Sotto il vestito c’è tanto altro

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8 Febbraio 2023

“Le donne sono leader ovunque tu guardi, dall’amministratore delegato che gestisce un’azienda della Fortune 500, alla casalinga che alleva i suoi figli e dirige la sua famiglia. Il nostro Paese è stato costruito da donne forti e continueremo a rompere i muri e sfidare gli stereotipi.”

Un vestito può definire una donna? Certamente no. Il discorso di Chiara Ferragni ha voluto essere un monito alle donne che ce l’hanno fatta da sole contro l’arroganza di uomini che si sono attribuiti il merito di averla lanciata, inventata, fatta divenire ciò che oggi è. Ha sostenuto come è difficile per una donna farsi strada, quanto in un mondo evoluto ancora pesa la disparità di genere, quanto ancora la donna debba sentirsi oggetto di giudizi solo per il fatto di essere riuscita a diventare una donna le cui opinioni contano. Una donna che ha messo la sua intelligenza e la sua immagine al servizio del suo lavoro. È una bella donna, ma se non fosse stata una donna in gamba non sarebbe diventata la blogger, designer e modella italiana che ha lanciato brand e costruito un impero finanziario. Il suo discorso riguardava anche quanto il coprire o meno il corpo femminile può decretare il giudizio del maschio sulle donne, concerneva la vergogna, l’odio, la lotta contro il sessismo. Il corpo, ha detto, deve essere vissuto liberamente, che essere donna non è un limite, ha anche aggiunto che bisogna essere se stessi al di là del pregiudizio. Un discorso che condivido in pieno perché credo fermamente che lavorare per dare valore e far emergere quanto ciascuna donna porta dentro di sé, sostenere la forza e il coraggio nell’affrontare le sfide con l’obiettivo di generare un impatto sociale, economico e positivo per tutte e tutti, sia fondamentale.
Quello che, però, personalmente considero un limite è proprio quella che credevo fosse la nudità della Ferragni. Ho appreso, leggendo, che si trattava di un disegno sul tessuto, ma ciò non cambia la mia idea che sia comunque un limite e non perché sono una bacchettona. Del resto Achille Lauro si presentò un paio di anni fa sul palco di Sanremo con delle tute aderenti color carne che non lasciavano spazio all’immaginazione. Se può denudarsi un uomo non vedo perché non possa farlo una donna.
Non sono bacchettona perchè vivo quotidianamente tra i giovani e l’educazione è un processo di influenza reciproca. Con loro mi capita di parlare di temi di attualità perché credo che la scuola sia, ancora, baluardo contro gli eccessi, la violenza, gli atteggiamenti scorretti e la sopraffazione che purtroppo dilagano in televisione, sui social, e nella nostra realtà quotidiana. La tanto decantata e vituperata scuola che è investita del difficile compito di formare ragazzi a cui si richiede di sviluppare spirito critico e di sacrificio, e al tempo stesso di vivere principi sani, equilibrati, introiettando quei valori educativi che si traducono anche in misura e correttezza.
Ritornando alla Ferragni, parlandone anche in classe, abbiamo riflettuto come forse il suo messaggio poteva essere veicolato in modo che fosse davvero trasgressivo, un modo che lasciasse da parte la forma scenica e badasse solo al contenuto. La nudità è stata rivoluzionaria nel Sessantotto quando oltre a nuovi rapporti tra privilegiati e diseredati, con una rinnovata visione di uguaglianza del diritto allo studio e alla libertà di parola e di pensiero contro ogni forma di dirigismo e autoritarismo, irruppe il movimento internazionale delle donne. Il femminismo, con il suo nuovo modo di guardare alla famiglia, ai ruoli, ai rapporti sessuali e sentimentali fra generi ha compiuto la prima grande rivoluzione sessuale.
Svelare significa davvero reagire ad una visione, ad un’immagine patriarcale di un corpo, quello femminile, da dominare e soggiogare?
Nelle pratiche discorsive e metaforiche, nell’immaginario e nell’iconografia della nostra cultura, il velo, così come il gesto del velare o dello svelamento, è stato associato sia al sacro sia al profano. Esso rimanda alternativamente al vedere-attraverso, al bagliore dell’intravedere, e all’oscurità dell’enigma in cui si cela e si custodisce il mistero; alla nudità della verità svelata e alle apparenze ingannevoli (i famosi veli di Maya); al desiderio di possesso e alla distanza; alla purezza e all’erotismo; ai canoni tanto del pudore quanto della seduzione femminili; alla sacralità e alla profanazione.
