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Arte

La gradevolezza dell’intelligenza (Omaggio a Philippe Daverio)

di Oscar Nicodemo
2 Settembre 2020

Era una straordinaria eccezione, Philippe Daverio, non solo nel mondo degli esperti e conoscitori d’arte, ma tra gli stessi uomini di cultura del panorama italiano. Una persona garbata e gentile, innamorata della bellezza in ogni sua manifestazione, ovunque la si potesse scorgere per poterla semplicemente raccontare, senza peraltro rinunciare alle concezioni complesse che essa implica nel tentativo di decifrarne l’essenza più autentica. Mai una volta che non fosse stato chiaro e comprensibile nelle sue esposizioni sorprendenti e spumeggianti, e sempre propenso a dispensare al grande pubblico il suo sapere, alleggerendolo con un spruzzatina di ironia qua e là, come il più abile degli “chef” alle prese con i desiderosi e gli affamati di conoscenza. Sì, lui rendeva tutto masticabile e digeribile, finanche la complicatezza di Bosch o la tortuosità di Klimt. Lontano dal chiasso, dalla volgarità e da tutto ciò che costituisce una sorta di “estetica del disgusto”, Daverio è riuscito a compiere un’operazione tanto difficile quanto spettacolare, come quella di portare in tv l’arte per contemplarne giocosamente le sfaccettature più sintomatiche, quelle che ne rivelano il segreto dell’incanto. Tanti di noi non hanno mai perso una puntata dello strepitoso “Passepartout”, programma dove egli svelava l’arte con impareggiabile maestria istrionica e ammaliante sarcasmo attoriale.

Un gigante della comunicazione, Philippe, che sapeva coniugare alla perfezione l’eleganza di una frase con il suo contenuto, rendendolo afferrabile senza farne perdere la lucentezza di alta congettura, o di fine supposizione. Una magia che riesce solo a chi, nel proprio lavoro di divulgatore, può contare su una solida competenza, un impegno coscienzioso e una passione infinita. Non finiva mai di stupire, perché lui non smetteva di meravigliarsi di fronte all’esplorazione e le ricerche dei suoi studi. E, una volta assaggiata in precedenza quella meraviglia, non la tratteneva per sé, ma ne decantava il gusto per offrirla su un vassoio d’argento a quanti fossero interessati a sperimentarla. Certamente egli trovava responsabilmente divertente la sua attività, senza per questo scadere nella cifra di certe proposte culturali che finiscono per assumere la dozzinalità dei piccoli spettacoli di intrattenimento. L’arte lega, affina, modella e unisce quando è presa delicatamente per mano e trattata come fonte di delizia, non come argomento da piegare a un ego smisuratamente patetico e al compiacimento di sé. Per questo il pubblico di Philippe Daverio, consistente e puntuale, rappresenta, anche dopo la sua morte, un categoria dello spirito, non solo un’utenza affezionata a un personaggio che non c’è più. Il nostro critico d’arte, dall’umanità luminosa, non lascia uno spazio vuoto dove rammaricarsi retoricamente per la sua scomparsa, ma una traccia evidente da seguire, e alla svelta e se possibile in allegria, subito dopo aver provato un patito dispiacere per la sua esistenza interrotta.

 

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