La plastica di India, Cina e Africa sta assediando i mari del mondo

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1 Ottobre 2019

L’attualità ci costringe ad affrontare molteplici sfide e tra queste quella ambientale si distingue per il grado di complessità che la caratterizza. Senza doversi allontanare dalla cronaca di questi giorni, l’imponente partecipazione alle manifestazioni Fridays for Future dimostra come la tematica sia sempre più parte della coscienza collettiva. In questo ambito, l’inquinamento da plastica in mare ne è una sfaccettatura molto importante che non può essere trascurata.

Plastic-free sembra oggi essere il mantra per una vita più sostenibile verso l’ambiente. La plastica, da sempre apprezzata per la sua leggerezza e versatilità, si è trasformata da preziosa alleata dell’umanità a nemico da combattere a tutti i costi per la salvezza del pianeta e, soprattutto, dei mari. Volendo essere plastic-free, dovremmo rinnegare allo stesso modo la scocca del computer che usiamo al lavoro, gli elementi in plastica nel telaio delle automobili e la cannuccia nei cocktail all’ora dell’aperitivo. La soluzione al problema è però ben distante da questo scenario, ma proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Nonostante la sua presenza così massiva nelle nostre vite, non è noto a tutti che il termine “plastica” descrive un’ampia famiglia di materiali organici derivanti da combustibili fossili. Questi sono chiamati polimeri (dal greco “che ha molte parti”) perché composti da lunghe catene di unità fondamentali, dette monomeri, che caratterizzano e differenziano i vari materiali in base alla loro composizione chimica.

La loro facilità di lavorazione ed il basso costo, uniti alla leggerezza e la resistenza a diverse condizioni operative, hanno reso possibile la diffusione capillare dei materiali plastici in tantissimi campi di applicazione: dai tessuti tecnici per lo sport alle membrane impermeabili usate nell’edilizia, dalle pellicole multistrato per conservare gli alimenti più a lungo a componenti per protesi in ambito biomedico… Dal 1950 a oggi si è osservato infatti un aumento esponenziale nella produzione di polimeri (Figura 1), ed il trend risulta tuttora in crescita.

 

Figura 1. Produzione annuale di materie prime plastiche a livello globale per settore di applicazione. (Fonte: propria elaborazione su dati Science Advances)

 

Per via delle sue proprietà uniche, con gli anni i polimeri non si sono semplicemente limitati a prendere il posto di metallo, vetro o ceramica, ma hanno anche contribuito all’affermarsi di un consumismo “usa e getta”. Infatti, la plastica è il mezzo ideale per far fronte ai rapidi cambiamenti della società perché costa poco e si può quindi buttar via senza particolari rimpianti. Così, ci ritroviamo ad usare quotidianamente oggetti monouso di cui il più delle volte potremmo anche fare a meno: piatti, bicchieri, posate, sacchetti, cannucce… Inoltre, il 47% dei rifiuti di plastica proviene dal packaging, a causa delle innumerevoli confezioni o pellicole trasparenti che troppo spesso vengono usate inutilmente, soprattutto nel settore alimentare.

Lo spasmodico utilizzo della plastica negli ultimi anni sta cominciando ad avere serie ripercussioni sul nostro pianeta. L’impatto ambientale più evidente, spesso portato all’attenzione pubblica dai media, è causato dal suo inappropriato smaltimento. Infatti, in tutto il mondo solo il 15% dei rifiuti plastici viene riciclato, il 25% è avviato al recupero energetico, mentre il restante 60% finisce in discarica, bruciato all’aperto o scaricato direttamente nei mari. Quest’ultima possibilità è particolarmente insidiosa perché, una volta raggiunto il mare, l’inquinamento da plastica ha un impatto che va ben oltre l’aspetto puramente estetico. Infatti, la durevolezza e la resistenza dei materiali plastici, tanto utili nelle loro molteplici applicazioni, fanno sì che essi persistano nell’ambiente per tempi lunghissimi: si parla di decine, forse centinaia, di anni. Durante la loro permanenza in mare, i rifiuti plastici vengono spesso scambiati per cibo da diverse specie marine (gabbiani, pesci e tartarughe marine tra quelle più soggette), causando loro un falso senso di sazietà, che le porterà a morire per malnutrizione.

Nel mondo, 9 milioni di tonnellate di rifiuti plastici si riversano ogni anno negli oceani, l’equivalente di 5000 camion al giorno scaricati in mare, e circa il 94% ha origine dai fiumi di Cina, India, Sud Est Asiatico e Africa, Paesi in cui mancano del tutto le infrastrutture addette a raccolta e riciclo. La situazione è decisamente migliore nel nostro continente, grazie alle politiche virtuose intraprese dall’Unione Europea nel corso degli ultimi due decenni e un dato di oltre il 30% di plastica riciclata, tuttavia anche qui il problema è ben lungi dall’essere risolto, dato che ogni anno tra le 50 e le 150mila tonnellate di rifiuti plastici vengono riversate in mare, andando a intaccarne la biodiversità.

Nel 2014, un gruppo di scienziati della Society of Environmental Toxicology and Chemistry ha concluso che “la soluzione principale all’inquinamento da plastica è prevenire che essa contamini gli oceani”. Nelle nostre vite, questo si può tradurre nel cercare di ridurre il più possibile la produzione di rifiuti plastici inutili, che è ben diverso da pensare una vita totalmente “plastic-free”.

Noi di Yezers abbiamo sviluppato una proposta che ha l’obiettivo di ridurre il consumo di bottiglie di plastica, di cui l’Italia ha il primato in Europa con 8 miliardi di bottiglie utilizzate ogni anno: nelle prossime settimane descriveremo in dettaglio la nostra proposta!

 

Federica Guerrini e Roberto Valenza

Membri del Team di Ricerca Plastica

 

TAG: ambiente, inquinamento, oceano, plastica, Yezers
CAT: costumi sociali, tutela del territorio

Un commento

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  1. xxnews 5 anni fa

    perché non dice chiaro che il MEDITERRANEEO da almeno 30 anni è usato come discarica della “PLASTICA”
    come se ITALIA E FRANCIA non ne abbiano grandi responsabilità …
    io nelle zone liguri ho smesso da più di 30 anni di fare “IMMERSIONI SUB”

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