Cos’è un velo, quali i suoi usi e i suoi molteplici significati? E di cosa è divenuto oggi segno o simbolo?
Il velo è, anzitutto, una parte dell’abbigliamento femminile usata per coprirsi il capo nei luoghi pubblici e di culto. È presente in ambiti culturali e religiosi differenti, e ha acquistato storicamente significati diversi e simili. Nella nostra cultura è quello bianco verginale delle bambine alla prima comunione o quello nuziale che si allunga nello strascico delle spose. Quello nero e molto fitto del lutto che un tempo usavano le vedove. Quello tradizionalmente portato dalle donne per entrare in chiesa e assistere alle funzioni, e che le monache indossano permanentemente e assumono in un’apposita cerimonia, a testimonianza della loro sottomissione a Dio. Così che prendere il velo o deporre il velo sta a indicare il monacarsi o l’abbandono dello stato monacale.
Nelle religioni il velo assume un valore sacrale. Dio stesso si vela nel rivolgersi all’uomo. Mosè non può guardare direttamente Dio e quando ridiscende dal monte Sinai è, a sua volta, talmente luminoso che dovette velarsi.
C’è poi il velo sul calice del corpo di Cristo nella liturgia eucaristica; e il velo della tenda, dell’Arca del tempio, presso gli ebrei: la cortina che la separava dal luogo santo in cui era consentito l’accesso. Il velo è qui ciò che cela, nasconde e, insieme, preserva dall’invasione di uno sguardo profano e profanante.
Ma l’integrità di una religione, come l’identità di una cultura, è garantita dalla posizione che le donne hanno in essa o che viene loro assegnata.
Nel primo cristianesimo il velo per le donne viene motivato teologicamente da san Paolo. Nella Lettera ai Corinzi egli scrive infatti che l’uomo non deve velarsi il capo perché è “l’immagine e la gloria di Dio”, mentre “la donna è la gloria dell’uomo”. Il velo ne marca dunque la dipendenza dall’uomo e la naturale inferiorità rispetto a Dio. Ma se san Paolo si riferiva solo alla pratica religiosa, Tertulliano nel suo “De virginibus velandis” arriva a imporre alle donne di non uscire di casa a capo svelato. Perché se l’uomo è a immagine di Dio, la donna è macchiata all’origine dalla colpa e i segni della sua insidiosa bellezza, come la chioma, devono essere neutralizzati. É questo il motivo per cui Mahsa Amini, a Teheran, è morta dopo aver subito maltrattamenti mentre si trovava in custodia della polizia religiosa che l’aveva fermata tre giorni prima; non indossare il velo correttamente significa peccare e ribellarsi allo stato di sottomissione maschile. Storia contemporanea di un retaggio antico, attraverso l’esotismo dell’harem si è formato il miraggio dell’Altro: dalle Mille e una notte alle Donne di Algeri nei loro appartamenti di Delacroix, o alla Salomè di Oscar Wilde.
Per ritornare alla scelta dell’abito della Ferragni, che sicuramente è stata dettata dal fatto di far parlare usando una forma oltre che il contenuto (siamo pur sempre nell’ambito dello spettacolo e degli indici di gradimento), dove sta la libertà in questo gioco dello scoprire? È da considerarsi una libera scelta quella di mettere in evidenza, in modo sfacciato, le parti più sessuate del corpo femminile?
Si è soliti sostenere che ciascuno si possa vestire come desidera. Una forma di libertà conclamata ma non vera. Le mode, le abitudini religiose e moralistiche di un Paese impongono un’idea di comportamento che viene da lontano. Coprire e scoprire, se guardiamo le cose da un punto di vista culturale, ci rendiamo conto che sono due forme di costrizioni molto simili. La vera libertà consisterebbe nello stare comodi, nella possibilità di muoversi liberamente, di vestirsi senza fare il verso alle peggiori pubblicità della seduzione mediatica, nello stare in armonia con la natura sfuggendo sia al linguaggio delle ideologie che del mercato.

TAG:
CAT: costumi sociali, Questioni di genere

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