa utilità. E soprattutto esprime qualcosa che tutti possono riconoscere facilmente, visto che si vuol essere capitani del popolo. Il capitano Salviettini suona bene, un novenario che potrebbe avere una collocazione musicale in un inno, in forma di marcetta magari, adatta all’uopo.
Daremo anche l’occasione, e questa è un’opera buona, di ringiovanire a un ipotetico signor Salviettini che, nominato milioni di volte, tornerà ad essere agile e scattante come quando aveva diciott’anni, deviando così il beneficio verso ignoti. Sempre tenendo buona la profezia.
Un altro rimedio è quello di non nominarlo affatto, come hanno escogitato degli avvertiti utenti stufi delle smargiassate di Salviettini, certi amanti delle lenzuola come forma d’arte espressiva e al tempo istesso ermetica: “Pórtatela (o sarà “portàtela”?) lunga la scala… Sono al quinto piano” oppure “Non sei il benvenuto” o un intero condominio di artisti a Catanzaro: “Buonisti un cazzo” “Non in mio nome” “La lega è una vergogna” eccetera. Non si nomina mai ma si capisce che si parla di lui, astuta forma per evitare la pubblicità favorevole all’oggetto della contestazione.
Bisognerebbe fare una raccolta di questi oggetti d’arte spontanea e appenderli alle finestre di Palazzo Strozzi, altro che gli anodini gommoni di Ai Weiwei, quella sarebbe una sorprendente esposizione di street art, o window art, all’avanguardia, che segue tutto minuto per minuto, e che si può anche aggiornare secondo la creatività dell’espositore. Palazzo Strozzi si presterebbe anche perché ha due belle file di finestroni, sai quanti ce ne stanno? E poi, vai a togliere delle opere d’arte in esposizione! Né polizia né pompieri né volontari osannanti il soggetto/oggetto del contendere potrebbero mai compiere quest’affronto all’arte nella capitale dell’arte!
Detto questo i curatori del marketing del signor Salviettini dovrebbero studiare meglio, visto che l’oggetto del loro marketing probabilmente non lo ha fatto perché, allora come oggi, era di certo sempre in giro a farsi le foto con i fans, bisognoso di sentire il suo nome pronunciato, cantato, anche biascicato per essere sempre giovane e fermare il tempo.
Non si è ancora visto un video simile a “Meno male che Silvio c’è”, ma lì c’era l’ostentazione dei potenti mezzi cinematografici della premiata ditta di famiglia. E bisognerebbe anche comporre una ballata epica per il protagonista di questa crociata. Ci fosse ancora Carosone avrebbe scritto una canzone “’O rosario” ispirandosi all’oggetto esibito nei comizi, con versi come:
“Miettete ’na Salvietta, miettete ’na Salvietta primm ’e parlà, ’o rosario sì, ’o rosario no, pe’ mme fa’ scurdà, che diciste a ffà, pigliate ’na pastiglia, siente a mme.”
Un’occasione perduta. Inoltre la canzone napolitana vince sempre pure sulla mia bela madunina (lo dice perfino la stessa canzone, che ammette la superiorità partenopea, e perfino Mister B. che fu pure compositore di canzoni nella dolce lingua del Golfo), perché ’o sole mio la cantano pure i gondolieri a Venezia, sempre, mentre la madunina non si ode mai o quasi mai sulle venete lagune. Rievocheremo Carosone in una seduta spiritica e al posto del bicchierino e l’alfabeto metteremo un pentagramma e una penna biro.
Poi si potrebbe anche proporre un’altra maniera per non nominarlo direttamente, forse facendone un anagramma: Insalvi, Svilina, ILVA S.I.N. (sito interesse nazionale), Il vasin, Invalsi, Van lisi, Silvani, Il Vanis (questo suona bene), Lì Svanì (anche questo), Slavini (non male, col senso cinetico di caduta), Si lavin (sozzoni!), Sia ’l vin (molto festa padana), Sian vil, Sal i vin (dal sapore separatista catalano), L’invisa, L’invasi, Salvi? …Ni, Silvian (un po’ prestigiatore), Silvina… Meno male Silvina c’è, ecco! Senza incorrere nell’inconveniente del ringiovanimento del barone Lamberto. E peccato che anche Elio abbia sciolto le sue storie ormai non più tese. Ne sarebbe nato un brano indimenticabile.
