Mafia Capitale ai tempi di Leone X: la storia è maestra. O no?

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28 Dicembre 2014

Nella primavera del 1517 Roma fu colpita da uno scandalo mai visto. Pare strano, oggi, pensare che la capitale possa essere interessata da simili vicende, ma tant’è. Era il periodo d’oro del pontificato di Leone X, il primo papa Medici che, da quando era salito sullo scranno pontificio, celebre per la godereccia frase “Godiamoci il papato, che Dio ce l’ha dato”, si era speso (e aveva speso, perché vanno bene entrambi gli ausiliari) nell’ostentazione più sfacciata del potere, organizzando leggendarie cacce, banchetti, trionfi degni della Roma imperiale. C’erano, tuttavia, degli screzi interni alla curia che minavano quella pax aurea: in particolare, con la famiglia Petrucci, una volta al comando di Siena, Leone cercava di addomesticare le ambizioni del novello cardinale Alfonso, che desiderava appunto tornare al potere nella città toscana. Intorno ad aprile, però, l’Ansa diramò un comunicato che gettò Roma nello scandalo: alcuni parenti stretti del cardinale senese erano stati arrestati con l’accusa di congiurare contro il papa. Il pm che seguiva il caso era tale Peruschi, procuratore fiscale di Roma: allora i processi duravano meno di oggi, anche se i metodi, a dire il vero, destavano qualche sospetto. Peruschi, infatti, sottoponeva le vittime dei suoi interrogatori ad atroci torture, senza che queste, tra l’altro, avessero diritto ad alcuna difesa. Nel giro di poche settimane, così, Marcantonio Nini, l’arrestato principale, di cui erano state intercettate delle lettere cifrate, confessò che in esse si nascondeva un piano diabolico per l’avvelenamento di Leone X. La notizia aveva già dell’incredibile, ma lo scandalo più grande riguardò il coinvolgimento nelle macchinazioni dei congiurati del medico del papa, il celebre Battista da Vercelli. Leone non poteva credere che il suo medico fidato mirasse a togliergli la poltrona da sotto il deretano, se non fosse che quello era, letteralmente, il compito del buon Battista, deputato a curare la celeberrima fistola anale che costringeva il papa a stare sdraiato per settimane intere senza muoversi. Leone X, a quel punto, decise di avviare l’operazione ‘Porpore Pulite’ assegnando sempre al Peruschi il compito di far confessare gli alti prelati che, di volta in volta, venivano coinvolti nello scandalo. L’arresto del cardinale Petrucci fece storia: fatto venire a Roma da Genazzano, dove se ne stava prudentemente, con la promessa firmata dal papa di incolumità, il malcapitato si vide tratto in catene niente meno che in bagno, dove Leone gli aveva chiesto di prendere per lui il vaso da notte (“Portami da orinare”, riportano i verbali). Ma, più in generale, iniziò un vero e proprio repulisti. Vigeva, infatti, un clima di raggelante paura: ad ogni riunione o consiglio dei ministri, infatti, il papa annunciava nuovi insospettabili coinvolti, decretandone l’arresto e, soprattutto, l’immediata confisca dei beni. Finirono imprigionati alcuni dei più importanti cardinali dell’epoca, tra cui l’anziano Riario, che tra l’altro era più volte andato vicino all’elezione a papa nei precedenti conclavi. Si sommavano lettere su lettere che contraddicevano una il piano diabolico dell’altra: chi parlava di avvelenamento, chi di una strage durante una passeggiata del papa (sterminio grandissimo), ovviamente riservandosi di porre successivamente una corona di fiori sulla sua tomba. Sembrava che la logica, in ogni caso, non contasse più. La furia  paranoica di Leone si trasformò in un piano perfetto per azzerare la giunta e proclamare, in un concistoro convocato in fretta e furia, nuovi cardinali a lui fedeli. Fu un rimpasto con i fiocchi: il pontefice nominò, infatti, decine di sottosegret… scusate, vescovi, e ben 31 nuovi cardinali (da cui la celebre frase ‘Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno’). Ovviamente, un simile sconvolgimento, a volte compiuto attraverso le più atroci violenze, decretò anche il calo di popolarità nei sondaggi di Leone X, il quale si era accattivato le antipatie dell’intera nobiltà romana, ormai, e anche del popolo. Fu quello il tempo della prima campagna di crowdfunding della storia, organizzata per liberare il cardinale Riario: l’obiettivo di 150 mila ducati richiesto per ottenerne la scarcerazione fu raggiunto in pochi giorni grazie alla sottoscrizione di decine di cittadini romani, non solo nobili, che offrirono dai 250 ai 4000 ducati. Dulcis in fundo, ma questo è emerso solo nel corso dei secoli, si è saputo che la congiura, in realtà, non fu una vera congiura: le lettere intercettate dal papa non contenevano alcuna vera minaccia e nessun prelato aveva davvero attentato alla sicurezza del pontefice. Quando Leone X morì, le casse dello Stato di Roma versavano in condizioni disperate e la popolazione, così come il collegio cardinalizio, colsero come una liberazione la fine di quel pontificato corrotto. Sull’onda di un’istanza moralizzatrice potente, perciò, fu eletto in pochi giorni il nuovo papa, Adriano VI. Ce lo chiedeva l’Europa, tanto più in tempi in cui un fraticello tedesco cominciava le sue pacate proteste e, infatti, il pontefice figlio di un falegname olandese giunse a Roma mosso da sani principi di austerità e rigore: nella cerimonia di insediamento, criticò i cardinali per le vesti eleganti e le armi che portavano. Accolto con un arco trionfale a Ostia alla Porta Portuense, ne ordinò subito lo smantellamento. Si respirava, finalmente, aria nuova. Adriano fece appena in tempo a proclamare, in un documento scritto, che il pontefice era fallibile, quando dovette rendere l’anima a Dio, meno di un anno dopo il suo insediamento. I sospetti di avvelenamento furono subito archiviati e Roma accolse un nuovo papa: Clemente VII, alias Giulio Medici, cugino di Leone. [ripetere ad libitum, again and again] Da una libera rielaborazione del libro dello storico Marcello Simonetta, Volpi e Leoni

TAG: austerità, corruzione, legalità, mafia capitale, papato, scandali
CAT: Criminalità

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