Se poi si aggiungesse perfino il nome di battesimo nuove formule compiute e parecchie si aggiungerebbero alle poche esplorate poco fa. Qui di seguito solo alcune, apprezzatene la pertinenza di alcune e pure la musicalità che la nostra bella lingua ci regala, con qualche arcaismo qua e là. Ne ho evidenziato in grassetto corsivo alcune, di vaga pertinenza e suggestive:
Stamani ti oleva (per stimolare l’olfatto), Vantosi letami (anche questo), Sentivo la Mita, Sventolai Mita (che nel frattempo era svenuta, forse per gli odori), Salvo nei matti, Alvise Mattoni, Mettila in vaso (cosa? un piccolo sospetto…), Matto è ’l Vasini, In tavola mesti, L’invisa è Motta, Tentiam al viso, Sola ti mentiva, Vittima on sale, Salìvan ometti (un sospetto, anche qui…), Avanti il mesto, A mosti valenti, Vestiam latino, Ti vesta malino, No a malvestiti (teniamo alto il nome della moda italiana!), Amo ’sti valenti, Stantìo levami, Te Silvan i’ t’amo, Salvate i monti, Amanti Stelvio (entrambi per prossime adunate alpine), Le stimo avanti, Oliva m’è stinta, Menti a st’oliva, Stantìo mi vale, Metto in salvia, Avola! Mentisti, Notiam stivale, T’amo in stivale (per i nostalgici delle divise), Meno stivalati (un incitamento a smetterla colle divise), T’amin o Stivale (esortazione all’amor di Patria), Stivali a monte (progetto stivali fallito), Vano sta milite (un esercito senza una ragione), Temi l’invasato, Sinti vota male (una frecciata razziale), Votameli santi (tra rosari e patroni d’Europa), Santi le votiam, L’ostia mentiva (disillusione…), Mi levano stati, Siti va al monte, Sali mentovati, In lei smottava, Mi vanto a stile, Si vanti Otelma, Amleto si vanti, Lesto mi vantai, L’amo investita, Lavasti i’ mento?, Mentiva l’astio, Stimai Levanto, Ti vesti la mano, Mal ti vestìano, Ma vestiti l’ano! (ops!), Vestiti la mona (ops!), Ivo tinse Malta, Limitavan oste, Imitavan l’oste, Svena l’imitato, Mettano Silvia, Lì ti stava meno, L’onesta mi’ vita, Amo lesti vanti, Visto le amanti, Stivo le amanti, Li monta e stiva, Toni me la stiva, Toni me la svita, Svitamela Toni, Svitate malino, Svitate Milano, Son mal evitati, La invito mesta, Imitavan sol te, Attimo ne salvi, O sentivi Malta, Almeno ti stavi, Vita et salmoni, L’estiva notiam, Mestavano liti, Si monta Vitale, Stavolta i meni, Stavolta imeni, Visitò l’amante, Il visto amante (assai visto sui social, desnudo sul letto), Svilito amante (dopo l’abbandono definitivo della show girl), Molesta in vita, Tostavi le mani (ricordando Muzio Scevola), Svelami a’ tonti, Involse matita (un riferimento a una certa censura per le vignette satiriche a matita?), Asini e molta tv (un avvertimento), Mia vil testona, Vinsi a Maletto (chissà quanti voti avrà preso lì…), Mi svia talento, S’imitava lento, Vaso limitante, Lima in vasetto, Investi o Malta, Stavi lì o menta, Molestavi Tina?, Valse i mattoni, Sol m’iniettava, Viti manolesta, Move latinista, Moventi salati, Mo’ senti la vita, Intima e svolta (una svolta con minaccia), Tavoli in stame, Tavole in stima, Veto staminali, Stanlio m’evita, Valenti stiamo, Montava i lesti, Testiamo Alvin, ’Sti temi lavano, Listavi moneta, Solita mentiva, Invito? Sta male… ,Vai stolta Nemi, No stava limite, Ti tema Novalis (molto romantico), Vitamina tolse, A molesti vanti, Avanti molesti, Matita nel viso (un po’ per truccarsi…), Sì t’alimentavo, Talento mi svia, Lava testimoni, Limonavi testa, Steno limitava, Tastavi limone, Va’ testimonial, Testimoniaval (da premio Scarabeo 2019), Mesti in volata, Minetti va sola (come ogni donna di successo), Stavi male Tino?, Tosti val manie, ’Sta Mina l’evito, Veto lista Mina, Ti molestan Iva?, Senti? La vomita… , Milva è in stato…, E Stalin vomita, Vomit e l’intasa, E Milva intosta, Milva sei tonta?, Stonavi il tema!, O ti sentiva mal, Ma t’è vist Ilona?, Statevi lì mona!, Votat i milanès, e così via in molte altre combinazioni… sempre senza nominarlo, grandioso no? Anche questi anagrammi potrebbero essere usati per un’ode al capitano, intitolandola Il Testament del Capitan, l’unica cosa che può lasciare in eredità, i suoi anagrammi.
Concludendo, forse, bisognerebbe far tesoro delle parole di George Berkeley (1685-1753) che sosteneva che le cose materiali esistono solo quando vengono percepite, alla base del surreale romanzo di Éric-Emmanuel Schmitt La secte des Égoïstes (1994).
Una bella schermata con queste ultime parole famose dovrebbe aprire e chiudere i programmi televisivi sulla sigla del Guglielmo Tell, del beneamato Rossini . Fine delle trasmissioni.
© Massimo Crispi 2019
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